COMMISSIONE AFFARI SOCIALI. LUDOPATIE: NON BASTANO VOLONTARIATO, ASSOCIAZIONISMO, STRUTTURE IN DIFFICOLTÀ
di Francesco Tolotti, presidente della Fondazione Unigioco
A partire dai primi mesi di quest’anno, su iniziativa dell’on. Margherita Miotto, parlamentare del PD, la commissione Affari sociali della Camera dei Deputati ha deliberato una serie di audizioni, in vista della redazione di un progetto di legge in materia di contrasto delle ludopatie e delle dipendenze da gioco. Si tratta di un tema scottante, come mostra la crescente attenzione dedicatavi dai mass media nazionali e locali, che merita di essere affrontato con serietà e rigore. Sono stati auditi in qualità di esperti psichiatri, psicoterapeuti, personale dei sert (servizi per le tossicodipendenze), membri di associazioni onlus in prima linea nella lotta contro le dipendenze, responsabili di comitati e associazioni che lottano contro l’usura e altre forme di illegalità. Tra gli altri, la commissione ha ritenuto di audire anche chi scrive, in virtù dell’esperienza in materia acquisita nel corso della sua attività parlamentare. Di seguito, la trascrizione di quella audizione.
Nel ringraziare la commissione per l’opportunità offertami con la presente audizione, voglio in primo luogo precisare che la qualifica di esperto che mi è attribuita in questa sede non deriva dal possesso di competenze e titoli di studio in ambito medico, psicologico o psicoterapeutico, ma semplicemente dall’esperienza acquisita nel corso della mia attività parlamentare. Come componente della commissione Finanze della Camera nella XIV legislatura e vicepresidente della medesima commissione nella XV, ho avuto modo di accostare e progressivamente approfondire i problemi legati all’offerta pubblica di gioco proprio in un periodo cruciale, che ha visto crescere sostanziosamente il fatturato dell’industria del gioco, fino a proporsi come il terzo settore del Paese, secondo la ricerca pubblicata nel 2009 dall’Eurispes.
Ciò ha avuto conseguenze significative per le entrate dello Stato ma ha determinato ricadute non di rado problematiche, quando non decisamente negative, sotto il profilo del rischio sociale: diffusione nella popolazione di comportamenti compulsivi e di ludodipendenze, attrattività del settore per organizzazioni criminali desiderose di investire o riciclare i proventi di affari illeciti ecc. Terminato il mio incarico parlamentare, l’attuale esperienza nella Fondazione Unigioco - sorta nel 2009 su iniziativa di Gamenet, una delle 10 concessionarie di gioco pubblico, e di Eurispes, istituto di ricerca noto per la sua attività in molteplici settori della vita del Paese - rappresenta la prosecuzione di un impegno nella convinzione che quello del gioco è un settore difficile, che richiede un approccio laico ed equilibrato.
Uso il termine «laicamente» non a caso, perché il settore del gioco pubblico, per la rilevanza degli interessi che mobilita e per la serietà dei problemi sociali che solleva, tende inevitabilmente a suscitare valutazioni e atteggiamenti contrapposti, talora non esenti da prese di posizione pregiudiziali. Si registrano così da un lato un approccio fortemente limitativo quando non esplicitamente proibizionista, che punta il dito sugli effetti considerati socialmente devastanti della diffusione dell’offerta di gioco, denuncia lo «stato biscazziere» e fornisce cifre allarmanti sul volume di gioco illegale e sul dilagare delle ludodipendenze, anche se non sempre questi dati sono puntualmente suffragati da ricerche e indagini scientificamente fondate; dall’altro lato un approccio che spinge per un’offerta di gioco senza limiti e considera con insofferenza i vincoli che nella giurisdizione italiana sono posti all’offerta e all’esercizio del gioco lecito.
