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RIFORMA DEL LAVORO: SALVATI, ESODATI E RIFORMATI, IL PASSAGGIO DELLO SCORSO DICEMBRE

Il 31 dicembre 2011 resterà nella memoria individuale di tantissimi e in quella collettiva di un intero Paese. È la data che fa da spartiacque tra le vecchie e le nuove regole della previdenza, tra il tempo delle ormai archiviate pensioni di anzianità e il tempo delle nuove pensioni anticipate, tra l’incremento lento dell’età pensionabile e la corsa veloce verso il traguardo dei 66 anni e oltre per tutti nel pensionamento di vecchiaia. Sarà bene, allora, che si tenga a mente quella data e si regoli su di essa l’orologio previdenziale. Qui vi sono delle indicazioni che consentono di capire subito quale sia la categoria alla quale si appartiene o la casella nella quale si è capitati e, di conseguenza, quale destino è collegato ad esse.
Ecco, dunque, come la riforma ha articolato il salto verso il cambiamento e chi e a quali condizioni rientri nei diversi gruppi dei salvati o, come si è detto con una definizione balzata agli onori delle cronache, degli esodati. E chi, invece, fa parte dei quasi-riformati - o riformati con lo sconto -, o pienamente del mondo dei riformati, di coloro insomma per i quali vale del tutto l’impianto pensionistico riveduto e corretto.

I salvati

La riforma ha salvato completamente tutti coloro che hanno maturato, entro il 31 dicembre 2011, le condizioni per i vari tipi di pensionamento previste dalle vecchie regole valide fino ad allora. Almeno questo criterio è semplice e di immediata applicazione. E, a ben vedere, non poteva essere diversamente, dal momento che le nuove regole sono scattate dal primo gennaio 2012.
Rientra tra i salvati innanzitutto chi ha maturato entro fine dicembre 2011 i requisiti per il pensionamento di vecchiaia del vecchio conio:
- 65 anni di età e 20 di contributi per i lavoratori dipendenti privati e pubblici o lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, lavoratori agricoli ecc.) iscritti all’Inps;
- 60 anni di età e 20 di contributi per le lavoratrici dipendenti del settore privato o autonome iscritte all’Inps;
- 61 anni di età e 20 di contributi per le lavoratrici dipendenti pubbliche.
Rientra ancora, tra i salvati, chi ha maturato entro fine dicembre 2011 i requisiti per il pensionamento di anzianità vecchia maniera. Ossia chi:
- ha raggiunto i 40 anni di contributi entro quella data;
- ha conquistato una delle vecchie quote (intese come somma tra età e contributi): quota 96 per i lavoratori dipendenti, ossia almeno 60 anni di età e 36 di contributi oppure 61 anni di età e 35 di contributi; quota 97 per i lavoratori autonomi con almeno 61 anni di età e 36 di contributi oppure con 62 anni di età e 35 di contributi.
Lo stesso criterio del mantenimento delle precedenti regole vale anche per quanto riguarda i cosiddetti lavori usuranti e, dunque, l’anticipo del pensionamento previsto per chi abbia svolto quelle attività faticose o pesanti che permettono di avere lo sconto sui requisiti ordinari.
Va segnalato un altro caso speciale che è stato introdotto qualche anno fa e che la riforma mantiene in vita. Si tratta di un canale di uscita anticipata abbastanza residuale, ma non per questo trascurabile, che riguarda solo le donne che hanno cominciato a lavorare entro il 31 dicembre 1995 e che a quella data avevano già qualche anno o anche solo qualche mese di contributi versati. In pratica, fino al 2015 - poi si vedrà se la formula verrà confermata - le donne che avessero optato per il calcolo della pensione interamente con il metodo contributivo basato innanzitutto sull’ammontare dei contributi versati, e dunque per una pensione cosiddetta contributiva, potranno continuare a lasciare il lavoro con 35 anni di contributi a 57 anni di età se lavoratrici dipendenti, o a 58 anni se lavoratrici autonome.

