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TELECOM ITALIA: UNA STORIA INFINITA, UNA GLORIA FINITA

Marco Tronchetti Provera

Le cronache relative alle intercettazioni delle telefonate di Luciano Moggi, importante manager della Juventus, con i designatori degli arbitri, e tutte le altre intercettazioni che hanno provocato lo scandalo di Calciopoli hanno relegato in secondo piano, nella primavera scorsa, le vicende scaturite dall’esito elettorale di aprile, dal cambio di maggioranza alla macchinosa formazione di una nuova compagine di Governo. Poi sono arrivate altre intercettazioni rivelatrici di un presunto coinvolgimento del Servizio di sicurezza militare italiano nel rapimento dell’imam Abu Omar da parte di uomini della Cia.
In tutte le intercettazioni risultavano in qualche modo coinvolti manager di rilievo del Gruppo Telecom. Ma già in luglio le preoccupazioni per i possibili riflessi sui campionati mondiali di Germania e l’inaspettata vittoria della Nazionale italiana avevano fatto passare in secondo piano persino il dubbio suicidio di Adamo Bove, ex funzionario di polizia responsabile della Sicurezza dell’ex monopolista telefonico e sospettare di coinvolgimento nella vicenda il Sismi. Tutto incentrato sulle vicende di giustizia sportiva poi, l’agosto degli italiani trascorreva tra previsioni e sentenze di retrocessioni, penalizzazioni, ciascuno preoccupato delle sorti della propria squadra: juventini rassegnati, fiorentini arrabbiati, laziali inferociti, romanisti quasi contenti. Nessuno che si occupasse più o si preoccupasse della Telecom Italia. Le intercettazioni erano già dimenticate e il suo presidente Marco Tronchetti Provera sembrava tornato al proprio ruolo di bel signore brizzolato, noto ai non addetti ai lavori soprattutto per aver impalmato qualche anno fa la bella Afef Jnifen, di cui si annunciava il prossimo ritorno in tv: non sulla rete di famiglia, La7, ma su Rai Due, con un programma tutto per lei, affiancata dal collaudato Gene Gnocchi. Inaspettatamente, però, Tronchetti Provera torna alla ribalta agli inizi di settembre, ancora una volta oscurando altre vicende, prima tra tutte la Finanziaria tutta lacrime e sangue che il Governo sta progettando.

Lunedì 11 settembre, quinto anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle, il consiglio di amministrazione Telecom approva un piano di ristrutturazione che lascia stupiti e preoccupati politici ed economisti a causa dello scorporo della società di telefonia mobile Tim e della rete di accesso locale per la telefonia fissa. La separazione da Telecom della Tim, fusa con la holding meno di due anni prima, provoca il timore di una vendita del boccone più appetibile, finalizzata a risolvere il peso di un indebitamento che non accenna a diminuire. Il pezzo più ambito del Gruppo potrebbe essere acquisito ancora una volta da qualche operatore straniero, facendo perdere all’Italia l’ultimo baluardo nazionale della telefonia mobile dopo che Omnitel, Wind e Tre sono finite rispettivamente in mani britanniche, egiziane e hongkongine. Immediatamente il presidente del Consiglio Romano Prodi dichiara di non essere stato informato della decisione del vertice Telecom nel corso di un incontro avuto pochi giorni prima con Tronchetti; questi nota che il 9 settembre il consigliere economico del premier, Angelo Rovati, gli ha fatto pervenire un documento, su carta della Presidenza del Consiglio, contenente l’ipotesi di far acquisire da CDP - Cassa Depositi e Prestiti la rete di accesso e di trasporto di Telecom Italia. Le sinistre esultano all’ipotesi di un ritorno in mano pubblica della telefonia fissa, Cassa Depositi e Prestiti smentisce di essere stata coinvolta in progetti di riassetto del Gruppo, i liberisti si allarmano, tutti si interrogano sui rapporti intercorrenti dietro l’operazione ventilata, l’opposizione e parte della maggioranza invocano spiegazioni. In missione ufficiale in Cina con un seguito di oltre mille persone tra ministri, sottosegretari, assessori regionali, operatori economici, politici e personaggi vari, Prodi prima rifiuta poi accondiscende a presentarsi alle Camere, mentre in Italia le polemiche si fanno incandescenti e arrivano le proteste dei lavoratori Telecom, allarmati dalla possibile vendita della Tim che metterebbe a repentaglio molti posti di lavoro.

