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PATTO DI STABILITà. UNA MANOVRA INADEGUATA ALLA STAGNAZIONE E ALLA CONFUSIONE IN CUI è IL PAESE

di GIORGIO BENVENUTO, presidente della fondazione Bruno Buozzi

La legge di stabilità, ovvero la Finanziaria per il 2011, è stata approvata definitivamente in seconda lettura al Senato il 7 dicembre scorso. Non era mai accaduto prima. In passato, infatti, come minimo erano necessari tre passaggi nei diversi rami del Parlamento: di solito la legge finanziaria si approvava «in zona Cesarini» alla vigilia di Natale e qualche volta addirittura negli ultimi giorni di dicembre. Spesso si doveva tornare sull’argomento immediatamente e tempestivamente all’inizio dell’anno con decreti legge correttivi o interpretativi. Questa volta si è dovuto agire diversamente. Preoccupato per il deflagrare della crisi politica del centrodestra, il Presidente della Repubblica è riuscito a convincere le forze politiche a posporre la discussione sulle mozioni di sfiducia al Governo per evitare al Paese di trovarsi privo di guida politica e, di conseguenza, inerme di fronte agli attacchi della speculazione finanziaria.
L’obiettivo è stato raggiunto. Ma, ancora una volta, si è dovuti ricorrere ad una manovra ordinaria, di contenimento, insomma inadeguata rispetto alla stagnazione nella quale è ormai impantanata l’economia del Paese. In sostanza le principali misure correttive previste dalla legge riguardano il lavoro, le risorse finanziarie, gli enti locali, l’università. Vengono rifinanziati i trattamenti di integrazione salariale, di mobilità e di disoccupazione speciale: l’occupazione sta calando in maniera preoccupante e il ricorso alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria è sempre più allarmante.
Non sono previste iniziative specifiche di sostegno e di stimolo alla produzione. Le aziende e i lavoratori potranno avere accesso allo sgravio contributivo sui premi di produzione ed è prevista la tassazione ridotta del 10 per cento, sostitutiva di Irpef e addizionali, per le somme collegate alla produttività; si tratta, come si comprende, di misure innovative apprezzabili ma di scarsa efficacia in una situazione caratterizzata dalla caduta degli indici di produzione.
Nulla è previsto, invece, a favore delle imprese (il fisco soffoca l’industria, in Italia il tax rate arriva al 48 per cento rispetto al 26 per cento della Spagna e della Germania) e a sostegno della famiglia e dei redditi più bassi; a partire dal prossimo mese di marzo i redditi soggetti all’Irpef subiranno un incremento delle addizionali comunali e regionali dallo 0,5 allo 0,8 per cento a seconda della situazione. Il silenzio perdura invece sulla tassazione delle rendite finanziarie e sui grandi patrimoni. L’Italia registrerà un ulteriore incremento della pressione fiscale, che la collocherà ai vertici della classifica dei Paesi con i maggiori indici di tassazione.
L’aumento non sarà solo quantitativo ma accentuerà i propri aspetti sperequativi a danno del lavoro e della competitività. Ogni ipotesi di riforma si allontana nel tempo. Si moltiplicano i tavoli di discussione, di analisi, di approfondimento su sempre più improbabili scenari salvifici di cambiamento, senza nessuna ipotesi di intervento immediato. Eppure la legge di stabilità garantisce maggiori entrate, attese principalmente dalla vendita delle frequenze del digitale terrestre, dalla lotta all’evasione fiscale e dai giochi.
L’assegnazione delle frequenze per le telecomunicazioni, per il passaggio dalla tv analogica a quella digitale, dovrebbe portare ad incassare 2,4 miliardi, una previsione, a detta di molti commentatori, largamente sovrastimata. Sul fronte dell’azione di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, il fisco farà un uso più ampio dell’accertamento parziale anche rispetto a situazioni antecedenti al 2011. Diventerà più caro fare la pace con esso. In caso di resa del contribuente alla pretesa fiscale sono riviste al rialzo tutte le misure agevolate di definizione delle sanzioni, sia in caso di spontanea regolarizzazione sia in caso di conclusione della lite dopo un’iniziativa del fisco.
Particolari misure sono adottate dal «pacchetto giochi». Ingenti incassi deriveranno dalla stretta sul gioco illegale, dalle sanzioni a chi fa giocare minori di 18 anni, dall’azione contro le ludopatie. Saranno introdotte nuove tipologie di giochi, saranno incrementati i controlli, sarà finalmente attuata una banca dati di tutti gli apparecchi di intrattenimento e di gioco presenti nel territorio, mappando anche le new slot e le vtl ossia le video lotterie.
Il patto di stabilità per gli enti locali - Comuni e Province - avrà un doppio obiettivo. Il primo impone il saldo zero a tutti; il secondo, diverso ente per ente, sarà proporzionale alla spesa corrente del periodo 2006-2008. Gli enti decentrati non potranno accendere nuovi mutui se la spesa per gli interessi maturati supera l’8 per cento delle entrate dei primi tre titoli: tributi, tariffe, trasferimenti. Il blocco delle assunzioni è rafforzato: ne è prevista, con la deroga della polizia locale, una sola per ogni 5 cessazioni.
