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MARIO RESCA: CRAC CIRIO, ORMAI FUORI DALLA TEMPESTA

di Carlo Maria Gerevini

Un manager tranquillo. Mario Resca si presenta così. Voce pacata ma sicura, un’attività frenetica, vissuta con metodicità. Presidente e amministratore delegato di McDonald’s Italia, consigliere di amministrazione Eni e Mondadori, presidente della camera di commercio americana in Italia. Tutto sembra lieve nel sentirlo parlare ma i problemi che ha dovuto affrontare e risolvere nell’ultimo anno, come commissario straordinario della Cirio, sono stati e sono immensi. Il crac di uno dei più grandi gruppi alimentari italiani, con interessi in quattro continenti e decine di aziende controllate dal Sud Italia al Brasile, dal Kenya alle Filippine, ha fatto storia; o meglio, ha creato uno scandalo finanziario come non se ne vedevano da almeno dieci anni, dai tempi del traumatico dissolvimento del Gruppo Montedison e del crollo dell’impero Ferruzzi. Un crac che ha rischiato di rovinare la vita di quasi 17 mila dipendenti in tutto il mondo e che ha rovinato decine di migliaia di risparmiatori, affascinati dagli appetitosi interessi dei bond emessi a raffica dalla finanziaria di Sergio Cragnotti e delle sue controllate estere.
Essere «invitati» a mettere ordine in questo ginepraio è un «ordine» cui difficilmente un manager è in grado di dire no. Mario Resca non ci ha pensato due volte, rispondendo alla chiamata del ministero delle Attività produttive. «Pensare che ero in ferie–ricorda oggi–. Era il 7 agosto 2003 quando squillò il telefono. Su mandato del ministero il tribunale fallimentare di Roma aveva pensato a me come uno dei tre commissari chiamati a salvare il salvabile del traballante impero già di Cragnotti».
Il telefono suonò anche per Attilio Zimatore, docente di Diritto nella Luiss di Roma, e per Luigi Farenga, docente di Diritto nell’università di Perugia. «Ero stupito di questa convocazione–ammette oggi Resca–. Non avevo un’esperienza specifica nell’ambito del salvataggio di aziende o in quello delle insolvenze». Dubbi e perplessità furono di breve durata. «Interruppi le ferie–continua Resca–, e mi precipitai a Roma per avere i primi ragguagli sul compito da svolgere e per conoscere gli altri commissari, tecnici preparatissimi per quanto riguarda tutti gli aspetti normativi del diritto societario». La squadra entrò subito in sintonia, a tal punto che già il 12 agosto Resca convocò a Roma tutti i manager mondiali del Gruppo per un primo ma decisivo incontro. «Il loro morale–racconta–, non era certo dei migliori: italiani, brasiliani o filippini, avevano vissuto per mesi le traversie del Gruppo, le indagini della Guardia di Finanza, le inchieste della magistratura che, quasi ogni giorno, rivelavano nuovi, inquietanti risvolti del crac che si stava delineando in tutta la sua drammaticità. Inoltre avevano la percezione che ormai la nave stesse affondando, che il loro lavoro di anni fosse vanificato e che il loro futuro fosse quanto meno incerto. Detti fiducia, non accusai l’operato di nessuno; d’altronde non c’era tempo per formare una nuova squadra e affidarle un diverso compito; si sarebbero persi mesi preziosi nel ricercare gli uomini e nel farli entrare in sintonia con la nuova realtà; feci capire loro che, con l’impegno di tutti, si poteva uscire dalla crisi. Risposero con entusiasmo, si concentrarono sui nuovi obiettivi che indicai».
Il secondo, intricato nodo da sciogliere in tempi brevissimi era il rapporto con le banche. Tutti i maggiori istituti di credito erano forti creditori del gruppo agroalimentare; viste le prospettive, volevano rientrare rapidamente degli onerosi prestiti concessi. Resca fu convincente anche con loro, in un vertice convocato per la mattina successiva, il 13 agosto. Occorreva che i banchieri concedessero fiducia ai commissari indicati dal ministero, e che lasciassero predisporre il piano di salvataggio, la rimessa in sesto dei conti, la riduzione dei debiti, la successiva messa all’asta delle aziende risanate. Lo stesso discorso fu fatto ai creditori e ai fornitori, centinaia, per i beni e i servizi forniti al Gruppo e non pagati in precedenza. Restava, infine, il nodo degli azionisti e degli obbligazionisti. Pochissime le speranze dei primi di rivedere anche una minima parte dei loro investimenti; la situazione dei secondi doveva essere affrontata non dai commissari, ma dalle banche che avevano emesso e venduto i bond.