Guardando al panorama europeo ed internazionale e tenendo conto della situazione italiana prima dell’avvio del processo di emersione del gioco pubblico -costituito da vasta diffusione di offerta di gioco illegale, assoluta mancanza di regole e di tutele per il cittadino utente/giocatore, realizzazione di consistenti profitti sottratti a qualsiasi tassazione e perciò particolarmente attrattivi per il malaffare in genere -, resto convinto della necessità di un approccio regolatore, che riconosca la diffusione del gioco come fenomeno sociale e di costume, ma non eluda i problemi, spesso gravi, che ad esso sono connessi: presenza di sacche diffuse di gioco illegale, innegabile attrattività del settore per organizzazioni malavitose che hanno capitali da «lavare» o riciclare, conseguenze potenzialmente pesanti sulla vita dei soggetti psicologicamente più deboli ecc. Insomma, anche questo settore ha bisogno di promuovere cultura e conoscenza, come basi per l’affermazione di una moderna e corretta cultura di impresa, legittimamente mirante al profitto ma consapevole delle responsabilità sociali che le competono.
Ritengo che l’iniziativa assunta dalla commissione sia estremamente importante, perché denota l’affermarsi di un’adeguata consapevolezza dei problemi, che finora era mancata. Da quando, prima con la Finanziaria del 2004 e poi con il decreto Bersani del 2006, si è puntato sulla regolarizzazione e sull’emersione del settore, la legislazione in materia è stata troppo spesso farraginosa e improntata a logiche di emergenzialità; cito un esempio per tutti: l’ampliamento dell’offerta di gioco tramite l’introduzione di macchine «aggressive» come le VLT, sia pure in locali specificamente dedicati, in occasione del decreto «Salva Abruzzo».
In quell’occasione le risorse «cash» per i primi interventi di ricostruzione sono state fornite dal settore del gioco pubblico tramite l’aggiudicazione ai concessionari già operanti nel settore dei cosiddetti «apparecchi da intrattenimento» - le slots presenti nei bar e negli esercizi commerciali - di diritti per l’installazione di videolotteries al prezzo di 15.000 euro a fondo perduto per ogni macchina. Ciò è avvenuto a tappe forzate, senza che si affrontassero in profondità e con il tempo necessario tutte le questioni di opportunità e gli eventuali profili di rischio sociale connessi a questa decisione.
Ma le carenze legislative più evidenti e gravi hanno riguardato finora proprio il tema dello studio, della prevenzione, del contrasto dei rischi sociali (ludopatia, compulsività) connessi al gioco; in questa materia ci si è limitati alle campagne istituzionali dell’AAMS sul gioco responsabile - doverose, ma è legittimo domandarsi anche quanto efficaci - e l’iniziativa è stata lasciata al volontariato e all’associazionismo o a strutture operanti in condizioni di difficoltà quanto a dotazione e strumentazione; si pensi alla questione dei lea e dei protocolli che non riconoscono la ludodipendenza.
Come accennavo in precedenza, le cifre che attestano la crescente diffusione del gioco pubblico vanno lette e interpretate con attenzione e sono suscettibili di valutazioni in positivo: conseguenze positive della regolarizzazione sull’affidabilità dei dispositivi di gioco, aumento delle entrate erariali, emersione del gioco irregolare e sommerso; e in negativo, soprattutto in relazione a un mercato su cui si spinge eccessivamente, con il rischio di monetizzare il disagio e il disadattamento sociale che derivano da condotte di gioco non equilibrate e fuori controllo. Pertanto considero positivamente molte delle proposte emerse recentemente in progetti di legge, nazionali e regionali, dedicati ai problemi oggetto dell’audizione di oggi, in particolare:
- il riconoscimento delle ludopatie come dipendenze che debbono rientrare nei piani di assistenza e terapia previsti dalla sanità pubblica, naturalmente tenendo conto che spesso esse si presentano in connessione con altri tipi dipendenza;
- l’adozione di misure efficaci per il rispetto della legge che già adesso vieta l’accesso dei minorenni al gioco d’azzardo nelle sue diverse forme: le slots nei locali pubblici, le diverse tipologie di lotteria, il gratta e vinci, le scommesse e tutta l’articolata offerta di gioco pubblico;
- particolare attenzione e impegno dovrebbe essere dedicato ai problemi posti dalla diffusione del gioco on line, che presenta caratteristiche peculiari e potenzialmente assai pericolose per l’impatto che può avere soprattutto sugli utenti più deboli, tra cui vanno annoverati ovviamente i minorenni, soprattutto quando non sono adeguatamente seguiti in famiglia; non va, infatti, sottovalutato il fatto che nel gioco on line esercitato da casa propria il giocatore è solo davanti al computer e gioca somme in denaro che, pur assolutamente reali, possono apparirgli come «virtuali»;
- appaiono ragionevoli anche le proposte di limitazione e controllo della pubblicità sul gioco, laddove l’obiettivo perseguito sia quello di contribuire ad un mercato del gioco regolato e responsabile e non un mero proibizionismo che, a mio parere, ottiene risultati opposti a quelli che intende perseguire;
- indispensabile è da considerarsi la promozione di campagne informative, secondo format predisposti a livello nazionale, da attuare su scala capillarmente territoriale, attraverso la collaborazione tra istituzioni locali e scuola;
- opportuna appare anche la promozione di concerto con le associazioni di categoria, di un vasto piano di formazione di base per promuovere un adeguato livello di responsabilità sociale nei soggetti commerciali che costituiscono la rete di distribuzione del gioco pubblico: si pensi al ruolo svolto da baristi, tabaccai ed esercenti in genere nell’offerta di gioco, e all’importanza economica che tale offerta riveste per molte attività commerciali.
