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CREDITO. IL SOSTEGNO ALLO SVILUPPO DELLE PICCOLE IMPRESE

del sen. Riccardo Pedrizzi

Nel rapporto 2003 di Artigiancassa sul credito e sulla ricchezza finanziaria delle imprese artigiane viene evidenziata una diminuzione dei finanziamenti delle banche. Al 31 dicembre 2002 gli impieghi del sistema bancario a favore di tali imprese ammontavano a 49.870 milioni di euro, pari al 4,9 per cento dell’intero credito bancario concesso alle imprese: nel 1998 erano, invece, il 5,3 per cento. La quota del 4,9 per cento, sottolinea Artigiancassa, sta di fronte a un peso economico dell’artigianato che realizza quasi il 14 per cento del prodotto interno, il 21 per cento dell’occupazione nelle imprese, il 18 per cento dell’export. Sul totale degli impieghi circa l’86 per cento sono localizzati nel centro-nord. Le regioni con la quota maggiore di credito destinato alle imprese artigiane sono le Marche con l’11,1 per cento, il Trentino Alto Adige con il 9,5 e il Veneto; il Lazio è il fanalino di coda con l’1 per cento.
Su scala nazionale il 52,9 per cento degli impieghi bancari alle imprese artigiane è a breve termine. L’importo medio per singola impresa è di 34.900 euro, con una netta differenza fra centro-nord (40.600 euro per impresa), e il Mezzogiorno (18.600 euro). I dati sopra evidenziati si inseriscono in un quadro problematico generale dei rapporti tra banche e piccole e medie imprese. In un recente rapporto dell’Isae si analizzano in modo approfondito tali aspetti: i dati presi in esame confermano la tesi secondo la quale in Italia gli ostacoli bancari al finanziamento e alla crescita delle piccole e medie imprese riguardano più il costo del credito che la sua disponibilità.
Particolari difficoltà interessano il Meridione. In effetti in tale area la domanda di credito non solo si colloca nelle classi inferiori di fido e risulta inferiore a quella espressa dalla media nazionale e dalle altre zone geografiche del Paese, ma è anche relativamente poco sofisticata ed è incentrata soprattutto sul credito bancario a breve termine, nella forma di scoperto di conto corrente. A ciò si aggiunge l’evoluzione della struttura del settore bancario nel Mezzogiorno, dove il processo di ristrutturazione e consolidamento si è manifestato attraverso la progressiva acquisizione di banche meridionali da parte di istituti di credito generalmente più grandi, con sede nelle regioni del centro-nord.
Tale fenomeno può aver indotto a una qualche restrizione generale dell’offerta di credito, a una maggiore scrematura dei clienti e a una valutazione del merito di credito fondata su sistemi altamente standardizzati e che di norma, se applicata alle piccole e medie imprese, tende a innalzare il costo del credito. Per quanto concerne poi quest’ultimo, il rapporto dell’Isae evidenzia che, nel quadro di una generale tendenza alla diminuzione dei tassi attivi, «le classi di fido minori per l’Italia meridionale sopportano i tassi più elevati in assoluto». Su tale andamento incide senz’altro la circostanza che gli impieghi verso le piccole e medie imprese meridionali sono più rischiosi: nel Sud l’incidenza delle sofferenze sugli impieghi è pari a oltre 5 volte quella dell’Italia settentrionale e a circa il triplo di quella centrale.
In tale contesto un primo aspetto sul quale si è concentrata l’attenzione del Governo e del Parlamento è stato il miglioramento del rapporto tra imprese e banche sul problema delle garanzie. Infatti la richiesta di garanzie accessorie costituisce una condizione quasi irrinunciabile nella concessione del credito alla piccola e media impresa. Una piccola impresa, costituita da poco ma dalle ampie possibilità di crescita, è raramente in grado di fornire le garanzie richieste, che spesso in questi casi sono ingenti. Una soluzione allora è di stimolare la scelta associazionistica.
Secondo il rapporto dell’Isae, tra i vari esempi incoraggianti in tale direzione uno dei migliori è costituito dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi o Confidi. Per questo occorreva il varo di una normativa quadro che regolamentasse l’attività dei Confidi, e soprattutto la rendesse coerente con le conseguenze attese dall’entrata in vigore di Basilea 2. La riforma varata con il decreto legge n. 269 del 2003 è appunto diretta a favorire lo sviluppo e l’operatività dei Confidi. Va infine preservato e favorito il ruolo delle banche locali.
Come evidenzia la ricerca «Banche italiane: tra economia reale e utopie finanziarie», curata dalla Fondazione per la sussidiarietà, lo sviluppo del sistema economico italiano deve molto alle banche locali. Il finanziamento delle iniziative imprenditoriali, soprattutto nel segmento di quelle medie e piccole, è stato possibile grazie alla maggiore partecipazione e alla maggiore «vicinanza» all’impresa che le banche locali hanno saputo esprimere. In Italia il processo di concentrazione ha portato, alla fine del 2002, a un sistema bancario composto da 814 banche di cui 17 maggiori e 764 piccole; di queste ultime solo 461 erano banche di credito cooperativo rispetto alle 725 del 1990.
La raccolta diretta nelle banche di piccole dimensioni ha circa lo stesso peso di quelle maggiori, ossia il 58,38 rispetto al 58,55; i prestiti alla clientela al 31 dicembre 2002 pesavano assai maggiormente per le banche piccole rispetto alle banche maggiori: il 58,62 per cento dell’attivo, rispetto al 52,62. Per questi motivi è necessario che alle grandi banche si affianchino quelle definite «banche di prossimità». La soluzione auspicata nella ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà è un sistema bancario caratterizzato dalla convivenza tra istituti di grandi dimensioni che possano competere nei segmenti più soggetti a economie di scala, e istituti di minori dimensioni che possano sostenere con efficienza il ruolo di tutela del risparmio e di sostegno alla crescita delle piccole e medie imprese.
Tornando alla situazione nel Lazio, occorre riaffermare l’importanza di un sistema bancario diffuso e attento alle esigenze dell’area in cui opera. Negli ultimi anni il sistema bancario in tale regione è sembrato privilegiare i grandi affari trascurando lo sviluppo dell’economia locale. I casi Cirio e Parmalat, i grandi investimenti nella telefonia, il dissesto finanziario delle squadre di calcio, sono spesso evocati come esempi di come il sistema bancario nel Lazio abbia finanziato, spesso a rischio, le grandi operazioni, trascurando la parte sana dell’economia.
Gli artigiani sono stati spesso lasciati soli dalle banche della regione, soprattutto da quelle più grandi; nonostante ciò sono cresciuti, hanno assunto nuovo personale e competono quotidianamente sul mercato. Come è stato osservato da più parti, se queste imprese avessero avuto dalle banche l’appoggio che i loro colleghi delle altre province e regioni hanno ricevuto negli stessi mesi, il sistema economico laziale avrebbe registrato un successo ancora maggiore di quello realizzato.

Tags: credito anno 2004 Riccardo Pedrizzi

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