«È stato un lavoro duro ma svolto con estremo entusiasmo–ricorda oggi Resca–. Il compito dei commissari era, prima di tutto, di verificare la possibilità di far rientrare le aziende del Gruppo nella legge Prodi del 1999, poi di elaborare un piano di salvataggio credibile per i creditori e per le banche». Il lavoro fu fatto in tempo di record: in meno i due mesi - 48 giorni, precisa Resca -, fu predisposta la relazione da presentare al ministero delle Attività produttive. Il rapporto dei commissari, che aveva fatto proprie le indicazioni partite dal ministero, era semplice ma molto chiaro: salvare i posti di lavoro in Italia e all’estero, tutelare i creditori. Per fare ciò occorreva concentrarsi sui tre marchi «ombrello» del Gruppo: Cirio, Del Monte e il brasiliano Bombril; in mezzo, una pletora di attività secondarie che andavano dalle fattorie argentine alle tenute italiane, dalla società sportiva Lazio ai palazzi d’epoca. Ma soprattutto era da ricostruire il vorticoso giro di fatturazioni andato avanti per anni fra decine di società controllate per comprendere, alla fine, chi doveva soldi e a chi.
«Oggi–continua il commissario–, tutte le aziende sono in equilibrio economico: il che sta a significare che la crisi, già trasparente nel 2000 per chi voleva vederla, era prettamente finanziaria e non industriale. D’altronde i marchi del Gruppo sono forti, di qualità, radicati nelle abitudini di acquisto dei consumatori sia nel settore del pomodoro e delle conserve con Cirio e De Rica, sia con Del Monte che produce frutta sciroppata e succhi, sia nella detergenza della casa con Bombril». Resca non entra nel merito delle scelte operate dalle banche durante l’era Cragnotti; non è, dice, suo compito giudicare. D’altra parte sono in corso indagini della magistratura che dovranno far luce anche su questo aspetto dell’intricata vicenda giudiziaria. Ci tiene però a sottolineare come l’impianto operativo costruito dai commissari sia valido e abbia trovato l’approvazione degli istituti di credito. È vero anche che, visto il tracollo del Gruppo, le banche non potevano che affidarsi ai commissari per sperare di rientrare in qualche modo dei loro finanziamenti. Sempre che la magistratura non dimostri eventuali loro precedenti operazioni poco in linea con il mercato, dirette a far recuperare loro in modo surrettizio, almeno in parte, quanto elargito alla vecchia proprietà. In ogni caso Resca, con voce pacata ma con malcelata soddisfazione, ribadisce che le aziende mal gestite dal punto di vista industriale sono state restituite al mercato risanate e pronte per essere affidate a nuove, professionali gestioni, nazionali o estere.
Ora inizia l’ultima fase, quella delle aste che dovranno scegliere i gruppi cui affidare le aziende della galassia Cirio. Le prime decisioni arriveranno entro l’estate e riguarderanno la Del Monte Foods, che comprende le attività in Europa, in Medio Oriente e in Africa. Le aziende in corsa sono sei, di cui tre in short list: si contendono gli stabilimenti di trasformazione e le piantagioni di frutta. Sono ignoti finora i concorrenti, anche se a quest’asta dovrebbero concorrere alcuni grandi gruppi nordamericani.
Entro l’autunno sarà deciso a chi assegnare le attività Cirio-De Rica. Per quest’asta sono otto le aziende in corsa, di cui una straniera. Alcuni dei diretti interessati hanno già espresso la propria candidatura nei mesi scorsi, da Conserve Italia a Divella a La Doria. Quest’asta presenta qualche problema in più: il Governo ha fatto sapere, in modo per altro del tutto informale, che «gradirebbe» che questi marchi storici nel settore agroalimentare nazionale rimanessero in mani italiane. Inoltre alcuni operatori avrebbero espresso il proprio interesse solo per alcune delle attività messe all’asta mentre l’invito ufficioso sarebbe quello, fin dove possibile, di vendere Cirio-De Rica in blocco.
