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GIUSEPPE AVERARDI. L’ADDIO A TOGLIATTI DEL RAGAZZO DELL’APPIO-LATINO

«Nel 1943, a 15 anni, conobbi i bombardamenti e l’occupazione tedesca, la borsa nera e i rastrellamenti. Sul finire della guerra, come tanti altri giovani incontrai il Partito socialista e il Partito comunista». Inizia così l’avventura politica del ragazzino romano dell’Appio-Latino Giuseppe Averardi, un lungo e travagliato percorso nella temperie tempestosa e manichea delle ideologie forti. Dopo aver ceduto per due lustri alle seduzioni del socialcomunismo quindi del Pci, ecco il doloroso ma necessario strappo del 1956, anno delle verità sconvolgenti per i militanti della sinistra dichiaratamente stalinista. Dal 14 al 26 febbraio si tiene il XX congresso del Pcus, che fin dal primo giorno si rivela sconvolgente. La regola, all’apertura del congresso, era quella di citare, in ordine di importanza, le personalità della nomenklatura scomparse. Ebbene, vengono citati e ricordati burocrati, ferrovieri, minatori, tranvieri, prima di arrivare al nominativo di Giuseppe Stalin. In platea, specie i comunisti italiani guidati da Palmiro Togliatti, passano dallo stupore alla paura. Che sta succedendo?

Nei giorni seguenti, con la denuncia dei crimini di Stalin, si sciorina appieno la grande, inattesa novità politica, la destalinizzazione. Nikita Krusciov, in sostanza, vuole affermare un principio: almeno tra i comunisti non deve più valere la regola del sangue. Chi è fuori linea sarà emarginato, magari confinato fuori Mosca, non più assassinato. Purtroppo il Pci resterà stalinista, resistendo per decenni alla destalinizzazione, anche dopo la morte di Togliatti, uno dei più ligi e acritici esecutori di Stalin e, non a caso, protagonista della congiura di Suslov e Breznev, nel 1964, mirata a defenestrare il leader ucraino. La ragione delle resistenze del Pci consiste nel fatto che mettere in discussione Stalin avrebbe significato infrangere l’immagine in doppiopetto di Togliatti.

Quanto lo stalinismo come pensiero e come azione sia, invece, inossidabile lo si vedrà all’indomani dell’invasione dell’Ungheria. Imre Nagy, che aveva tentato l’utopica via del comunismo dal volto umano, resiste e alla radio, alle ore 5 e 20, dichiara in 4 lingue (magiaro, russo, inglese, francese) di voler rimanere al proprio posto. Nagy sarà fucilato nel 1958 e uno dei più accesi assertori della pena di morte fu Palmiro Togliatti, che chiese solo di spostarla in data non coincidente con la campagna elettorale amministrativa del Pci. Non da meno sarà Giorgio Napolitano che, in polemica con Antonio Giolitti, giudica provvidenziali i 4 mila tanks sovietici, perché a suo dire avrebbero salvato l’Ungheria dal fascismo e addirittura garantito la pace nel mondo. Averardi e molti altri rimangono traumatizzati davanti allo spettacolo del sedicente Stato proletario che spara ed uccide gli operai.

Il ragazzo dell’Appio-Latino vive una crisi profonda, risolta con l’ingresso nell’area della socialdemocrazia, accanto a Giuseppe Saragat. Averardi entra a far parte della direzione del Psdi dal 1959 al 1987; deputato nella IV e nella V legislatura; senatore nella VI; dal 1969 al 1972 membro del Consiglio d’Europa; dal 1974 al 1976 sottosegretario di Stato. Nel 1974 fonda e dirige «Ragionamenti» e «Ragionamenti-Storia», riviste fondamentali per la messa a fuoco dello stalinismo e del togliattismo. Si inizia anche la fertile produzione saggistica, con i seguenti titoli: I socialisti democratici, 1972; I grandi processi di Mosca 1934-1937, 1977; Il Cominform, 1987; Le carte del Pci, 2000; 1989-2009 I mutanti/Perché i comunisti hanno rifiutato l’opzione socialdemocratica, 2009. E, infine, l’ultimo, fresco di stampa, intitolato «Togliatti addio» (Datanews, Roma 2012, pagine 326, euro 20), dal quale è tratto il brano iniziale.

In questo saggio, una sorta di testamento culturale e politico che andrebbe letto e studiato specie da parte dei giovani, specie se giornalisti, Averardi usa ogni singolo capitolo in foggia di monografia. C’è il racconto autobiografico sulla generazione comunista del 1945; il caso Togliatti; le stimolanti interviste ad Elena Aga Rossi e soprattutto a Aleksandr Jakovlev, il vero padre della glasnost; infine una sezione antologica ricca di documenti fondamentali per la comprensione dello stalino-togliattismo. «Togliatti addio» è un libro non solo da leggere, ma da studiare e assimilare.

Tags: Giancarlo Lehner Luglio - Agosto 2012

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