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UNIONE EUROPEA: AL PRIMO POSTO LA POLITICA SOCIALE

 di Tiziano Treu, senatore della Margherita

L’Unione europea è a un punto cruciale della propria lunga storia. È chiamata a rispondere sulle grandi questioni contemporanee: il terrorismo, la competitività mondiale, la gestione dell’immigrazione, la qualità della vita e del benessere sociale dei propri cittadini. L’allargamento ad altri 10 Paesi dell’Est complica la situazione, ma è una prova di vitalità e può essere uno stimolo a innovare, a riprendere lo sviluppo con nuove energie. L’incidenza dell’Europa nella vita quotidiana dei cittadini e nelle decisioni anche specifiche dei singoli Paesi è destinata a crescere, anche se molte questioni restano nelle competenze degli Stati nazionali. Per questo l’attenzione e l’impegno verso l’Europa dovrebbero crescere da parte delle forze politiche e delle istituzioni, non solo nelle occasioni elettorali.
Sono convinto che occorre fare ancora molto per rafforzare i contenuti economici e sociali dell’Europa, valorizzando gli indirizzi espressi nella nuova costituzione e anche andando oltre, appena possibile. Il mercato unico dovrebbe diventare una realtà economica effettiva e compatta. Il che significa costruire una vera e propria autorità comunitaria per scelte comuni in tutte le materie economiche decisive: dal fisco alle politiche industriali e a quelle della crescita.
Una modifica del patto di stabilità per orientarlo di più alla crescita dovrebbe essere il primo banco di prova. Più in generale, è necessaria maggior decisione per perseguire gli obiettivi fissati nel 2000 dal vertice di Lisbona, a cominciare dalla promozione di uno sviluppo sostenibile orientato alla società della conoscenza. Accelerare e qualificare lo sviluppo in tale direzione è condizione essenziale per competere nel mondo, e quindi anche per aumentare il tasso di occupazione e il benessere dei cittadini.
Ma non basta completare e allargare il mercato unico, né tanto meno accontentarci della solida base finanziaria costituita dall’euro. Il rafforzamento del modello democratico e di quello sociale deve andare insieme, se vogliamo che l’Europa attragga i cittadini, soprattutto i tanti euroscettici o disaffezionati che vedono soltanto l’aridità della moneta e i vincoli del patto di stabilità. Non è solo con l’euro, ma con le istituzioni democratiche e con un modello sociale equo che l’Europa può essere un punto di riferimento nella politica internazionale.
Può essere un elemento di equilibrio rispetto al modello di consenso di Washington, un centro di attrazione per i Paesi non sviluppati e per quelli appena usciti dai decenni oscuri del comunismo. Per questo è importante la carta dei diritti fondamentali: una carta avanzata rispetto a molte realtà degli attuali Stati membri, nei quali i diritti del lavoro sono spesso riconosciuti in modo parziale ed escludono molti gruppi di lavoratori, specie i precari e i più deboli, e che dovrebbe diventare la guida effettiva delle politiche sociali e del lavoro in tutta l’Europa. Un impegno particolare è necessario perché il modello sociale delineato dalla carta sia pienamente acquisito anche dai dieci Paesi dell’Est. Occorre evitare che diventino il «cavallo di Troia» attraverso cui indebolire i livelli di civiltà giuridica e del lavoro raggiunti; è quanto sta verificandosi in qualche caso, per iniziativa di aziende che delocalizzano. Inoltre, per rafforzare il modello democratico e sociale europeo occorrerebbe più coraggio nell’allargare le materie in cui l’Unione può decidere a maggioranza.
L’unanimità o potere di veto è un limite grave al futuro dell’Unione. Lo si è già sperimentato in materia sociale dove il diritto di veto di qualche Paese ha bloccato importanti innovazioni nella regolazione del mercato del lavoro. L’intera materia del welfare continuerà a stare fuori dall’agenda europea se non si supera la regola dell’unanimità. Lo hanno riconosciuto anche i giovani industriali nell’ultimo convegno di Santa Margherita Ligure dedicato al nuovo welfare. L’Europa può orientare il settore sociale verso un modello che valorizza questi istituti non come forme di assistenza, ma come sostegno della coesione sociale e dello sviluppo. Questo non significa immaginare una regolazione europea diretta del settore sociale, tanto meno delle pensioni, con una «Maastricht delle pensioni». Queste sono tanto legate alle caratteristiche nazionali che forzature legislative sono inconcepibili.
Ma l’Unione può fare quegli indirizzi che più corrispondono, se non a un modello sociale preciso, quanto meno alle priorità da seguire in tema di pensioni, e più in generale di Stato sociale. Fra queste rientrano la prioritaria responsabilità pubblica nella costituzione e nel funzionamento dei vari istituti sociali e previdenziali, il principio della sostenibilità non solo finanziaria ma sociale delle scelte in materia, la comune promozione del metodo della concertazione sociale come previsto dai trattati. L’Europa può avere un’influenza diretta e può condizionare le scelte nazionali con il metodo del coordinamento aperto: questo è un metodo soft di influenza persuasiva, che dovrebbe peraltro essere reso più efficace di quanto sia oggi.
Le politiche del lavoro sono un’altra area nella quale l’Europa dovrebbe avere un ruolo di orientamento decisivo, come ha in parte cominciato a fare. La flessibilità è entrata in tutti i mercati del lavoro nazionali, e talora anche troppo; deve essere sostenuta da adeguati investimenti in formazione continua e bilanciata da tutele e da ammortizzatori sociali diffusi, perché non si trasformi in precarietà. Queste tutele esistono nei Paesi socialmente più sensibili come quelli nordici. È necessario che le loro buone pratiche si estendano a tutti, compresa l’Italia.
L’Ulivo l’ha già proposto con il disegno di legge sulla carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Questo vale per altre buone pratiche europee, in tema di protezione sociale, di lotta all’esclusione, di sostegno ai bassi redditi. È difficile immaginare che l’Europa possa procedere verso la costituzione di un vero mercato unico mantenendo le attuali - o addirittura crescenti - disparità sia nelle regole del mercato del lavoro sia negli istituti di natura sociale. In un’epoca in cui la crescita dipende largamente dalla valorizzazione del capitale umano, questo settore va considerato non un peso ma un fattore propulsivo della stessa crescita. Solo un’Europa rafforzata nei contenuti democratici e sociali può conquistare la fiducia dei propri popoli. Inoltre così può agire positivamente nel mondo globalizzato non solo come grande potenza, ma come protagonista nel difficilissimo compito di democratizzare la globalizzazione.

Tags: sociale lavoro Europa Unione Europea Tiziano Treu lavoratori anno 2004

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