Gli esodati

È la categoria più controversa della riforma. Chi vi è rientrato o vi rientri ha dovuto penare per conoscere il proprio destino previdenziale e non solo. La matassa è stata particolarmente complessa da sbrogliare ma, alla fine, le ombre si sono diradate e, almeno, in parte, si è fatta chiarezza. Con l’avvertenza che non tutte le possibili situazioni sono state definite, e che ulteriori novità e soluzioni potranno arrivare nei mesi e negli anni a venire.
La riforma ha individuato una serie di circostanze nelle quali taluni si sono trovati o si trovano, e per esse ha stabilito che si può andare in pensione con le vecchie regole anche quando i requisiti sono maturati successivamente al primo gennaio 2012. Anche qui una data chiave, quella del 4 dicembre 2011, e un tetto numerico, 65 mila, che è quello delle persone che potranno usufruire delle corsie preferenziali seguenti.
È stabilito, innanzitutto, che il pensionamento di vecchiaia o di anzianità segua l’antico schema di requisiti e decorrenze:
- per coloro che erano in mobilità ordinaria o «lunga» alla data del 4 dicembre 2011 e maturano i requisiti vecchi entro il periodo di fruizione dell’indennità;
- per coloro che al 4 dicembre 2011 erano, e sono ancora, titolari di una prestazione straordinaria, o che a quella data avevano ottenuto l’accesso a una prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore;
- per coloro che sono stati autorizzati, sempre prima della data del 4 dicembre, alla prosecuzione volontaria dei versamenti, sempre che la pensione decorra entro 24 mesi da allora;
- per coloro che hanno chiesto e ottenuto l’esonero dal servizio in quanto dipendenti pubblici;
- per coloro che si sono dimessi o hanno accettato una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in base ad accordi individuali o sulla scorta di intese collettive di incentivo all’esodo entro il 31 dicembre 2011, senza successiva rioccupazione in qualsiasi altra attività lavorativa, sempre che la pensione decorra entro 24 mesi da allora;
- per coloro che, alla data del 31 ottobre 2011, erano in congedo per assistere figli con disabilità grave, sempre che maturino i requisiti entro 24 mesi da quella data.
Queste norme sollecitano qualche domanda, cui di seguito forniamo delle risposte. L’esistenza di un contingente numerico vuol dire, per farla semplice, che chi tardi arriva, male alloggia? Che le domande, insomma, verranno esaminate in base all’ordine di presentazione e che verranno accolte solo fino al raggiungimento del numero previsto per ciascuna sottocategoria, dopodiché si tira giù la saracinesca? E che fine faranno, di conseguenza, le domande che, come si dice, non trovano accoglienza perché i posti sono esauriti?
Almeno sulla carta, sulla scorta dei conti preventivamente compiuti dall’Inps, i numeri indicati dovrebbero coprire le richieste potenziali, e dunque, se tutto torna, nessuno di coloro che si trovino in una delle condizioni descritte dovrebbe restare a piedi. In ogni caso va detto ugualmente che la stessa riforma prevede che gli enti previdenziali compino il monitoraggio delle domande presentate e che, qualora risulti raggiunto il tetto stabilito, si fermino senza più esaminare richieste ulteriori. Salvo che il Governo e il Parlamento, come annunciato a più riprese e come sottolineato dal ministro del Lavoro Elsa Fornero, non provvedano a trovare altre risorse finanziarie e a riaprire la partita.
Proprio il ministro del Lavoro ha avvertito di recente che si sta lavorando per ampliare la platea ad altri 55 mila «esodandi» ipotizzando un canale analogo a quello visto poc’anzi, o simile a quello indicato per i quasi-riformati nel paragrafo successivo. Un’eventuale prospettiva di questo tipo potrebbe mettere in gioco anche altri casi fino ad oggi non contemplati. Come è stato osservato da più parti, infatti, vi possono essere situazioni in parte assimilabili e in parte analoghe a quelle descritte e che, almeno per ora, non sono state prese in considerazione: per chi sia stato collocato in mobilità e, dunque, sia stato licenziato successivamente al 4 dicembre 2011, ma sulla base di un accordo firmato prima di quella data; o per chi si trovi in cassa integrazione ma sia destinato a essere collocato in mobilità alla fine della cassa, magari sempre sulla base di un accordo sindacale firmato nel 2011. O, ancora, per chi abbia accettato un incentivo all’esodo destinato a perfezionarsi, con il licenziamento, nel corso del 2012.
Ebbene, per tutti questi casi la soluzione non c’è, nel senso che, a meno di nuovi interventi, si applica interamente la riforma, con tutte le conseguenze, in termini di allungamento dei requisiti, che essa comporta.

I riformati con lo sconto

A questo gruppo appartiene chi avrebbe raggiunto le condizioni per andare in pensione di vecchiaia o di anzianità nel corso del 2012, per ricevere il primo assegno effettivo l’anno successivo per effetto delle «finestre mobili», e che si è visto sbarrato la strada verso l’uscita alla mezzanotte del 31 dicembre 2011. O perché sia stata aumentata l’età pensionabile o perché siano state cancellate le prestazioni di anzianità. A questa categoria di soggetti, nati soprattutto nel 1952 o intorno a quell’anno, si applica interamente la riforma, ma con un paio di accorgimenti o eccezioni che ne rendono meno pesante l’impatto.
Il primo riguarda le donne lavoratrici dipendenti del settore privato. Le nate nel 1952, sulla scorta delle vecchie regole, con 60 anni di età nel 2012, sarebbero potute andare in pensione di vecchiaia nel 2013, ma, in base alle nuove regole, esse si troveranno a poter lasciare solo nel 2018. C’è un salvagente: ottenere il pensionamento a 64 anni di età nel 2016. Non è il massimo, ma è già qualcosa. Sempre che non si abbiano i requisiti e la volontà di seguire altre strade: quella dell’opzione per il calcolo contributivo dell’intera pensione, di cui si è detto nel paragrafo sui «salvati»; o quella della pensione anticipata nuova versione, se si è cominciato a lavorare a 20-21 anni e si vantano 41 anni di contributi nel 2014.
Il secondo accorgimento è per tutti i dipendenti del settore privato. Chi raggiunga o abbia raggiunto nel corso del 2012 i 60 anni di età e 36 di contributi, o 61 anni e 35 di contributi, e dunque la quota 96, in base alle precedenti formule avrebbe potuto conquistare l’uscita nel 2013 con la pensione di anzianità. Ma le nuove regole hanno abolito questa possibilità: si deve, pertanto, aspettare il 2018 o il 2019 e raggiungere i 42 anni ed oltre di contributi. Anche qui c’è un piccolo aiuto: lasciare a 64 anni, nel 2016.

I riformati

Il nome dice tutto o quasi. Molto semplicemente rientrano in questa categoria tutti coloro che sono lavoratrici e lavoratori dipendenti e autonomi e che non appartengono a quelle limitate fasce di salvati e esodati che abbiamo visto fin qui. Vi rientra, dunque, la stragrande maggioranza di quelli per i quali trovano applicazione tutte le nuove regole della riforma.

 

Tags: lavoro pensionati pensione previdenza Ministero del Lavoro lavoratori Luglio - Agosto 2012

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