Vorrei ribadire quella che a mio avviso rappresenta una vera e propria priorità, una precondizione perché gli interventi necessari in un ambito così delicato e complesso possano poggiare su basi solide e consapevoli: se c’è un limite o un possibile rischio da evitare è quello di prendere posizione, proporre interventi, sollecitare misure senza avere un quadro il più possibile preciso della realtà dei fatti. In questi giorni, in cui l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica è focalizzata sulle questioni di cui stiamo discutendo, capita spesso di avere a che fare con una ridda di dati, spesso non omogenei né coerenti tra loro, che riguardano il numero dei soggetti ludopatici, dei minori che entrano a diverso titolo in contatto con il gioco, la diffusione del gioco clandestino ecc.
Tra gli articoli più recenti vorrei richiamare quello apparso su Repubblica di venerdì 23 marzo che riportava, accanto alla stima di mezzo milione di soggetti a rischio, un dato certo, riferendo di 6 mila persone seguite dai serd (servizi per le dipendenze patologiche) per problemi connessi a ludodipendenza, o che presentano sintomi di ludodipendenza in affiancamento ad altre dipendenze (da alcol, da droghe, da shopping ecc.).
Nella fattispecie abbiamo a che fare con un dato certo, mentre in altri casi le cifre fornite sono frutto di stime e valutazioni e possono variare anche significativamente; per esempio in Italia soggetti in qualche misura dipendenti dal gioco andrebbero, a seconda delle fonti, dai 300 mila a un milione, e c’è chi parla anche di più milioni: si tratta di un divario molto ampio, che presenta, ai due estremi, scenari sensibilmente diversi; e oscillazioni analoghe si registrano nella stima dei minori coinvolti, nella valutazione della diffusione e dell’impatto del gioco clandestino, e così via.
Occorre fare ogni sforzo per disporre di una più aggiornata e affidabile base di conoscenza del settore del gioco pubblico e dei suoi problemi. Una situazione preoccupante e complessa come quella che dobbiamo affrontare richiede risposte puntuali ed efficaci, che potranno essere date solo sulla base di conoscenze derivanti da indagini condotte con metodi scientificamente fondati. Per reperire le risorse necessarie, penso sia giusto guardare, oltre che al bilancio dello Stato, ai soggetti e ai grandi operatori economici che legittimamente dal mercato del gioco pubblico traggono profitti: percentuali dei loro utili potrebbero essere defiscalizzate e fatte confluire in un fondo nazionale per lo studio delle patologie e dei rischi sociali connessi al gioco; quote dei proventi che l’erario ricava dal gioco pubblico potrebbero essere destinate al sostegno di programmi di prevenzione e contrasto delle ludopatie, coordinati dal ministero degli Affari sociali.
Questi interventi dovrebbero essere studiati in modo tecnicamente accurato dal punto di vista della sostenibilità finanziaria: troppo spesso proposte di aggravio del prelievo recentemente avanzate in Parlamento avrebbero comportato, se accettate, di riflettersi negativamente sulla quantità di somme giocate che deve essere restituita ai giocatori sotto forma di vincita, o avrebbero messo a rischio la tenuta complessiva del sistema.
L’altro versante su cui è necessario muoversi con prudenza e cautela è quello normativo, dal momento che, come altri ambiti, anche il settore del gioco è sottoposto a normative primarie di origine europea, rispetto alle quali la produzione legislativa nazionale non può esercitarsi in piena autonomia.