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GIANLUCA D’ELIA: LA NUOVA FRONTIERA DELLA VIRILITÀ

di GIANLUCA D’ELIA

direttore dell’Unità di Urologia dell’ospedale San Giovanni di Roma e direttore scientifico della Fondazione per la ricerca in urologia

 

La mia professione continua ad essere oggetto di barzellette. Spesso i pazienti mi chiedono il perché mi sia voluto specializzare in Urologia. Per il loro divertimento, dopo aver risposto di essere sempre stato affascinato dagli organi genitali maschili solo per vedere la sorpresa nei loro occhi, spiego che l’urologia è una delle discipline mediche più all’avanguardia. Nessuna specialità chirurgica è cambiata tanto negli ultimi 20 anni. Ne sono un esempio la diagnosi e il trattamento di neoplasie urologiche. Vent’anni fa, in caso di tumore maligno della vescica urinaria e dopo l’asportazione radicale dell’organo, era necessario, nella quasi totalità dei casi, applicare un’urostomia, ovvero una sacchetta sulla parete addominale per drenare verso l’esterno l’urina prodotta dai reni. Ciò comportava un impatto drammatico sulla vita sociale e di relazione della persona coinvolta. Oggi siamo in grado di ricostruire la vescica con un segmento di intestino, permettendo al paziente di urinare per via naturale, evitandogli il dramma fisico e psicologico dell’urostomia.
Con un metodo multidisciplinare l’urologo è stato capace, insieme all’oncologo, di sconfiggere il cancro del testicolo. A differenza di quanto avveniva sino agli anni 70, in cui i tassi di mortalità per questo tumore erano impressionanti, oggi le percentuali di guarigione si avvicinano ormai al 100 per cento. Ne è un esempio il ciclista Lance Armstrong. Alcuni anni fa gli fu diagnosticato un cancro del testicolo avanzato, con metastasi diffuse addirittura all’encefalo. Dopo la terapia chirurgica e chemioterapica è guarito completamente ed è stato capace di vincere ben sette Tour de France.
Con l’avvento del PSA (antigene prostatico specifico) abbiamo rivoluzionato il sistema diagnostico e terapeutico del carcinoma della prostata. Fino alla fine degli anni 80 la maggior parte dei pazienti si presentava dal medico con tumori prostatici in stadi talmente avanzati che limitavano le nostre possibilità non solo di cura, ma anche di palliazione. Oggi il concetto di prevenzione, a livello sociale già insito da molto più tempo per il sesso femminile, si sta facendo strada anche per il carcinoma della prostata, il più frequente tumore maligno del sesso maschile. Con una visita annuale dallo specialista urologo e con il test del PSA, valutabile con un semplice prelievo di sangue, siamo oggi capaci di diagnosticare in fase sempre più precoce questo tipo di tumore, quando è possibile curarlo in maniera efficace.
Per quanto riguarda le neoplasie renali, se ancora nei primi anni 1980 eravamo costretti a rimuovere tutto il rene, oggi, in presenza di piccoli tumori localizzati nella periferia dell’organo, possiamo offrire al paziente la possibilità di asportare in maniera radicale solo il tumore, conservando la restante parte di organo non coinvolto dalla neoplasia, con ovvi benefici a lungo termine. Anche in campo non oncologico i progressi dell’Urologia negli ultimi venti anni sono stati rimarchevoli. Se si pensa che fino a 15 anni fa l’unico modo per alleviare i fastidiosi disturbi urinari dovuti all’iperplasia prostatica, ovvero all’ingrossamento di carattere benigno della prostata, era l’intervento chirurgico (endoscopico o tradizionale), si può immaginare cosa abbia potuto significare per molte persone l’introduzione di farmaci specifici all’inizio degli anni 1990. Sappiamo che il 40 per cento degli uomini soffriranno, nel corso della loro vita, di sintomi urinari che necessitano di terapia, e che la metà di questi traggono giovamento dall’assunzione di questi farmaci. Pertanto, in poco più di un decennio, abbiamo dimezzato la percentuale di persone che devono essere sottoposte ad intervento chirurgico per iperplasia prostatica.