Il 15 settembre Tronchetti Provera si dimette dalla presidenza Telecom lasciando il posto all’onnipresente Guido Rossi, mentre le spiegazioni di Prodi provocano un’ulteriore flessione del titolo azionario della società. Torna in prima pagina l’indagine sulle intercettazioni illecite che aveva dominato le cronache in primavera: un’ondata di arresti viene decisa dalla magistratura milanese mentre quella romana fa perquisire la sede milanese della Telecom. Le spiegazioni fornite alle Camere dal premier non placano le polemiche, nessuno sembra in grado di spiegare come stiano le cose, la sensazione è che la Telecom sia oberata da debiti, con reale pericolo per molti posti di lavoro. Dopo Alitalia, anche la compagnia telefonica che ha accompagnato la vita dell’Italia moderna sta per crollare? Non è così, ma la preoccupazione di dipendenti, cittadini e utenti è aggravata dalla superficialità dei media, costretti a rincorrere reticenze, notizie e polemiche di un mondo politico, economico e finanziario preoccupato di non far trapelare le debolezze di un sistema imprenditoriale fatto di finanza senza capitali. I veri problemi sul tappeto sono molti e antichi. Telecom Italia oggi è il risultato di una privatizzazione fatta male e a metà, con interventi statali e con la presenza minoritaria ma determinante dei consueti nomi che ricorrono nella storia della telefonia italiana sin dagli albori.

Già nel 1927 il Gruppo Pirelli è presente nella holding finanziaria che prenderà il nome di Setemer - Società Elettrotelefonica Meridionale, insieme alla svedese Ericsson, al Credito Italiano e al gruppo di industriali lanieri di Biella che nell’ottobre 1924 avevano costituito la Set - Società Esercizi Telefonici. Nel 1933 Setemer e il 16 per cento del capitale Set entrano nel salvataggio del Credito Italiano da parte dell’Iri, fondato nel 1925 da Benito Mussolini per far diventare l’Italia una nazione più moderna, e danno il via a un processo di unificazione del sistema telefonico, all’epoca assai carente, che si concluderà solo nel dopoguerra.
Nel 1958 la Stet acquisisce l’intero pacchetto azionario della Set e nel 1964 nasce la Sip, società italiana per l’esercizio telefonico, attraverso la fusione per incorporazione della Set e delle altre 4 società concessionarie esistenti nella Sip - Società Idroelettrica Piemonte, le cui origini risalgono addirittura al 1899. Una società anch’essa entrata in crisi agli inizi degli anni 30 a causa dell’eccessivo indebitamento e salvata dall’intervento diretto dello Stato attraverso l’Iri che ne diviene azionista di maggioranza, accanto ai maggiori gruppi industriali e finanziari del momento: Agnelli, Pirelli, Motta, Cini. Un copione forse dimenticato o forse sconosciuto che anticipa fedelmente le vicende di oggi con la differenza che le acquisizioni di salvataggio operate dall’allora presidente-fondatore dell’Iri, Alberto Beneduce, erano sistematicamente accompagnate dall’uscita di scena del vecchio gruppo dirigente e dal completo rinnovo del management, scelto esclusivamente sulla base di specifiche competenze tecniche e amministrative.
Negli anni del miracolo economico il sistema delle telecomunicazioni raggiunge dimensioni confrontabili con quelle dei maggiori Paesi industrializzati. Nel 1961 nasce Telespazio, che negli anni successivi diventerà la concessionaria esclusiva per l’impianto e l’esercizio in Italia dei sistemi di comunicazione satellitare; e l’anno successivo, con il lancio del satellite artificiale Telestar, si apre l’epoca dei ponti radio satellitari per le trasmissioni a grande distanza. Per quasi trent’anni la Sip diviene simbolo della comunicazione, gioia e dolore delle famiglie italiane che vedono crescere gli importi delle bollette grazie a campagne pubblicitarie di gran successo, divertenti, innovative e sempre in linea con i mutamenti di costume. Tormentoni come il «Mi ami, ma quanto mi ami?», o «Una telefonata allunga la vita» con il legionario Massimo Lopez che, fucili puntati, esprimeva l’ultimo desiderio di una conversazione, appartengono a quell’era, protrattasi sino alla fine del millennio.

