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DA TABACCHI ITALIANI A BRITISH AMERICAN TOBACCO: LE TAPPE DI UNA PRIVATIZZAZIONE DI SUCCESSO

Si parla sempre più spesso di privatizzazione quale strumento di liberalizzazione e potenziamento dell’economia di mercato. Mi piace, perciò, ricordare una «vera» e proficua privatizzazione che produsse risultati economici di rilievo, liberò lo Stato da una presenza, nel mercato dei tabacchi, non solo eticamente discutibile ma anche in contrasto con la spesa sanitaria e che, per chi scrive, rappresentò professionalmente una pagina di grande esperienza che segnò il percorso delle altre privatizzazioni che seguirono.

L’AAMS - Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato, istituita con regio decreto-legge dell’8 dicembre 1927 n. 2258, modificato profondamente con la legge 17 luglio 1942 n. 907 sul monopolio dei sali e tabacchi, rappresentava la direzione del ministero delle Finanze italiano incaricata di gestire, in regime di monopolio, il cospicuo mercato dei tabacchi e del sale nonché dei giochi e delle lotterie, svolgendo anche attività di monitoraggio fiscale.
Negli anni 80 e 90 l’AAMS fu obbligata ad adeguare la propria organizzazione e struttura operativa alle nuove normative, anche di derivazione comunitaria, finché con il decreto legge n. 283 del 9 luglio 1998 il Governo italiano istituì l’ETI-Ente Tabacchi Italiani, al quale vennero demandate le attività legate alla produzione e commercializzazione del tabacco e dei prodotti da fumo precedentemente svolte dall’AAMS, mentre l’Amministrazione dei Monopoli di Stato ha continuato a svolgere una funzione di garanzia e di controllo attraverso la gestione e la riscossione delle accise, la fissazione delle tariffe di vendita al pubblico, l’organizzazione della rete delle rivendite dei prodotti da fumo e il controllo della conformità dei prodotti da fumo alla normativa nazionale e comunitaria.
Nel 2000 il Governo di allora individuò i contenuti patrimoniali e strutturali propri dell’area «sale e tabacchi» e li conferì a un’entità giuridica - l’ETI - che, pur facendo sempre parte del più ampio settore pubblico, acquisiva un’identità separata e specifica dai tratti timidamente privatistici. Naturalmente si trattava di una «costola dello Stato» rispondente a configurazione e normative pubblicistiche caratterizzate dalla totale ingerenza dello Stato nella vita dell’Ente in termini di «governance» e controllo, atteso che la nomina dell’alta dirigenza era pur sempre demandata al Governo e il relativo controllo affidato alla Magistratura contabile.
L’ETI aveva l’obbligo di tenere una contabilità separata da quella del ministero delle Finanze, benché rientrante nel suo bilancio. All’inizio della privatizzazione, nel 2000, il conglomerato ETI appariva come un gruppo di società la cui holding era ETI S.p.A., che si occupava della produzione e distribuzione di prodotti da fumo e controllava interamente l’ATI che si occupava di premanifatture e di trading del tabacco; l’ATI Carta che provvedeva alla produzione ed alla vendita della carta, ovvero la carta da sigarette, la carta per cartoncini e pacchetti di sigarette, la carta argentata velina e altro; l’ATI Filtrati che si occupava della produzione e della vendita di filtri; e l’ATI Sale che gestiva alcune saline e produceva sale raffinato da cucina e per uso industriale. Da questo ebbe origine la «vecchia» denominazione che contraddistingueva i Monopoli di Stato, ancora visibile sulle insegne di tabaccherie risalenti a quei tempi, specie in alcuni paesi del Sud Italia, ossia «rivendita di sali e tabacchi».