Il silenzio può essere d’oro, ma non quando ci trattiene dal chiedere aiuto su due aspetti più intimi e sottaciuti della medicina: l’impotenza e l’incontinenza urinaria. Il pudore che per tanti anni ha accompagnato queste condizioni sta per essere lentamente superato con la divulgazione e l’educazione dei pazienti da parte degli urologi. Il riserbo e il disagio con i quali venivano trattati questi argomenti erano anche dovuti al fatto che in passato esistevano solo trattamenti chirurgici invasivi poco accetti dai pazienti: protesi peniene per l’impotenza e interventi tradizionali per l’incontinenza.
Queste due patologie sono assurte a dignità da quando abbiamo la possibilità di offrire ai pazienti nuove opzioni terapeutiche. Con l’avvento dei farmaci «intracavernosi», da iniettare direttamente nel pene, e soprattutto, dalla fine degli anni 90, dei farmaci da assumere per via orale, la cura della disfunzione erettile è stata rivoluzionata e portata all’attenzione del grande pubblico. D’altro canto il velo di pudore che cela l’incontinenza, dovuto in parte anche al background culturale e sociale cui si appartiene, sta per essere sollevato grazie all’opportunità di offrire tecniche chirurgiche di ottima efficacia, con brevissima convalescenza e soprattutto poco invasive.
Quello che in effetti ha sempre caratterizzato l’Urologia come unica tra le discipline chirurgiche è stata la sua capacità di adattarsi alle nuove tecnologie contribuendo a svilupparle. Siamo stati i primi a usare la Chirurgia mini-invasiva, prima ancora che diventasse un termine di moda in ambito medico. Questo anche perché nella nostra specialità siamo particolarmente fortunati, in quanto tutte le vie urinarie possono essere studiate in endoscopia, sfruttando gli orifici naturali del corpo. L’Urologia deve infatti la propria identità, come specialità a se stante, allo sviluppo degli endoscopi, reso possibile dall’evoluzione del cistoscopio. Con l’avvento delle fibre ottiche e della tecnologia digitale abbiamo tutti i giorni a disposizione in sala operatoria sofisticati strumenti che ci consentono di trattare in maniera non invasiva patologie un tempo di esclusivo appannaggio della chirurgia tradizionale a cielo aperto.
Ad esempio, per una persona con sintomi urinari dovuti all’ingrossamento benigno della prostata, quando questi persistono dopo un tentativo di terapia con farmaci, non rimane altro che eseguire un intervento chirurgico. L’intervento endoscopico - resezione transuretrale della prostata - ha ormai totalmente sostituito nella pratica clinica il corrispettivo intervento chirurgico tradizionale «a cielo aperto». È’ stato addirittura stimato che la resezione transuretrale della prostata sia, dopo l’intervento per cataratta, l’intervento più frequentemente eseguito negli ospedali italiani.
Ma ciò che ha realmente rivoluzionato, gli ultimi vent’anni della Chirurgia urologica, riguarda due delle maggiori applicazioni della Chirurgia mini-invasiva: il trattamento dei calcoli urinari e quello del carcinoma della prostata. Se nei primi anni 80 eravamo costretti a sottoporre tutti i pazienti con calcoli urinari a interventi chirurgici invasivi, oggi lo facciamo solo in un caso su 100. Con l’avvento della litotrissia extracorporea ad onde d’urto e delle tecniche endoscopiche mini-invasive siamo in grado di rimuovere la quasi totalità dei calcoli senza incisioni cutanee e sfruttando le cavità naturali del corpo.
Per guarire dal carcinoma della prostata si era sottoposti, sino a venti anni fa, a interventi chirurgici demolitivi, che esponevano ai rischi di divenire incontinente e quasi sempre impotente. Oggi l’obiettivo di questo tipo di chirurgia non è più solo l’asportazione radicale della prostata con il tumore, ma è quello di asportare radicalmente la prostata e, nel contempo, conservare la continenza e la potenza. L’evoluzione della terapia chirurgica di questo tumore ci ha portato a perfezionare la tecnica operatoria in modo tale da rendere quasi mai incontinenti e solo qualche volta impotenti.
