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EMERGENZA SICCITà: QUALCHE NUMERO

L’altroieri sera un Consiglio dei ministri lampo ha dichiarato lo stato di emergenza, fino al 31 dicembre 2022, per fronteggiare con poteri straordinari il deficit idrico in atto nei territori ricadenti nei bacini distrettuali del Po e delle Alpi orientali e nelle regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e Veneto. Stanziati quindi 36,5 milioni di euro, così suddivisi: 10.900.000 euro alla Regione Emilia-Romagna; 4.200.000 alla Regione FVG; 9 milioni alla Regione Lombardia; 7.600.000 alla Regione Piemonte e 4.800.000 alla Regione Veneto. Piccoli passi che si auspica conducano ad azioni tangibili, coordinate da un commissario straordinario di prossima nomina, a contrastare un’emergenza siccità che continua a devastare non solo l’agricoltura italiana ma anche l’artigianato: nelle suddette regioni Confartigianato rileva 40mila aziende water-intensive che danno lavoro a 187mila addetti, attive nei settori estrattivo, tessile, petrolchimico, farmaceutico, gomma, materie plastiche, vetro, ceramica, cemento, carta e prodotti in metallo. Ma non solo: un’emergenza che, senza una strategia di lungo periodo, danneggerà inevitabilmente nei prossimi decenni la nostra salute e il nostro stesso stile di vita.

Ma si sa, nemo propheta in patria e così gli appelli inascoltati sono stati davvero tanti prima di arrivare all’ennesimo evento siccitoso. Eppure, tra precipitazioni quasi nulle e clima mite, nei mesi scorsi i segnali c’erano. Il più recente osservatorio sulla siccità (giugno 2022) del Cnr-Ibe, l’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche, indica come la scarsità di innevamento invernale e di precipitazioni degli ultimi sei mesi, e la siccità stessa, stiano intaccando le riserve idriche superficiali, prevedendo inoltre un’estate più secca della media e con temperature più alte che incideranno sull’evapotraspirazione. Fa parte del ciclo dell’acqua: le precipitazioni annuali registrate in Italia nel periodo 1991-2020 (valore climatico) sono state di 943 mm, circa 285 miliardi di metri cubi, di cui il 53% è tornato in atmosfera per evaporazione, dal terreno e dai corpi idrici, e per traspirazione attraverso gli apparati fogliari delle piante. La restante parte è rimasta sul terreno, infiltrandosi nel sottosuolo per il 21% e scorrendo in superficie per il 26%, andando quindi ad alimentare gli acquiferi, i fiumi e i laghi naturali e artificiali del Paese. Il mare invece, la cui acqua potrebbe essere dissalata come avviene già in altri Paesi, vive la sua crisi causata dall’aumento della temperatura della superficie marina, più calda di circa 4° rispetto alla media del periodo 1985-2005, con picchi superiori a 23°, con tutto quel che ne consegue per le specie che ci vivono.

Mettiamoci pure l’italica abitudine di ridursi all’ultimo nella (mancata) gestione di bacini e invasi e una rete idrica che -è proprio il caso di dire- fa acqua da tutte le parti, ecco che nei momenti critici, anziché le buone pratiche, emergono fulgidi esempi di senso civico come il residente di Cerano che si è riempito la piscina con l’acqua della roggia o l’agricoltore di Bereguardo, scoperto a manomettere la paratia di un canale irriguo per assicurare una maggiore portata d’acqua alla propria azienda. Anche senza ricorrere all’agricoltura 4.0 per razionalizzare la risorsa acqua, che non tutti possono permettersi viste la dimensione minima e l’estrema frammentazione delle aziende agricole italiane, bisogna optare per coltivazioni che hanno meno bisogno di acqua e adattarsi a una situazione che rischia di diventare molto frequente.

A undici anni dal referendum sull’acqua pubblica o privata, la rete è ancora un colabrodo: secondo i dati Istat del marzo scorso, al giorno sono 236 i litri per abitante erogati nelle reti di distribuzione e 41 i metri cubi persi per km di rete (41.000 litri!) nei capoluoghi di provincia, ossia il 36,2% dell’acqua potabile immessa, a causa di fattori fisiologici presenti in tutte le infrastrutture idriche, alla vetustà degli impianti, a fattori amministrativi riconducibili a errori di misura dei contatori e ad allacci abusivi.

Intanto, il 17 giugno è stata la Giornata mondiale della lotta alla desertificazione e alla siccità: la United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD), che la promulga, evidenzia quanto convenga a tutti affrontare seriamente il problema, poiché il 99 per cento delle calorie di cui ogni essere umano ha bisogno per una vita sana proviene dalla terra; il terreno è il primo punto di difesa contro i sempre più frequenti disastri naturali e la perdita di terreni crea sempre maggior competizione per soddisfare la domanda di beni e servizi. Un terzo delle emissioni globali di anidride carbonica è compensato dall’assorbimento di carbonio degli ecosistemi terrestri, la cui capacità di sequestrare il carbonio è però altamente sensibile alla siccità. I prossimi decenni saranno i più critici per combattere il fenomeno, che rende più vulnerabile il territorio al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità, elementi intimamente connessi: ad esempio, non sempre si pensa agli effetti del clima sugli insetti e sulle malattie delle piante, che le rendono più suscettibili agli incendi.

In Unione Europa, i Paesi più affetti sono quelli mediterranei ma non sono immuni l’Ungheria, la Slovenia e la Romania. In Italia circa il 28% del territorio è colpito da desertificazione e siccità, principalmente al Sud dove le condizioni meteoclimatiche contribuiscono fortemente in termini di perdita di qualità degli habitat, erosione del suolo, frammentazione del territorio, densità delle coperture artificiali, con significativi peggioramenti anche al Nord. Al momento, in UE e Regno Unito le perdite annuali dovute alla siccità sono stimate in circa 9 miliardi di euro che si prevede aumenteranno a 65 se non si agisce.

Per quanto riguarda l’Italia, non si può più andare avanti così, senza una strategia nel lungo periodo che consenta quantomeno di ridurre il problema, a prescindere dalla possibilità di ricorrere all’investimento 4.4 (M2C4) del PNRR, strategico nel favorire il riuso delle risorse idriche e consentire l’adeguamento dell’attuale sistema idrico alle previsioni europee. La misura finanzierà progetti in grado di rendere più efficace la depurazione delle acque reflue; gli impianti di depurazione saranno trasformati in “fabbriche verdi” al fine di consentire il riutilizzo delle acque di scarico depurate per l’irrigazione e per scopi industriali.

Tags: ambiente agricoltura acqua tutela ambientale reti mare Luglio Agosto 2022

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