Data la particolare rilevanza della legislazione giuslavoristica in Italia, la procedura di razionalizzazione e di radicale riduzione del personale, realizzata attraverso due accordi sindacali, fu particolarmente significativo per il buon esito della privatizzazione. Costituito da 7.111 dipendenti nel 2000, l’organico dell’ETI venne ridotto a 2.100 nel 2003. Questo fu reso possibile da due accordi sindacali: nel primo furono affrontati e risolti i problemi connessi ai dipendenti più anziani, collocati a riposo con prepensionamenti e scivoli in cambio di vantaggi economici, e nella stessa sede venne concordato il futuro di molti altri dipendenti che scelsero di restare nel pubblico impiego, rifiutando il passaggio al contratto privato. Questa parte di organico fu collocata in altre direzioni o comparti dell’amministrazione pubblica, mantenendo la qualità di dipendenti pubblici.
Un secondo accordo, invece, concluso nel giugno del 2002, fu caratterizzato dalle dismissioni delle società non principali, che afferivano, ad esempio, al comparto tabacchi grezzi e al comparto carta, così come alla produzione e commercializzazione dei tabacchi. In tale accordo fu previsto, a favore dei dipendenti trasferiti, un ampio periodo di ripensamento entro il quale gli stessi avrebbero potuto chiedere di essere ricollocati nel settore del pubblico impiego.
Naturalmente anche il raggiungimento dell’efficienza industriale rappresentava un obiettivo di primaria importanza in quanto solo la razionalizzazione dell’attività, unitamente alla messa a regime degli impianti e all’ottimizzazione della produzione, avrebbe consentito la cessione a terzi a condizioni di mercato vantaggiose delle società o delle aziende da privatizzare. La dirigenza dell’ETI decise, infatti, di realizzare un vasto riassetto imprenditoriale e la cessione di partecipazioni che venne attuata secondo una precisa strategia e una specifica tempistica. Fu infatti preliminarmente eliminata l’attività premanifatturiera e furono dismesse le partecipazioni nei settori della carta e dei filtri. Man mano che la singola società partecipata risultava più attraente in termini di efficienza, cominciava la correlata procedura di cessione.
Nel 2001 erano ben venti gli stabilimenti manifatturieri nei quali venivano prodotte le sigarette e i sigari mentre alla fine del 2002 ne erano stati alienati nove e nel 2003, anno della cessione finale dell’ETI S.p.A. a British American Tobacco, compresi negli assets trasferiti c’erano solo cinque stabilimenti produttivi di cui tre per le sigarette e due per i sigari. La vendita progressiva di stabilimenti che con il passare del tempo non erano più necessari alla produzione né strategici realizzò rilevanti liquidità, anche perché essi erano stati costruiti più di cinquanta anni prima e spesso insistevano su aree diventate nel tempo centrali, quindi di grande valore edilizio.
L’integrale programma di riorganizzazione venne attuato in tre fasi: il progetto industriale, l’accordo giuslavoristico e il piano di razionalizzazione delle strutture degli stabilimenti e degli impianti. Il risultato di tale strategia operativa fu l’allineamento dell’ETI agli indici di redditività e di produttività rispetto alla migliore concorrenza. Tra avanzi di cassa, assegnazione di riserve, dividendi su utili, dividendi relativi agli anni 2001-2002 derivanti dagli spin off degli immobili non necessari nonché dal prezzo di vendita finale dell’ETI, attraverso la cessione delle sue azioni alla British American Tobacco, lo Stato italiano attraverso il ministero del Tesoro e delle Finanze, unico azionista ETI S.p.A., ha incassato in totale 4.803 milioni di euro.
Per la cessione di ciascuna società del gruppo (ATI Carta; ATI Filtrati; ATI che si occupava di premanifattura e trading di tabacco posseduta anch’essa al 100 per cento da ETI; ATI Sale; Itinera; ETI) venne seguita la classica procedura di gara ad evidenza pubblica, all’epoca normativamente prevista e recentemente rimodernata dal codice degli appalti. Si scelse infatti una modulazione e un iter contrattuale molto elastico e solo progressivamente impegnativo, per attirare il più possibile l’interesse a partecipare nella convinzione che la pluralità dei concorrenti potesse dare i risultati migliori ed economicamente più vantaggiosi per lo Stato italiano. E così avvenne. Tutto cominciò con l’invito a manifestare interesse, pubblicizzato sui più importanti quotidiani italiani ed esteri.