Il management della holding di settore, la Stet, non si limita a godere dei vantaggi del monopolio ancora indiscusso: nel 1964 a Torino viene costituito il Cselt, Centro Studi e Laboratori Telecomunicazioni, con il compito di svolgere attività di studio, di ricerca e di sviluppo nel campo delle tlc e dell’elettronica, principalmente a favore delle consociate del Gruppo, e l’anno successivo, con il lancio del primo satellite per telecomunicazioni commerciali EarlyBird, si apre la strada ai primi circuiti commerciali tra Europa e Nord America.
La possibilità di intervenire in diretta in un programma radiofonico nasce nel 1968 con «Chiamate Roma 3131», e nel 1971 prendono l’avvio i primi esperimenti di videotelefono; nel 1979 la posa di 16 chilometri di cavo in fibra ottica tra alcune centrali urbane e interurbane di Roma. Agli inizi degli anni 90 il Gruppo telefonico è pronto ad affrontare le nuove sfide tecnologiche, passando dalla fase di ricerca a quella di sviluppo industriale: per i mondiali di calcio Italia 90, in tutte le città italiane in cui si disputano gli incontri fra le varie squadre nazionali, viene attivata la rete di collegamento dei primi cellulari. Primi sperimentatori e testimonial del nuovissimo mezzo, destinato a un successo di dimensioni imprevedibili, furono Luca Cordero di Montezemolo, presidente del comitato organizzatore, giornalisti, operatori sportivi e calciatori.
Ma la difficile fase di transizione istituzionale ed economica innescata nel 1992 dal referendum elettorale, dalla congiuntura sfavorevole e dagli scandali di Tangentopoli richiede nuovi pesanti interventi: Giuliano Amato, presidente del Consiglio nel giugno 1992 per 298 giorni, vara una durissima Finanziaria da 93 mila miliardi, comprensiva di un prelievo notturno su tutti i conti correnti bancari del territorio nazionale. In quel clima Carlo Azeglio Ciampi, chiamato a presiedere il Governo nell’aprile 1993, decide di avviare un serie di privatizzazioni di numerose imprese pubbliche: il relativo decreto riguardante Enel, Agip, Stet, Credit, Comit e Ina viene approvato il 30 giugno.

Esattamente un anno dopo, il consiglio di amministrazione dell’Iri, presieduto da Romano Prodi richiamato da Ciampi sulla poltrona che aveva già occupato dall’82 all’89, approva il «piano di riassetto delle telecomunicazioni» che prevede la fusione delle cinque società del gruppo Iri-Stet operanti nel settore telefonico: Sip, Iritel, Italcable, Telespazio e Sirm. Ed è ancora Prodi presidente dell’Iri quando Tronchetti Provera tenta, senza successo, di acquisire Stet. Il 30 giugno 1994 nasce Telecom Italia e nel 1995 Tim, il cui capitale appartiene per il 63,01 per cento a Telecom.
Nel 1997 infine, per aumentare l’incasso dalla prevista privatizzazione, si decide di attuare il piano della Super Sip, che prevede la concentrazione di tutte le attività operative nella società da mettere in vendita: Telecom Italia e Stet, che detiene il 100 per cento delle azioni della prima, vengono fuse dando vita ad una nuova Telecom Italia. L’8 agosto 1997 Romano Prodi, divenuto presidente del Consiglio, stabilisce che l’immissione sul mercato delle azioni, che frutta 26 mila miliardi di lire, dovrà essere realizzata con la modalità del cosiddetto nocciolo duro: si vende cercando di creare un gruppo di azionisti che siano in grado di farsi carico della gestione della società.
Ma la risposta degli investitori italiani è scarsa e il gruppo di azionisti, chiamati dagli stessi politici, riunisce solo il 6,62 per cento delle azioni. Capofila del gruppo i soliti Agnelli, che con lo 0,6 per cento acquisiscono il controllo della nuova società privatizzata. Presidente viene nominato lo stesso Guido Rossi frettolosamente richiamato oggi, dopo quasi dieci anni, a gestire la delicata fase di ristrutturazione della società dopo le dimissioni forzate di Tronchetti Provera. Ancora una volta le storie si ripetono, sempre con gli stessi protagonisti, e la fragilità dell’operazione si manifesta dopo pochi mesi.