Rispetto alla manovra originaria è stato reintrodotto per un anno il bonus del 55 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici spalmandolo non più in cinque ma in dieci anni. Sono diminuiti i tagli al fondo di finanziamento ordinario delle Università. La riduzione dei tagli sarà infatti di 800 milioni di euro per il 2011 e di 500 milioni annui a decorrere dal 2012. Sono invece previsti 100 milioni in più per le borse di studio agli studenti fuori sede e altri 100 milioni per il bonus fiscale riconosciuto a chi investe in ricerca negli atenei. Per le università private, poi, sono in arrivo 25 milioni di euro. È una correzione molto limitata che compromette la riforma Gelmini, che pure contiene apprezzabili elementi di cambiamento, ingiustamente demonizzati dalla confusa protesta di questi giorni.
È ripristinato il 5 per mille solo per il 2011, iscrivendo 100 milioni in bilancio rispetto ai 400 milioni erogati per ognuno degli anni precedenti. E le misure per il rilancio dell’economia? E quelle per le famiglie? E quelle per correggere i tagli sulla cultura, sulla sicurezza, sull’autosufficienza? e quelle per il pagamento degli ingenti debiti dell’amministrazione pubblica nei confronti dei fornitori? E quelli per la fiscalità di vantaggio? E quelli per la ricerca? E così via.
Non c’è nulla. È tutto rinviato al decreto mille proroghe. È un treno dei desideri sul quale vogliono salire tutti. Sono già pervenute alla Presidenza del Consiglio, con un vero e proprio assalto alla diligenza, 200 richieste di proroga dai diversi ministeri. Nel 2010 il decreto mille proroghe era nato con 77 proroghe, divenute 150 alla fine del provvedimento di conversione. Difficile fare previsioni. Le più gettonate sono quelle sul 5 per mille, sull’uso degli oneri di urbanizzazione, sugli studi di settore, sulla riforma della riscossione negli enti locali, sulle assunzioni in deroga per concorsi già effettuati, sui ticket sanitari, sulle graduatorie degli insegnanti, sugli sfratti, sugli incentivi all’autotrasporto.
Insomma si avanza con il metodo stop and go. Si parla di riforme, ma si procede senza una visione strategica, cercando di tamponare le emergenze. È importante lo sforzo di contenimento della spesa pubblica - anche se l’ammontare del debito pubblico, come ha recentemente ricordato il Governatore della Banca d’Italia, continua ad aumentare in maniera preoccupante e pericolosa -, ma è criticabile l’assenza di iniziative per stimolare l’economia e sostenere la domanda interna.
La situazione politica è bloccata. Il Governo ha ottenuto la fiducia alla Camera per pochi voti. Le opposizioni minacciano la filibustering su ogni provvedimento. La legislatura è di fatto compromessa. Lo sbocco delle elezioni politiche anticipate è sempre più all’ordine del giorno. Si farà forse di tutto per evitare di arrivare alle elezioni a marzo, per la coincidenza con le celebrazioni dell’Unità d’Italia, proclamata il 17 marzo 1861. Allo stato attuale lo scenario delle elezioni anticipate rimane il più probabile. È difficile immaginare di poter governare il Paese con una maggioranza risicata e raccogliticcia, è impossibile governare con un’opposizione frammentata che rincorre e si appropria di ogni protesta. Tutto è paralizzato.
La riforma elettorale è pensata e discussa ad uso e consumo della sopravvivenza del ceto politico, invece di essere calibrata sulle esigenze del Paese che chiede una forte riduzione dei costi della politica (è l’unica spesa che lievita e che non si riesce a scalfire: il Parlamento ha addirittura respinto un taglio ai rimborsi elettorali per destinare il ricavato alla ricerca) e la ricostituzione del rapporto democratico tra elettore ed eletto con la reintroduzione della preferenza.
Il Paese non può attendere. La situazione sociale è sempre più complessa e complicata. Le istituzioni vedono progressivamente ridurre la propria autorevolezza e la propria capacità di rappresentanza. Il Governo, i partiti, i sindacati, la Confindustria, persino la Chiesa, sono in difficoltà. Dilaga la protesta, cresce la disperazione, esplodono fenomeni di ribellismo, aumenta il qualunquismo. Giampaolo Pansa da diversi mesi, inascoltato, ha espresso, dinanzi a contestazioni sempre più diffuse, il rischio di ritrovarsi in una fase analoga a quella che negli anni Settanta vide la nascita del terrorismo. Gli episodi di Roma, le contestazioni ricorrenti ai sindacati, l’intolleranza, la violenza verbale nei talk show, sono il pane quotidiano che offre la politica nel nostro Paese.
È giunto il momento di dire basta. All’impotenza e alla rassegnazione si deve contrapporre un’offensiva costruttiva che obblighi tutti a misurarsi con i problemi da troppo tempo irrisolti del Paese. Il confronto deve avvenire sul merito. Vanno definite le priorità, va ricercato l’equilibrio tra le diverse esigenze, va realizzato il coinvolgimento delle forze economiche e sociali del Paese. Le riforme sono necessarie, anzi inevitabili. È possibile farle solo se si ripristinerà un civile confronto nella politica, nell’economia e nel sociale.

Tags: Giorgio Benvenuto fisco giochi e scommesse Gennaio 2011

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