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PROFESSIONISTI. NIENTE COLPI DI MANO SUGLI IMMOBILI DELLE CASSE PREVIDENZIALI

di Maurizio de Tilla, presidente Cassa Forense e AdEPP

Torna periodicamente di attualità, in seguito a qualche isolata iniziativa parlamentare da considerarsi estemporanea ma non per questo meno pericolosa, l’ipotesi di estendere agli enti previdenziali dei professionisti la normativa pubblicistica sulle dismissioni degli immobili e sui canoni concordati. Va premesso, innanzitutto, che con la privatizzazione le casse autonome dei professionisti hanno acquisito una forte autonomia normativa e gestionale che consente loro di promuovere programmi di valorizzazione del patrimonio immobiliare (e mobiliare) svincolato da lacci e lacciuoli di tipo pubblico.
Si consideri, per l’appunto, che prima della privatizzazione, avvenuta nel 1994, lo Stato imponeva l’acquisto di immobili e si poneva - attraverso le autorizzazioni ministeriali - come soggetto principale per l’approvazione di piani obbligatori di reimpiego delle risorse disponibili finalizzati a vincoli mobiliari e prelievi forzosi, nonché all’acquisto di immobili aventi determinate finalità sociali e destinazioni pubbliche, e questo con decremento di rendimenti e depauperamento delle risorse finanziarie destinate alle prestazioni previdenziali.
Con la privatizzazione si sono, invece, aperte nuove frontiere, soprattutto con riferimento alla gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare accumulato con i contributi privati dei professionisti italiani, i cui rendimenti non possono non essere migliorati per garantire la sostenibilità dei sistemi previdenziali privati nel medio e nel lungo periodo. Insomma, cessati i vincoli pubblici - espropriativi e dissolutori -, i beni immobili delle casse previdenziali dei professionisti possono essere gestiti con efficienza e produttività in modo da costituire efficaci garanzie per i trattamenti pensionistici, tenuto anche conto che, con la privatizzazione, lo Stato non è tenuto ad alcun contributo pubblico.
La legge 431 del 1998, con la previsione di canoni liberi, ha altresì reso possibile il miglioramento dei rendimenti dei patrimoni abitativi delle casse professionali private, precedentemente appiattiti sull’equo canone. Ma le sorprese vincolative ed espropriative non sono finite. Dopo alcuni tentativi già fatti in precedenza con appositi disegni di legge, decisamente respinti in sede parlamentare, sono stati presentati al Senato, prima in sede di conversione del decreto legge n. 41 del 2004, concernente la vendita degli immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione, e poi in sede di esame della riforma previdenziale contenuta nel disegno di legge n. 2058/S, una serie di emendamenti per iniziativa di alcuni parlamentari, che comporterebbero effetti devastanti per la stabilità finanziaria degli enti previdenziali privati dei professionisti, nonché, più in generale, per il mercato delle locazioni immobiliari in Italia.
Registriamo con favore che tali emendamenti sono stati respinti. Appare infatti evidente la loro illegittimità anche sotto il profilo costituzionale, derivante dalla finalità malcelata di reinserire, nella dinamica contrattuale delle locazioni, elementi di dirigismo di tipo pubblicistico, in contrasto con la natura privata delle casse. Ci si meraviglia che ancora qualcuno, ignaro degli effetti giuridici della privatizzazione, reiteri proposte di vincolismi e coercizione sul patrimonio immobiliare delle casse professionali, con lesione dei diritti previdenziali dei professionisti Italiani.
I rilievi critici di maggiore portata riguardano l’estensione della disciplina vincolante in tema di contratti agli enti previdenziali privati dei professionisti che, essendo ormai soggetti privati da diversi anni, non possono certamente essere obbligati a stipulare rinnovi contrattuali a canoni concordati ai sensi del III comma dell’articolo 2 della legge 431 del 1998. Qualora tali proposte venissero accolte - ma sono state opportunamente rigettate -, verrebbero ad essere fortemente penalizzati i rendimenti finanziari di natura immobiliare e, in prospettiva, le stesse garanzie previdenziali dei professionisti italiani.
Il problema, come si è detto, nasce da lontano. Le origini delle casse previdenziali dei professionisti hanno provocato un accumulo fisiologico di patrimonio immobiliare, imposto da norme pubblicistiche che vincolavano, a tal fine, gran parte delle risorse disponibili e stornavano il patrimonio dalle finalità previdenziali. Oggi questo regime pubblico non esiste più. Nel corso degli anni, con la gestione privata, le casse professionali hanno fortemente investito nella manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili, spesso collocati in zone centrali o residenziali delle più grandi città italiane.
Fino alla legge n. 431 le normative restrittive e vincolanti esistenti nel mercato delle locazioni hanno causato enormi pregiudizi economici alle casse, con redditività degli immobili intorno all’1 per cento. Ma vi è di più. La scarsa redditività del patrimonio immobiliare è stata stigmatizzata a più riprese sia dalla Corte dei Conti sia dalla Commissione bicamerale di controllo sull’attività degli Enti. Ciò soprattutto con riferimento alle finalità conservative e di garanzia svolte da tale patrimonio nei confronti degli iscritti.
Obbligare le Casse private professionali, autofinanziate, ad investire in immobili e a garantirne la manutenzione senza consentire loro di ricavarne un reddito adeguato mina alla radice la funzione solidaristica endocategoriale cui l’intero patrimonio degli Enti privati è destinato. È del tutto evidente come una così grave penalizzazione nei confronti delle Casse - che in attuazione dell’articolo 38 della Costituzione perseguono fini previdenziali senza peraltro ricevere alcun contributo da parte dello Stato -, sia francamente inconcepibile prima ancora che inaccettabile.
Per quanto concerne poi le posizioni dei singoli conduttori, si ritiene che le stesse siano sufficientemente tutelate dal fatto che le Casse previdenziali private garantiscono forte stabilità nel rapporto contrattuale. C’è piuttosto da domandarsi chi potrà mai risarcire le Casse professionali per decenni di canoni bloccati, di vincoli negli investimenti, di proroghe automatiche delle scadenze contrattuali, di blocchi degli sfratti ecc.
È evidente, poi, che alcuni privilegi, caratteristici di un certo malcostume italico - come la detenzione a fitto bloccato di immobili di pregio in zone centrali o semi centrali di proprietà degli Enti, confidando in disfunzioni e disattenzioni nell’amministrazione del patrimonio -, non possano più essere tollerati o difesi dopo l’intervenuta privatizzazione. Non esiste, pertanto, alcun valido motivo per cui i contratti di locazione delle Casse professionali debbano essere sottratti alle regole generali del mercato così come definite nella richiamata legge n. 431 del 1998.

Tags: Maurizio de Tilla previdenza immobili anno 2004

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