Nella pratica l’invito a manifestare interesse deve contenere sintetiche ma complete informazioni circa le unità organizzative e il complesso delle attività oggetto della cessione; deve precisare l’identità dell’advisor, il cui compito è quello di assistere la società nei rapporti con i terzi interessati alla privatizzazione, e di interporsi per quanto attiene alle attività informative.
Il bando deve individuare quali siano i soggetti destinatari dell’annuncio; in taluni casi, ad esempio, l’accesso alla procedura di privatizzazione è limitato alle sole società di capitali; se siano già società costituite, ovvero costituende, le cosiddette new companies; o, ancora, può consentire la partecipazione di determinate persone fisiche che si riservino, in caso di aggiudicazione, di costituire delle new co.
Sotto un profilo più strettamente giuridico, l’alienante che ha sollecitato le offerte, proprio per la caratteristica discrezionalità che contraddistingue l’invito, può decidere di non fornire le risposte o la documentazione eventualmente richieste, ma nel momento in cui decidesse di rispondere è tenuto ad adempiere all’obbligo di buona fede e correttezza comportamentale e informativa, ovvero di pubblicità e trasparenza non discriminando gli intervenuti, i quali devono, tutti, essere in condizione di compiere una valutazione di convenienza in termini paritetici sulle notizie che l’alienante ha fornito.
Per attuare tale obiettivo si decise, nella specie, di dare circolazione piena alle risposte che vennero fornite a tutti coloro che avevano avanzato domande: si ritenne corretto, infatti, garantire lo stesso livello di informazioni. Anche nel procedimento di privatizzazione delle singole società del gruppo ETI furono messi a disposizione atti e documenti che riguardavano gli aspetti significativi dei target contabili, fiscali, finanziari, legali, occupazionali, previdenziali, ambientali e così via.
Avvalendosi di consulenti di loro fiducia e a loro spese, i singoli concorrenti indagarono e verificarono ogni tipo di informazioni, di natura sia patrimoniale che finanziaria, economica, gestionale, legale e tributaria. La data room, ovvero la materiale messa a disposizione degli interessati di tutti gli atti, contratti disciplinari, disegni, marchi, brevetti, nonché di quelli riguardanti il contenzioso, fu articolata in varie fasi: preparazione, ovvero reperimento e predisposizione della documentazione necessaria; invio del regolamento di data room, indicante le regole di accesso e di comportamento e i relativi obblighi di riservatezza; messa a disposizione dei concorrenti, per un periodo di alcuni giorni e con ribaditi vincoli di riservatezza, della documentazione richiesta allo scopo di fornire ai potenziali acquirenti il maggior numero possibile di informazioni e consentire loro di effettuare una valutazione economica della stessa e formulare una completa offerta di acquisto, corredata da un approfondito piano industriale sul futuro della società.
A tutti gli interessati, infatti, venne fornito, una volta sottoscritto l’accordo di riservatezza, il cosiddetto information memorandum, documento tecnico e illustrativo della società in dismissione. Tali cautele sono sempre necessarie in quanto le informazioni fornite, malgrado taluni «omissis», riguardavano, in gran parte soggetti terzi e quindi non soltanto le società da dismettere, ma anche relativi fornitori, clienti, dipendenti ecc. i quali, pur restando estranei alla procedura, avrebbero potuto subire danni dalla circolazione di notizie riservate.
Si aprì quindi la fase successiva, rappresentata dalla predisposizione dell’invito ad offrire e dall’invio dello stesso ai potenziali acquirenti. Tale documento conteneva l’invito a formulare un’offerta vincolante, ex art. 1329 del codice civile, ferma e irrevocabile per un periodo di tre mesi. Inoltre, a garanzia dell’irrevocabilità dell’offerta, venne richiesta idonea fideiussione bancaria o assicurativa azionabile a prima richiesta, ovvero «ogni eccezione rimossa».
