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ROBERT WESCOTT: 2005 OK PER GLI USA, CON PROBLEMI PER L'EUROPA

di Robert Wescott, già capo economista dell’ex presidente Clinton

Il 2004 è stato un anno importante per l’economia mondiale, il migliore degli ultimi due decenni. La Cina, gli Stati Uniti e il Giappone hanno registrato una crescita relativamente robusta; fra le altre principali regioni del mondo, solo l’Europa ha registrato prestazioni inferiori. Se guardiamo al futuro, si potrebbe affermare che ci dovrebbe essere uno sviluppo solido nell’anno 2005 in Asia e nell’America del Nord, anche se a un tasso relativamente più modesto. Nel frattempo, il prodotto interno lordo dell’Europa crescerà lentamente, mentre i poteri politici continueranno a lottare per raggiungere la combinazione più adatta per stimolare politiche strutturali e macroeconomiche. Il prezzo del greggio continuerà a pesare negativamente sulla crescita, e gli indici d’occupazione a livello mondiale spingeranno sempre verso l’alto la tendenza a un processo inflazionistico. I tassi d’interesse continueranno a crescere nel 2005 a livello mondiale limitando lo spazio di manovra da parte dei vari Governi necessario per utilizzare stimoli fiscali per galvanizzare le proprie economie nazionali. Da ultimo, le incertezze in Iraq e nel resto del Medio Oriente rappresentano pur sempre una costante minaccia alla stabilità mondiale, e l’insostenibile disavanzo commerciale degli Stati Uniti rimane un pericolo per il dollaro e per i mercati finanziari globali.
Nel 2005 l’economia Usa crescerà a un tasso del 3 per cento circa. Gli investimenti sono andati aumentando nel 2004, e dovrebbero quindi stimolarla anche nell’anno in corso. Un dollaro ancora più debole dovrebbe continuare a servire di sostegno alle esportazioni, così com’è stato negli ultimi trimestri dell’anno scorso. Sono peraltro assai indicativi gli effetti del prezzo del greggio aumentato di 20 dollari circa al barile: una riduzione dello 0,8 per cento del tasso di crescita del prodotto interno per due anni di seguito, una perdita di 900 mila posti di lavoro nello stesso biennio, un aumento dell’indice dei prezzi al consumo rispettivamente del 2 e dell’1,3 per cento nei due anni in oggetto.
I responsabili cinesi stanno facendo rallentare la crescita del credito e aumentare i tassi d’interesse nel tentativo di evitare il surriscaldamento dell’economia del Paese. È probabile che il tasso di crescita della Cina diminuisca dall’8-9 per cento di quest’anno, per attestarsi attorno al 6,50 o 7,50 nel 2005. Anche la crescita del Giappone rallenterà probabilmente dal 4 per cento del 2004 fino a forse il 2,50 circa nel 2005, in parte a causa del rallentamento delle esportazioni verso i suoi mercati principali, che sono la Cina e gli Stati Uniti.
L’Europa ha chiuso il 2004 con una crescita inferiore al 2 per cento. La produzione industriale ha perso slancio nei mesi estivi e le attività in Germania sono apparse particolarmente deboli. Una buona notizia è che i profitti sono stati ottimi in quasi tutta l’Europa, il che porterà probabilmente al rilancio degli investimenti nel 2005. Per contro ci sono tre fattori negativi: l’economia mondiale sarà più morbida nel 2005 e quindi la richiesta di esportazioni non aumenterà tanto quanto nel 2004; l’euro è andato rivalutandosi notevolmente rendendo più costose le esportazioni europee; molte aziende europee potrebbero usare i profitti per investire all’estero nei Paesi a minor costo di manodopera. D’altro canto l’Europa sembra mantenere un equilibrio per la crescita del prodotto interno tra l’1,50 e il 2,25 per cento nel 2005, più o meno lo stesso risultato del 2004.

La sfida più importante che l’Europa dovrà affrontare
La sfida più grande che l’Europa dovrà affrontare sarà rappresentata dal miglioramento del tasso di crescita economica e dagli stimoli a una maggiore produttività. È, infatti, il livello di produttività che stabilisce lo standard di vita di qualsiasi Paese nel mondo. Per tutto il periodo post-bellico l’Europa, partendo dal 40 per cento circa, ha gradualmente inseguito e quasi raggiunto il livello di produttività degli Stati Uniti. Nell’ultimo decennio, però, ha perso terreno e si trova ora all’85 per cento del livello di produttività degli Usa.
Questa è la ragione dell’importanza della Strategia di Lisbona. Il professor Robert Gordon della Northwestern University ha presentato un nuovo studio in cui esamina le cause del rallentamento della produttività in Europa nel corso degli ultimi 10 anni. Egli ha individuato tre settori specifici - il commercio all’ingrosso, il commercio al dettaglio e le transazioni finanziarie - come le principali cause del rallentamento della produttività europea. Egli sostiene anche l’importanza degli atteggiamenti, visto che va promosso il dinamismo economico.
Occorrono maggiore concorrenza e più finanziamenti per le nuove iniziative, un ambiente più accogliente per gli immigrati con elevate capacità professionali e maggiore mobilità della forza lavoro. L’Europa deve anche stimolare l’ambizione e l’indipendenza dei propri giovani e adulti che stanno creandosi una cultura di dipendenza. Da ultimo, il sistema educativo europeo va migliorato, specie nei livelli superiori.

