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QUALITÀ DEI CIBI: ALUNNO E ALIMENTAZIONE DERIVANO ENTRAMBI DA «NUTRIRE»

     di MASSIMILIANO DONA segretario generale dell’Unione Nazionale Consumatori

Nel 1955 un gruppo di amici (ne facevano parte professori di merceologia, alimentaristi ed enogastronomi) fecero un giro nei ristoranti romani per verificare e giudicare la qualità dei cibi. L’originario intento era quasi quello di fare una guida «turistica». Ma il risultato di queste visite fu disastroso: spaghetti collosi, olio di sansa, vino pugliese spacciato per Barolo, burro addizionato con grassi diversi da quelli del latte, olio esterificato e così via.
Tutto ciò convinse questo gruppo di pionieri, guidato da Vincenzo Dona, a fondare l’Unione Nazionale Consumatori, per difendere i cittadini dalle frodi alimentari, che erano molto diffuse e in buona parte neanche perseguibili con le leggi di allora. Bisogna tenere presente che negli anni Cinquanta metà del reddito di una famiglia era assorbito dalla spesa e che la legislazione italiana era una delle più arretrate.
Ecco perché abbiamo dedicato la terza edizione del «Premio Vincenzo Dona, voce dei consumatori», svoltosi a Roma, alla spesa alimentare osservata da tre punti di vista: sicurezza, qualità e convenienza dei prodotti che portiamo in tavola. Le tre facce di un prisma che è pietra angolare nelle esistenze di ciascuno. Al giorno d’oggi, l’incidenza della spesa alimentare sul totale dei consumi privati si è ridotta rispetto al passato, ma è comunque una porzione di esistenza troppo rilevante per consentire che sia esposta a rischi per la salute o anche solo ad incertezze circa la qualità «reale» dei prodotti o a preoccupazioni riguardo ai costi.
Partirei proprio da qui, dal tema dei prezzi, perché temo che il momento di difficoltà economica del comparto possa incidere negativamente sulla qualità delle produzioni e talvolta persino sulla sicurezza alimentare. Ho motivo di credere che, nella crisi, qualche impresa cerchi di cavarsela se non con le frodi o le sofisticazioni, quantomeno con qualche espediente. Mi riferisco anche alla straordinaria abilità degli strateghi della comunicazione nel farcire gli annunci e le etichette dei prodotti alimentari di slogans e promesse mirabolanti sugli effetti del prodotto. È facile osservare che si parla sempre più spesso di alimenti come se fossero dei farmaci o dei cosmetici. Mi sento spesso ripetere che i consumatori al giorno d’oggi sono ormai maturi e consapevoli. Che di fronte alla spesa alimentare sono oculati nelle scelte e che «non rinunciano alla qualità». Ma tale opinione dovrebbe essere accompagnata da una seria idea della qualità. Sarebbe giusto chiedersi di quale qualità stiamo parlando. Negli scaffali (o negli spot) troviamo denominazioni di fantasia che conquistano il consumatore non più inneggiando al gusto, al sapore, alla tradizione, ma all’energia, alla vitalità, al potenziamento delle difese immunitarie.
Se fino agli anni Cinquanta il modello di «buona tavola» significava un pasto nutriente, copioso nel senso popolare, forse più ricco che equilibrato, oggi non si inneggia più a Dioniso (che donò agli umani la «felicità suprema del baccanale»), ma a Narciso (e al suo ideale di bellezza). Si seguono diete, ci vengono offerti prodotti light, potenziati, arricchiti, salutistici, ma è un messaggio degli spot, non una nuova cultura. Se lo fosse, dovremmo rallegrarcene. La prova lampante che sia solo propaganda commerciale è nella realtà dei fatti, nel dilagare di comportamenti alimentari scorretti: da un lato le forme di bulimia e anoressia, dall’altro quella tendenza all’obesità che, anche nel nostro Paese, comincia a preoccupare.
Da parte nostra siamo pronti a festeggiare il trionfo di Narciso su Dioniso, ma preferiamo attendere di essere certi che si tratti di un Narciso «meno naif» e più vigile, che non si perda nella contemplazione della propria immagine, ma si dedichi alla lettura delle etichette. Emerge l’importanza dell’educazione alimentare nelle scuole, oggetto di alcuni progetti realizzati dal Ministero delle Politiche agricole e di recente annunciata anche dal ministro dell’Istruzione.
Non è solo un’importanza economica, cioè utile a fare una scelta più consapevole nella spesa, ma anche sociale e sanitaria. È necessario investire nella cultura alimentare, radicandola in particolare tra i più giovani: il cibo come alleato grazie al quale crescere e fortificarsi. È questo il messaggio che deve arrivare nelle scuole italiane: del resto non dovremmo dimenticare che le parole «alimentazione» e «alunno» derivano entrambe, per etimologia, dal verbo latino «alere», cioè nutrire.

Tags: industria alimentare alimentazione educazione nutrizionale cibo consumatori Massimiliano Dona UNC Unione nazionale consumatori alimenti Gennaio 2010

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