INAUGURA IL VINITALY, TRA VINO, BUSINESS E DAZI
Inaugurata tra luci e ombre la 57° edizione di Vinitaly. La situazione percepita non è certo rosea e lo scenario, con i dazi appena annunciati, non promette bene. In una Verona prossima città olimpica (è qui che le Olimpiadi si chiuderanno e apriranno le Paralimpiadi Milano-Cortina 2026), l’invito è “no al panico”, con la rassicurazione che i commissari europei, Hansen all’agricoltura e Várhelyi alla salute, presenteranno in questi giorni nel pacchetto vini: dall’Europa ci si è mossi per etichette tese a informare e non spaventare i consumatori.
Compatti i relatori al convegno inaugurale sull’idea che non si controbatte alla politica americana con strategie similari. La neoeletta presidente del Comité Européen des Entreprises Vins – CEEV (il sindacato europeo dei vini, ora a guida italiana, per la prima volta ne è a capo una donna) Marzia Varvaglione evidenzia la parola del momento, tarifs: “I dazi sono un contraccolpo importante ma ricordiamo anche che i prezzi negli Usa vengono moltiplicati per 4 volte e mezzo e l’aumento ridistribuito nel territorio americano: non è irragionevole pensare che neanche loro li vogliano”.
Ora come ora però la situazione è legata a numeri piuttosto incerti “quindi – commenta Matteo Zoppas (Ice) - impennata per le scorte; mentre alcuni importatori hanno bloccato gli ordinativi”. Bisogna prima capire le dinamiche e l’elasticità tra domanda e offerta: il valore è 8 mld 100 con una crescita del 5.5% rispetto al 2023, ma la situazione è peggiorata e i dazi preoccupano con molto allarmismo al punto che si teme siano applicati alle merci già in transito e così non è. Occorre affrontare il tema con razionalità per controbattere la situazione. “Con tutti gli eventi organizzati da Veronafiere e Ice, abbiamo già uno strumento per aprire dialogo; basti pensare che con Wine Vision nei Balcani in tre anni si è registrato un aumento delle vendite del 50%. Gli Stati Uniti però contano 1 mld 200 milioni di consumatori ed è necessario esserci per la visibilità che ne deriva”.
È il ministro Adolfo Urso quello con le idee più chire, e che vanno nella direzione di una de-escalation: “In questi 5 anni le esportazioni che più sono cresciute nel mondo sono italiane: nei momenti di crisi l’Italia cresce più degli altri e ciò vuol dire ‘niente panico’. Per questo abbiamo indicato alla Commissione Europa per accelerare con nuovi accordi di libero scambio in India, nel Sud-Est asiatico, in Australia, con il Consiglio di cooperazione del Golfo e completare il Mercosur”. È, volendo, anche solo questione di matematica. L’impatto daziario americano sulla crescita europea sarà dello 0,3%, se l’Eu facesse dazi di ritorsione questo impatto aumenterebbe dallo 0.5 fino all’1%, “in senso negativo. Se ci limitiamo a reagire così si sfocia in una guerra commerciale e ci facciano ancora più male”. Non reazioni di pancia ma di cervello: proponendo una de-escalation il Vietnam ha risposto azzerando i dazi; la Cina, al contrario, li ha aumentati. “Non si deve dividere l’occidente nel confronto con l’Asia ma riunificazione. Nel tempo e non da ora, l’Italia è divenuta utile fronte delle riforme in Europa per essere pronti alla sfida continentali”. E in caso non si riuscisse, bisogna evitare il 50% sul whisky perché innescherebbe il 200% sul vino. “Poi chiederemmo sospensione delle regole folli del green deal; tra l’altro i dazi colpiscono maggiormente la componentistica delle auto. La via della compensazione deve essere quindi non italiana bensì europea e consapevole nel riaffermare la competitività Eu”. Gli fa eco il governatore della Regione Veneto Luca Zaia che sottolinea come il 37% su quasi 2 mld di euro esportati dall’Europa siano verso gli Usa: non può avviare una guerra commerciale con gli Stati Uniti, considerato anche il pericolo cinese in Europa: non ci si può isolare dagli Usa.
Conclude il ministro Lollobrigida: “Oggi tocchiamo il massimo dell’export dall’Italia: 70mld di cui oltre 8 mld di vino. Siamo una superpotenza sul piano della qualità, data dalla nostra storia e questo non è delocalizzabile. Non rinunciamo al 10% del nostro export a livello mondiale, l’Italia deve giocare sulla produzione. Intanto lavoriamo per promuovere quello che abbiamo di qualità, vino compreso, senza criminalizzazione”. E ribadisce: “Non temo questo, temo chi mette in dubbio le nostre denominazioni”.
Prosegue intanto il lavoro di Veronafiere tra Kazakhstan e India, quest’ultimo ora paese più popoloso del mondo e anche se con tasse importanti per l’export si lavora in questo senso per la promozione dei vini italiani.
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