Entro l’anno, infine, si saprà chi avrà vinto l’asta Del Monte Pacific, la divisione che comprende le attività nelle Filippine, in India e in altre aree del Sud Est asiatico. Sui nomi Resca glissa, per dovere d’ufficio, ma sottolinea con forza che, già dalla prima scrematura delle offerte, i commissari hanno puntato su due elementi cardine: la credibilità delle aziende in lizza, tutte con un’anima industriale e non finanziaria così da garantire che il vincitore abbia una strategia di lungo periodo, e la garanzia dei posti di lavoro.
Ma quanto riceveranno i commissari da queste tre aste? Resca non vuole indicare cifre anche perché il compito affidato dal tribunale di Roma ai tre commissari è quello di vendere al prezzo migliore possibile, per soddisfare banche e creditori che aspettano impazienti di ricevere il dovuto. Per molti di essi l’attesa dura almeno due anni. Però una stima si può azzardare sulla base dei fatturati registrati dalle singole divisioni in quest’ultimo anno, che si sono assestati intorno ai 600 milioni di euro. Considerata la forza dei marchi, la loro penetrazione nei mercati di riferimento e la capacità reddituale delle varie aziende, il ricavato potrebbe aggirarsi intorno alla cifra di 550-600 milioni di euro. A questa cifra si dovrà poi aggiungere quella che deriverà dalla vendita di aziende, beni immobili e mobili, che fanno parte della galassia dell’ex impero.
«Come si vede–dice ancora Resca–, il lavoro non è ancora concluso, anche se il grosso è stato fatto. I prossimi mesi vedranno impegnati me e i miei due colleghi nel portare a buon fine le aste, nel definire i tempi dei crediti con le banche e nel valutare correttamente le quote da rimborsare ai creditori. Ma i piccoli azionisti Cirio che speranze avranno? Il commissario scuote la testa, non vorrebbe essere drastico, ma alla fine ammette che per essi vi sono poche possibilità di riavere anche solo una parte del denaro che avevano investito. Un altro discorso è quello degli obbligazionisti: «Ma in questo campo–precisa–, i commissari hanno poca voce in capitolo. Il contenzioso è tra le banche che hanno emesso i bond e i risparmiatori. Sul contenzioso deciderà la magistratura».
Non secondario, peraltro, è l’atteggiamento che le banche hanno assunto negli ultimi mesi, assai più aperto al dialogo che allo scontro. Un atteggiamento dettato dalla necessità di recuperare almeno in parte un’immagine che, dopo gli scandali Cirio, Giacomelli e Parmalat, si era molto offuscata. Da esso è derivata una non belligeranza con le associazioni dei consumatori, sfociata in alcuni casi in accordi che hanno portato al totale o al parziale risarcimento dei risparmiatori. Ma su questo fronte la situazione è ancora confusa, non solo perché fino ad ora i risarcimenti sono stati ad personam, ma anche perché le emissioni obbligazionarie sotto inchiesta sono sette e sono state condotte, in diversi tempi e con modalità diverse, da società operative o finanziarie del Gruppo Cirio.
«Mi auguro–si limita a dire Resca su questo tema–, che alla fine, grazie anche all’opera di risanamento che stiamo portando avanti, si possa dare soddisfazione al maggior numero di persone possibile. E qualche positiva sorpresa credo che, alla fine, la riserveremo». Il lavoro continua dunque. «Sono convinto che potremo mettere la parola fine a questa stimolante avventura entro l’estate del 2005». Stimolante certo. Ma anche molto faticosa. Resca alza le spalle. «Diciamo che essa ha fatto sì che il baricentro del mio lavoro si spostasse più verso Roma che verso Milano. Questa esperienza mi ha dato molto, mi ha fatto conoscere meglio i meccanismi della pubblica amministrazione e dei palazzi romani, mi ha permesso di scoprire la viscosità di certa burocrazia, ma mi ha anche portato a trovare soluzioni pratiche per superarla. È stata un’esperienza unica per un manager come me. E molto istruttiva».
Si coglie già un filo di nostalgia, nelle parole di Resca, per questa battaglia praticamente vinta. Chissà se alla fine prevarrà sull’altra nostalgia, quella delle ferie saltate da quel lontano agosto 2003, quando piantò vacanze, affetti e amici per quella telefonata da Roma.

Tags: industria alimentare agroalimentare banca banche magistratura anno 2004

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