L’impatto della rielezione del presidente degli Usa George Bush
Il 4 novembre scorso il presidente George Bush è stato rieletto per un secondo quadriennio con una maggioranza di voto pari al 51,48 per cento. Le nuove nomine e gli spostamenti dei suoi collaboratori effettuati sinora sembrerebbero suggerire che la nuova amministrazione Bush potrebbe essere ancor più ideologicamente conservatrice della prima. L’unico multilateralista dell’amministrazione Bush, il segretario di Stato Colin Powell, è in partenza, quindi le argomentazioni a favore dell’operare assieme agli alleati e di appoggiarsi all’Onu sembrano sempre meno probabili nelle discussioni e decisioni politiche del Governo Usa. Frattanto resta in carica come segretario alla Difesa il neo-conservatore Donald Rumsfeld, mente la consigliera per la sicurezza nazionale Condoleeza Rice, un altro falco in politica estera, andrà a sostituire Powell.
In politica estera, la nuova équipe presterà forse un po’ più attenzione che nel passato alla diplomazia, ma sarà sicuramente pronta ad agire da sola nel mondo tentando di convincere l’Europa a pensarla in modo consono agli Stati Uniti. Per sfortuna sembrano probabili altri confronti, magari in Iran o nella Corea del Nord, Paesi che Bush ha etichettato come membri dell’«asse del male». Probabilmente la nuova équipe di Bush si adopererà per costruire alleanze ad hoc solo dove vede degli interessi in comune. Potrebbe per esempio forgiare relazioni più strette con la Russia per la lotta contro gli estremisti mussulmani, o con la Cina per assicurarsi le forniture. È assai probabile che ci sarà minore interesse verso le alleanze permanenti generali quali la Nato o la tradizionale collaborazione transatlantica. È probabile che gli anni a venire porteranno a sempre maggiori attriti nelle relazioni internazionali, incertezze in Iraq e nel Medio Oriente, nonché avvenimenti potenzialmente sovversivi nei prezzi internazionali dell’energia
I principali fattori di rischio per l’economia mondiale e per i mercati finanziari
Gli Stati Uniti registrano un disavanzo commerciale - chiamato «conto corrente» - pari a quasi il 6 per cento del prodotto interno lordo, una situazione chiaramente insostenibile. Finora tale disavanzo è stato finanziato dall’arrivo negli Stati Uniti di quasi tre miliardi di dollari di capitali esteri ogni giorno d’apertura dei mercati. Negli ultimi due anni, però, si è verificato un notevole declino nell’interesse da parte dei Paesi stranieri verso le azioni Usa. Per contro, gli afflussi maggiori di denaro provengono dalle banche centrali cinesi, giapponesi e asiatiche, che stanno acquistando massicce quantità di azioni statali americane per sostenere le proprie valute nella loro rivalutazione rispetto al dollaro.
Le indicazioni sono assai variegate, ma potrebbe esservi un qualche rallentamento di tali acquisti, specialmente da parte del Giappone. Se i Paesi interessati continuano a rallentare i propri acquisti, potrebbero determinarsi un notevole aumento dei tassi d’interesse Usa, un notevole deprezzamento del valore del dollaro e potenziali rivoluzioni a livello dei mercati finanziari globali. Potrebbero aumentare i tassi d’interesse in tutto il mondo, con il conseguente crollo delle borse finanziarie. Paul Volcker, il predecessore di Allen Greenspan come governatore della Banca Centrale, prevede al 75 per cento la possibilità che l’enorme disavanzo commerciale degli Stati Uniti possa portare a un collasso finanziario nel prossimo quinquennio. Questa stima potrebbe essere un poco eccessiva, ma rappresenta comunque una minaccia seria.
Già ora le preoccupazioni relative al disavanzo commerciale Usa stanno portando a un declino del valore del dollaro nei confronti dell’euro. È già stata superata la soglia dell’1,30 e sembra probabile l’instaurarsi di un tasso di cambio pari a 1,40 o 1,50. Non si può neanche escludere un eventuale cambio a 1,60. Nell’ormai lontano 1992 il valore dell’«euro simulato», basato sulle varie valute nazionali componenti, rispetto al dollaro era pari all’1,45, quindi questi valori di cambio non sono estranei a fattori storici.
Cresce la tendenza a usare l’euro come valuta di riserva per tutto il mondo; attualmente è la divisa preferita persino da molti narcotrafficanti e da altri criminali; è un chiaro segno dell’accettabilità sempre maggiore che incontra. Se continuerà a rivalutarsi, gli esportatori europei saranno sottoposti a una sempre maggiore pressione sui mercati internazionali, mentre gli europei dovranno affrontare ancora un’altra sfida per stimolare la crescita.

Tags: Europa Unione Europea usa clinton Cina credito Difesa giappone

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