ORCHESTRA SINFONICA DI ROMA: UN'AZIONE DI ECCELLENZA IN CAMPO MUSICALE, FILANTROPICO, SOCIALE
di BRUNO PIATTELLI, presidente dell’Orchestra Sinfonica di Roma
Abbiamo vissuto quasi un secolo senza che del sinfonismo italiano ci si accorgesse dell’esistenza. Beati ad ascoltare romanze e qualche preludio eravamo soddisfatti, direi saturi, del nostro italianismo espresso e concentrato sull’acuto dell’uno o sul sospiro soffiato dall’opimo busto dell’altra, il tutto sostenuto da ardue e supreme bacchette. Attenzione, senza doversene mortificare. È un fatto di educazione, prima ancora che di cultura, la nostra masochistica autocritica nazionale; un fatto di provincialismo che d’altro canto ha accettato che artisti, anche di arti visive, passassero per Parigi per essere riconosciuti.
L’esempio dei nostri «macchiaioli» che hanno aperto gli occhi agli «impressionisti» riteniamolo emblematico. Senso di sfiducia o di ipocrita diffidenza, che esprimiamo ad ogni pie’ sospinto salvo diventare retorici davanti alle imprese degli eroi del calcio; degli altri sport, quando un atleta vince, ci celebriamo al plurale; la fatica, l’animus e la medaglia sono solo del singolo, ma in quel momento, il solo, siamo squadra.
La strada dell’arte è dura per tutti, ma è un fatto che noi preferiamo ignorare certe manifestazioni d’intelligenza; non è il caso di parlare d’invidia, è l’indifferenza il peggior insulto. Così avanti per decenni, per tutti quei decenni in cui i Martucci, i Ferrari, i Respighi, i Casella, i Busoni, i Ferrara, i Malipiero, i Petrassi e ancora e ancora, hanno lavorato apprezzati da pochi, ignorati da molti, fin da quattro anni l’Orchestra Sinfonica di Roma ha iniziato un’opera di studio, di riscoperta, di esecuzioni e infine di registrazioni di tanti capolavori.
Il lavoro immaginato, programmato e condotto dal maestro Francesco La Vecchia - non solo nel senso letterale della conduzione - ha avuto e sta avendo il plauso del pubblico, dapprima incerto, poi in attesa quasi con aria di sfida e infine sedotto e osannante davanti a tutta questa arte sonora. Per comprendere meglio il valore dell’operazione occorre considerare che due delle più grandi case di registrazione del mondo, la Naxos giapponese e la Brilliant inglese, hanno assunto la pubblicazione dell’opera completa di questi autori che si aprono al mondo della musica con tutti gli onori che avrebbero già meritato allora.
Lavori raffinati e degni di rilievi di enorme importanza nella storia della musica, buon numero dei quali mai eseguiti. Quando l’Orchestra Sinfonica di Roma ha eseguito, a Berlino, nella celeberrima sala dei Berliner, la «Gran Partita» di Goffredo Petrassi, il pubblico seguiva il concerto con lo spartito in mano. La notizia, si direbbe, è che il dardo lanciato ha colto nel segno; seguiamo i programmi sinfonici messi in atto dalle altre istituzioni musicali: chi sottovoce e chi, per farsi apprezzare come scopritore dell’antico, proclama le esecuzioni di questi autori come segno di avanguardia e di rinnovamento.
Il boato del silenzio. Ma è un risultato. È quello che si desiderava; che gli addetti ai lavori si rendessero conto della gravissima lacuna, della mancata dovuta attenzione a quella stagione storica viva di spiriti provveduti quando non preveggenti. Quando dieci anni fa la Fondazione Roma, allora ancora Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, nella persona del presidente Emmanuele Emanuele invitò il maestro La Vecchia e me a fondare l’orchestra, l’obiettivo fu preciso e imperativo: la diffusione della musica da parte di giovani - i professori d’orchestra - per i giovani e per tutti coloro che vorrebbero goderne ma non hanno i mezzi per avvicinarla.
L’obiettivo non è stato mai modificato e le attività filantropiche dell’orchestra sono innumerevoli (scuole, università, ospedali, carceri, istituti di assistenza). Ma nell’intrinsecità del progetto c’era e c’è questo spirito di studio e di ricerca storica, artistica e, diciamolo pure, anche nazionalistica nel senso della riscoperta e della rivalutazione di opere d’arte per riavvicinarle a chi ama seguire. Tra le espressioni della Fondazione Roma primeggiano, oltre l’orchestra, le arti visive con il museo della propria collezione e le esposizioni, la ricerca scientifica e l’assistenza sociale. La società non va mai persa di vista studiandone il modo di essere, di crescere, di sviluppare intervenendo ove e come si possa nei punti di carenza o inadeguatezza. L’arte è come i bisogni primari.
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