Il tumore maligno della prostata è oggi curabile non solo con la tecnica chirurgica tradizionale, che offre ottimi risultati in termini di asportazione radicale della neoplasia, mantenimento della continenza urinaria e della potenza sessuale. Ma anche con la tecnica laparoscopica che, potenzialmente, permette, a parità di risultati oncologici, di migliorare le già alte percentuali di preservazione di continenza e potenza. Questo grazie alla migliore visibilità delle strutture anatomiche che ci offre l’immagine ingrandita trasmessa dalla telecamera laparoscopica.
Ma il progresso della tecnica chirurgica dell’asportazione radicale della prostata non finisce qui. Poco meno di venti anni fa si parlò di miracolo per la nuova modalità laparoscopica. Adesso è già in corso una nuova rivoluzione: la chirurgia robotica. La chirurgia robotica è molto meno invasiva e traumatica e molto più delicata e precisa rispetto alla tradizionale. È una chirurgia più gentile nei confronti del paziente. Evita le grandi incisioni e, come per la laparoscopia, fa uso di sottili strumenti chirurgici e di una telecamera, che vengono inseriti all’interno dell’addome attraverso piccoli fori. Al contrario della laparoscopia, nella quale strumenti chirurgici e telecamera sono manovrati dalle mani del chirurgo, nella chirurgia robotica sono sostenuti dalle braccia di un robot, che li rende più stabili e precisi.
Il robot non fa nulla da solo, non ha autonomia decisionale o di movimenti. Non si sostituisce mai al chirurgo. Al contrario, lo affianca, ne esalta l’abilità manuale e ne perfeziona i movimenti. È sempre e comunque il chirurgo che opera. Infatti il chirurgo da una consolle guarda il campo operatorio in un visore tridimensionale ad alta definizione, e da questa consolle manovra la telecamera e gli strumenti chirurgici miniaturizzati. Uno dei vantaggi principali della chirurgia robotica è la migliore visione delle strutture anatomiche. Una visione tridimensionale e ad alta definizione, che fa letteralmente immergere il chirurgo nel campo operatorio. È come vedere al cinema i film in 3-D con occhiali tridimensionali: sembra esserci immersi all’interno della scena del film. Un chirurgo che vede meglio, opera meglio.
Un altro vantaggio della chirurgia robotica è rappresentato dalla ultradissezione dei piani anatomici permessa dai sofisticati strumenti chirurgici robotici, che riproducono esattamente, in modo fluido, «senza scatti», i movimenti delle dita e delle mani del chirurgo. Grazie a particolari articolazioni meccaniche, i gradi di movimento della parte finale di questi strumenti robotici sono superiori a quelli della mano umana o dei classici strumenti laparoscopici. La stabilità, i gradi di movimento, la filtrazione del tremore, in altri termini la dolcezza con cui si muovono questi strumenti permettono manovre più precise, delicate e meno traumatiche. Il paziente trae il massimo vantaggio dalla chirurgia robotica quando sono richiesti livelli di precisione chirurgica elevatissimi, di demolizione o di ricostruzione, in campi operatori ristretti e di difficile accesso, come nell’asportazione radicale della prostata per cancro. La prostatectomia radicale robotica ci sta facendo conoscere nuove dimensioni.
L’eccezionale amplificazione della visione permette di riconoscere dettagli anatomici fino ad ora trascurati anche da chi ha eseguito centinaia di interventi con le tecniche tradizionali. Appartengo alla generazione di urologi che ha avuto la possibilità di cimentarsi con tutte le tecniche di prostatectomia radicale, da quella tradizionale «a cielo aperto» a quella laparoscopica, sino alla robotica. Questa esperienza mi permette di affermare, che, nelle mie mani, la prostatectomia radicale robotica è superiore. Per questo sulla base dei miei risultati, spiego ai pazienti i vantaggi della tecnica robotica e offro quasi esclusivamente questo tipo di chirurgia. Eseguo con le vecchie tecniche solo gli interventi con controindicazioni specifiche alla robotica.
Fino agli anni 80 le malattie urologiche erano considerate imbarazzanti e venivano spesso diagnosticate troppo tardi; negli ultimi vent’anni hanno portato la figura dell’urologo a occupare una posizione preminente nella Medicina.

Tags: San Giovanni - Addolorata medici Gianluca D'Elia

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