La storia di questi ultimi nove anni registra un susseguirsi incessante di terremoti, cambi di proprietà, di management, di strategie industriali, di presidenti e di amministratori delegati, tra i quali Tomaso Tommasi di Vignano, imposto nel gennaio 1997 dall’allora premier Romano Prodi, che in soli quattro mesi concluse il discusso e costoso affare Telekom Serbia, e Gian Mario Rossignolo. Il 19 novembre 1998 comincia l’era di Franco Bernabè con il quale, solo tre mesi dopo, Roberto Colaninno, manager del Gruppo De Benedetti che aveva assunto il controllo della Olivetti, ingaggia un duro braccio di ferro che si protrae fino a giugno quando, a conclusione dell’offerta pubblica d’acquisto e scambio lanciata insieme a un ristretto gruppo di ricchi di provincia, riesce ad ottenere il controllo della società, con una quota del 51,02 per cento.
Ma per portare a termine la scalata, stimata in circa 61 mila miliardi di lire, è stato necessario ricorrere, attraverso il prestito delle banche, a un’operazione di alta ingegneria finanziaria, creando quella montagna di debiti che ancora oggi gravano sul Gruppo. Neanche l’era Colaninno è destinata a durare. Meno di due anni dopo alcuni dei suoi soci padani decidono di vendere le proprie quote e Tronchetti Provera coglie l’occasione per portare a termine quel progetto di acquisizione della Stet, che è la Telecom di oggi, fallito quando Prodi era presidente Iri.

Il ritorno alle antiche partecipazioni Pirelli nella telefonia avviene il 28 luglio 2001 quando Telecom Italia passa sotto il controllo della finanziaria Olimpia, partecipata da Pirelli al 60 per cento, da Benetton, Banca Intesa e Unicredito, cui si aggiunge in seguito la bresciana Hopa di Emilio Gnutti. L’uscita nei mesi scorsi di Hopa e, più recentemente, di Unicredit e di Banca Intesa ha mutato gli assetti di Olimpia, ad oggi partecipata per l’80 per cento da Pirelli e per il 20 per cento da Benetton. Per «fare di Telecom l’azienda leader tra le società di tlc in Europa», Tronchetti Provera ritiene necessario ridurre la catena di controllo del gruppo Olivetti-Telecom. A settembre 2002 Enrico Bondi lascia la carica di amministratore delegato e Riccardo Ruggiero, figlio di Renato, ex ministro degli Esteri di casa Agnelli prima e del secondo Governo Berlusconi poi, viene nominato amministratore delegato per la telefonia fissa.
Nel dicembre dello stesso anno il ministero del Tesoro annuncia di aver ceduto la quota residua della Telecom Italia, pari al 3,5 per cento delle azioni ordinarie e allo 0,7 per cento delle azioni risparmio: dopo 70 anni lo Stato esce dai telefoni. L’anno successivo segna la definitiva scomparsa dello storico marchio Olivetti, fusa in Telecom Italia, e Tronchetti Provera prosegue nel programma di dismissioni, già avviato dai suoi predecessori, delle partecipazioni in aziende manifatturiere o non strategiche e di alcune partecipate straniere.
Nel 2000 sono state cedute la compagnia di assicurazione Meie, l’80 per cento di Italtel e Sirti; nell’anno successivo il 26 per cento dell’operatore spagnolo di telecomunicazioni Auna. Nel 2002 è la volta di Telespazio ceduta a Finmeccanica, e nel 2004 dell’operatore mobile venezuelano Digitel. Nel 2005 vengono cedute Tim Hellas, la quota del 61,5 per cento di Seat Pagine Gialle e la maggiore azienda italiana nel campo del software e della consulenza informatica Finsiel passa sotto il controllo del Gruppo Cos di Alberto Tripi.

Ma il piano industriale Telecom prevede anche uno sviluppo delle attività nei settori della banda larga e dei media, che contribuiscono a lasciare immutato l’indebitamento del Gruppo. Nel 2003 viene acquistato l’operatore broadband tedesco Hansenet che gestisce il sistema di trasmissione adsl (Alice), e l’agenzia di stampa AP.Biscom poi ribattezzata AP.Com; nel 2005  Liberty Surf che gestisce l’adsl in Francia, e la rete internazionale in fibra ottica di Tiscali; nel 2006 Aol Germany da Time Warner l. Le attività in internet e nei media acquisite da Seat vengono scorporate nel 2000, al momento della sua dismissione: il portale Virgilio, Tin.it, Tmc e Tmc2 sono riunite in Telecom Italia Media.

