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PETROLIO ANCORA INDISPENSABILE: ALLORA MENO POLEMICHE E PIÙ ATTENZIONE

PASQUALE DE VITA unione petrolifera

Negli ultimi due anni il settore petrolifero ha subito profondi cambiamenti. Gli effetti della crisi economica sono stati pesanti e hanno portato a un crollo della domanda soprattutto nei Paesi più avanzati che oggi non rappresentano più il baricentro dei consumi. Il progressivo spostamento degli equilibri verso Oriente ha determinato nuove condizioni in cui gli operatori tradizionali sono stati chiamati a muoversi rompendo schemi ormai consolidati.
L’industria petrolifera è una realtà molto complessa che richiede ingentissimi investimenti i cui ritorni sono molto differiti nel tempo e per questo, più di altri settori, avrebbe bisogno di stabilità sui mercati. Rispetto a qualche anno fa il petrolio è infatti diventato una «commodities» come le altre su cui la finanza scommette ogni giorno somme enormi con effetti talvolta dirompenti, con forti escursioni nelle quotazioni e con aumentate difficoltà nella programmazione degli investimenti.
Il petrolio però non è soltanto una merce come altre, è anche un elemento fondamentale per lo sviluppo economico e il benessere di qualsiasi comunità. Servono competenze altamente specializzate per superare le enormi difficoltà che si presentano, ad esempio, nel cercarlo in aree remote del pianeta in condizioni climatiche estreme, con rischi sempre maggiori.
Il recente incidente nel Golfo del Messico evidenzia la pericolosità di queste operazioni e in fondo anche la difficoltà di intervento nei casi di incidenti per fortuna molto rari. Alcuni obiettano che il petrolio non sarà il nostro futuro, visto che per sua natura è una fonte destinata a finire. Gli esperti sono tuttavia concordi nel sostenere che non avremo problemi almeno per tutto il XXI secolo, in attesa dell’affermarsi di fonti altrettanto valide e flessibili. Certo, non è più il petrolio facile e a buon mercato del passato quello che si troverà in futuro.
Quello di questo tipo ci sarebbe ancora ma l’80 per cento è concentrato nelle mani di soli sei Paesi produttori che rappresentano il vero e unico cartello presente nel mondo petrolifero contro il quale ben poco si può fare. A livello europeo manca una seria strategia comune che permetta di limitare o almeno di controbilanciare il loro enorme potere contrattuale, considerato che l’Europa dipende per il 50 per cento dal petrolio Opec che al 2030 salirà all’80 per cento.
Naturalmente il prezzo resta il driver principale nell’orientare le scelte produttive e le possibilità di sviluppo delle altre fonti di energia. Purtroppo i prezzi negli ultimi anni sono stati caratterizzati da un’estrema volatilità, indotta dall’affermarsi dei nuovi strumenti finanziari di cui fa ampio uso la speculazione, che al momento rappresenta il problema principale per chi deve investire con un orizzonte temporale tanto distante nel tempo.
Nel 2008 i prezzi del petrolio sono arrivati vicino ai 150 dollari al barile aprendo così la strada anche alle fonti non-convenzionali più costose; nel giro di pochi mesi si è scesi a 30 mettendo fuori gioco gli stessi progetti. Oggi siamo tornati intorno ai 75-80 dollari ma le escursioni sono ancora troppo ampie e repentine.
Il petrolio rappresenta una fonte di cui non si può ancora fare a meno e sarebbe dunque opportuno che chi è chiamato a decidere dedicasse maggiore attenzione ai problemi industriali di un settore che nel 2009 ha forse attraversato il suo momento peggiore, mettendo da parte le polemiche strumentali che periodicamente vengono riproposte con attacchi sui media del tutto ingiustificati.
I dati di settore non sono affatto consolanti se si pensa che in Italia, negli ultimi 6 anni, i consumi petroliferi sono diminuiti di quasi 18 milioni di tonnellate e che lo scorso anno le perdite del downstream a livello nazionale hanno superato il miliardo di euro. Le esportazioni, nostro tradizionale punto di forza, sono diminuite di quasi il 9 per cento, equivalente a circa 6,4 miliardi in meno rispetto al 2008, ed anche in questi primi mesi del 2010 la situazione non sembra andare meglio.
Pur essendo un settore industriale strategico per il Paese cui vengono demandati molti oneri e pochi onori, primo contribuente per l’erario con oltre 34 miliardi di euro nel 2009, continua ad essere trattato con troppo sospetto e troppi pregiudizi. In questi ultimi mesi abbiamo moltiplicato i nostri sforzi per cercare di comunicare meglio ciò che facciamo incontrando consumatori e istituzioni, e partecipando a numerose trasmissioni televisive. Sforzi apparentemente vani. Restiamo convinti della correttezza e della trasparenza di comportamento delle compagnie e proseguiremo in questa campagna di informazione sperando che dalle sensazioni e dalle suggestioni si passi a considerare i fatti e i numeri effettivi.

Tags: oil&gas Giugno 2010 Pasquale De Vita

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