In particolare, venne richiesto che l’offerta fosse effettuata a proprio nome e per proprio conto e che si trattasse di un’offerta ferma, ovvero il prezzo indicato, finale e impegnativo, doveva considerarsi non suscettibile di modifica, revisione o aggiustamento. L’offerta doveva, peraltro, essere incondizionata, definitiva, vincolante, nonché valida per un periodo minimo di 120 giorni ed effettuata ad esclusiva cura, spese e rischi giuridici ed economici, della società che la presentava; inoltre doveva contenere una dettagliata dichiarazione scritta relativa al possesso di tutte le necessarie approvazioni e autorizzazioni societarie necessarie per portare l’offerta a compimento e per esercitare l’attività imprenditoriale in questione, nonché fornire una descrizione delle risorse finanziarie necessarie, - piano finanziario - dedicate al completamento della trattativa.
Elemento essenziale dell’offerta era inoltre il programma industriale il quale, oltre a fornire ogni altra informazione rilevante per valutare l’affidabilità dell’offerta in relazione al futuro della società, doveva garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e della forza lavoro in essere almeno per un triennio, nonché precisare le ricadute dell’investimento sul territorio. L’invito conteneva l’esplicito riferimento alla valutazione integrata del prezzo d’acquisto offerto, del piano industriale e del piano finanziario, che il venditore avrebbe effettuato.
Ricevute le offerte irrevocabili, ferme per il periodo di tempo previsto, completate dalle fideiussioni richieste, si passò alla stesura del contratto di cessione delle partecipazioni azionarie. Si trattò, nella specie, di un unico contratto contenente i vari accordi intercorsi tra le parti e disciplinante i rispettivi obblighi e diritti, condizionato al parere favorevole dell’Antitrust.
Tale procedimento di perfezionamento del contratto venne, nella specie, essenzialmente incentrato in una prima fase, conclusa nel momento in cui le parti avevano sostanzialmente raggiunto l’accordo sui punti essenziali della compravendita, coincidente con la sottoscrizione dello stesso. E in una seconda fase, che si chiuse con la puntuale e totale esecuzione agli impegni funzionali del contratto attraverso l’effettivo trasferimento della titolarità giuridica e del materiale possesso dei beni oggetto del trasferimento contro il pagamento del prezzo - eventi e momenti, normalmente, definiti unitariamente come closing -, nel pieno rispetto, sotto il profilo giuridico, della «natura consensuale con effetti reali del contratto di compravendita di partecipazioni azionarie».
A completamento del quadro fornito su questa importante privatizzazione giova evidenziare che il valore della produzione crebbe notevolmente dal 2000 al 2002, da 1 miliardo 600 milioni di euro a 2 miliardi e 417 milioni; l’utile di esercizio passò da 8 milioni nel 2000 a 37 milioni nel 2002; mentre l’incremento di valore connesso alle azioni delle varie società del gruppo ETI venne stimato in circa 800 milioni di euro. Ed ecco le cifre finali di questa privatizzazione: il prezzo pagato da British American Tobacco fu di 2.400 milioni di euro; mentre le cessioni già effettuate avevano comportato l’incasso di denaro fresco per l’azionista ministero del Tesoro per ulteriori 2.400 milioni circa di euro, tra utili e incassi reali, per un totale quindi di oltre 4.800 milioni di euro.

Questa esposizione ripropone in estrema sintesi la storia di una privatizzazione condotta felicemente a termine da un manager determinato e di valore, Maurizio Basile, e dai suoi tecnici tra i quali chi scrive, in quasi tre anni di impegnativo lavoro e, lo dico con un pizzico di scaramantico compiacimento, senza contenziosi postumi.

Tags: Lucio Ghia BAT - British American Tobacco Italia tabacco marzo 2011

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