Sempre più determinato a puntare tutto sull’integrazione tra il sistema fisso e quello mobile, nel marzo 2005 Tronchetti Provera lancia un’opa da 14,5 miliardi di euro sulla controllata Tim, con un ulteriore accorciamento della catena di controllo. La fusione Telecom-Tim è finanziata con un mutuo da una cordata di banche, guidata da Banca Intesa, e il costo necessario porta l’indebitamento da 29 a 44 miliardi di euro. Il flusso di cassa dei telefonini non è sufficiente a tamponare i problemi degli altri settori del Gruppo e il 10 agosto 2005, sulla linea delle dismissioni estere, viene ceduta anche la controllata Tim Perù.
Successivamente Telecom Italia acquisisce tutte le attività internet della controllata Telecom Italia Media, portando nella controllante tutte le capacità per fornire contemporaneamente servizi voce, mobili e dati. II bilancio 2005 registra un indebitamento finanziario netto di 39,858 miliardi di euro. Tuttavia, come già nell’anno passato, la società decide, nel marzo 2006, di dare priorità all’aumento dei dividendi per gli azionisti; in risposta, l’agenzia Fitch Ratings riduce il rating di Telecom Italia, portandolo da A- a BBB+.
Il quadro che si prospetta all’inizio del 2006 è tutt’altro che roseo. A gennaio per motivi di salute Emilio Gnutti, travolto dallo scandalo Antonveneta, lascia Olimpia ed esce definitivamente dal Gruppo. Ora bisognerà decidere il destino dei rapporti tra la sua Hopa e Olimpia, di cui la finanziaria detiene il 16 per cento. Un mese dopo i soci di Olimpia inviano una disdetta dei patti che li legano a Hopa, e la società sarà liquidata in denaro. A inizio primavera Banca Intesa prima e UniCredito poi annunciano l’uscita dai patti di Olimpia, poi perfezionata in ottobre.

Rimasti soli in Olimpia, Tronchetti Provera e Benetton hanno diverse visioni strategiche: il primo è alla ricerca di partner finanziari mentre Benetton preferirebbe acquisire un nuovo socio industriale. Il Gruppo di Ponzano Veneto è abituato a comandare ed è a disagio nel ruolo subalterno in Olimpia. Si fa strada il sospetto che intenda uscire da un investimento in perdita, visto che la loro quota ha subito un calo di circa il 60 per cento rispetto all’acquisizione. Il resto è cronaca recente.
Il 7 settembre, al largo dell’isola di Zante, sul megayacht del magnate australiano Rupert Murdoch, Tronchetti Provera incontra il patron di Sky per discutere un possibile accordo sui contenuti da diffondere con i telefoni. Pochi giorni dopo, a un anno e mezzo dalla fusione Tim-Telecom che era costata 14 miliardi, Tronchetti annuncia al consiglio di amministrazione lo scorporo di Tim. Ancora una volta, vero obiettivo del cambio di strategia è la riduzione del debito di Telecom Italia, salito nel primo semestre dell’anno a 41,3 miliardi secondo i dati ufficiali, a 48 nella stima di Standard & Poor’s.
Malgrado la vendita di una quantità di asset, Tronchetti Provera lascia dopo cinque anni la guida del Gruppo con un debito esattamente equivalente a quello ereditato da Colaninno. L’annuncio dello scorporo, le incaute dichiarazioni politiche, le scarse spiegazioni sugli eventi fanno precipitare le quotazioni del titolo, acquistato nel 2001 a 4 euro. Il primo problema che il nuovo presidente Guido Rossi si trova ad affrontare è fare chiarezza sulla reale portata dei problemi, convincere il mercato che la situazione non è affatto drammatica e che occorre guardare al futuro in un’ottica davvero industriale, che punti ai contenuti e non alle lotte di potere.
I numeri Telecom sono in linea con le previsioni degli analisti aziendali, e nel primo trimestre dell’anno sia l’utile netto sia i ricavi registrano dati positivi di crescita, rispettivamente del 13,4 e del 6,5 per cento. Ciò malgrado la riduzione del 6,3 per cento dei ricavi per la voce nella telefonia fissa, compensata da una crescita dell’11,6 per cento dei servizi rivolti a operatori licenziatari, a carrier internazionali, reseller e fornitori di accessi Internet. Ma l’attenzione di economisti e soprattutto di politici rimane incentrata sulla telefonia mobile, il cui contributo resta fondamentale: un milione in più di utenti Tim cui si aggiungono quelli della controllata Tim Brasil, leader in quel Paese con 17,8 milioni di utenti.
Le voci di un’imminente vendita della Tim dopo lo scorporo hanno provocato l’immediata strenua difesa dell’italianità della telefonia mobile, motivata in realtà dal timore che il nuovo acquirente, quale sia la sua nazionalità, cominci a licenziare. 70 mila lavoratori pronti allo sciopero, di cui hanno peraltro già dato qualche assaggio nelle scorse settimane, sono argomento più che sufficiente per stimolare l’orgoglio nazionale e l’aspirazione a una compagnia di bandiera dei telefonini, di cui in realtà non si sente il bisogno e che Bruxelles potrebbe non approvare: rimane tutto da definire il futuro della telefonia italiana e dei suoi protagonisti.

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