la legge rimedio per i superdebiti dovuti alla crisi
Descritta nello scorso numero la prima parte della procedura prevista dalla legge varata a fine 2012 per mitigare i rigori delle norme fallimentari a favore di imprese, famiglie e singoli consumatori oberati da debiti a causa della crisi economica in atto, illustriamo in questo secondo articolo quanto avviene dopo l’emanazione da parte del Tribunale del decreto di omologazione dell’accordo raggiunto. Questo diviene obbligatorio per i crediti antecedenti; quelli accesi dopo non sono compresi nel piano. Il Tribunale, in Camera di consiglio, dovrà accertare eventuali mancati pagamenti. In caso di fallimento del debitore, l’accordo è risolto e non è prevista azione revocatoria per atti e pagamenti posti a garanzia di esso. Al consumatore sovraindebitato sono applicabili le regole previste per le imprese, con una differenza sui tempi di comunicazione alla clientela - 30 giorni - e di fissazione dell’udienza - 60 giorni - dopo la presentazione del piano. Il giudice può sospendere i procedimenti di esecuzione forzata se pregiudizievoli per l’esecuzione del piano stesso.
Inoltre, per omologare il piano verificherà che il consumatore non si sia indebitato, in maniera colposa o no, senza la ragionevole possibilità di rimborso e in maniera sproporzionata rispetto al suo patrimonio. Come per l’accordo di un’impresa, anche in caso di consumatori i creditori mantengono i propri diritti verso co-obbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso. In caso di cessione di beni pignorati, sia nell’accordo che nel piano del consumatore l’organismo che ha l’obbligo di verificare l’esecuzione dell’accordo/piano deve nominare un liquidatore.
Il giudice è incaricato di decidere sulla violazione di diritti soggettivi e di autorizzare, sentito il liquidatore, lo svincolo delle somme, la cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni dei diritti di prelazione e di altri vincoli. È possibile la modifica della proposta originaria nel caso di impossibilità di rispettare il piano non per colpa del debitore/consumatore. Se il debitore ha posto in atto comportamenti dolosi o con colpa grave, aumentato o diminuito il passivo, sottratto o nascosto una parte dell’attivo, il Tribunale agisce per l’annullamento dell’accordo su proposta anche di un solo creditore da presentare entro 6 mesi dalla conoscenza e, comunque, entro 2 anni dall’ultima esecuzione prevista dal piano.
In caso di mancata osservanza di quanto previsto dall’accordo, la risoluzione di questo interviene se non sono conferite le garanzie promesse e se l’esecuzione non avviene ma non per colpa del debitore. Il ricorso va presentato entro 6 mesi dalla scoperta dei fatti, o entro un anno dall’ultima esecuzione delle azioni previste dall’accordo. Rimangono impregiudicati, in caso di risoluzione, i diritti di terzi in buona fede.
Per quanto i consumatori, la cessazione del piano è stabilita dal Tribunale in Camera di consiglio, su proposta del creditore e in contraddittorio con il consumatore in caso di aumento o diminuzione dell’attivo o del passivo in maniera dolosa o per colpa grave, se è stata sottratta o dissimulata una parte considerevole dell’attivo, se sono state nascoste attività inesistenti, se le obbligazioni assunte non sono state adempiute in maniera regolare, se non sono state conferite le garanzie o se il piano non è attuabile ma non per colpa del consumatore. In questi casi il ricorso deve essere proposto a pena di decadenza entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal piano. I tempi di presentazione dell’istanza sono gli stessi del caso di accordo: 6 mesi dalla scoperta e comunque 2 anni successivi al momento fissato per l’ultimo adempimento previsto dal piano. I diritti dei terzi in buona fede sono comunque garantiti.
La liquidazione del patrimonio, soluzione alternativa all’accordo e al piano, è possibile se non è stata posta in essere alcuna procedura concorsuale e se il debitore non ha posto in essere una procedura di composizione della crisi. Il debitore dovrà presentare al Tribunale la proposta di liquidazione del patrimonio, con la documentazione prevista nel caso di accordo e una relazione, dell’organismo di composizione della crisi, relativa allo stato patrimoniale, alle cause dell’indebitamento, ai motivi dell’impossibilità di onorare i debiti, all’eventuale presenza di atti già impugnati. La relazione deve concludersi con un giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione presentata. In caso di relazione incompleta per l’aspetto patrimoniale, la domanda sarà inammissibile.
Non entrano nella liquidazione i crediti impignorabili, quelli di carattere alimentare e di mantenimento, salvo alcune eccezioni i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall’articolo 170 del Codice civile. Entro 3 giorni dal deposito in Tribunale l’organismo deve darne comunicazione all’agente della riscossione (Equitalia), agli uffici fiscali (Agenzia delle entrate) e agli enti locali competenti. Depositata la domanda, dal terzo giorno successivo fino alla chiusura della liquidazione, sono sospesi gli interessi convenzionali o legali.
In caso di annullamento dell’accordo, di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore, di mancata esecuzione dei pagamenti secondo il piano, di presenza di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori, di mancato rispetto degli obblighi assunti, di mancato conferimento delle garanzie previste, o se il piano non è più realizzabile per colpa non ascrivibile al debitore, è possibile che l’accordo/piano per la composizione sia convertito in liquidazione del patrimonio del debitore con decreto del giudice, su istanza del debitore o di un creditore. Verificato che non siano stati commessi atti di frode nei 5 anni precedenti, la liquidazione è aperta con un decreto del giudice che deve nominare un liquidatore (con i requisiti del curatore fallimentare), congelare eventuali azioni esecutive, sequestri conservativi e diritti di prelazione sul patrimonio del debitore, fino al momento dell’emanazione del provvedimento di omologazione. Il giudice deve disporre la pubblicità alla procedura, la trascrizione di beni immobili e mobili registrati, la consegna o il rilascio di beni patrimoniali. La procedura dura fino alla completa esecuzione della liquidazione e, comunque, nei 4 anni successivi al deposito della domanda.
Il liquidatore deve verificare l’elenco dei creditori e l’attendibilità dei documenti forniti, predisporre l’inventario di beni e crediti da liquidare, comunicare ai creditori e ai titolari dei diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari, sui beni mobili o immobili del debitore, informare sulle modalità di partecipazione alla liquidazione, sulla data ultima di presentazione delle domande, sulla data massima di comunicazione dello stato passivo e altre informazioni utili. La domanda di partecipazione deve contenere le generalità del creditore, l’importo reclamato nella liquidazione o i beni di cui si chiede la restituzione o che si rivendicano, le motivazioni della domanda, eventuali prelazioni, i riferimenti del ricorrente. Vanno allegati alla domanda i giustificativi del diritto al pagamento.
Il liquidatore deve poi predisporre un progetto di stato passivo, che invierà ai soggetti interessati i quali, a loro volta, avranno tempo 15 giorni per avanzare proprie osservazioni. In mancanza di osservazioni dopo ulteriori 15 giorni lo stato passivo è approvato e trasmesso alle parti, altrimenti dovrà essere predisposto un nuovo progetto rinviando alla stessa procedura. In caso di contestazioni, se il liquidatore ritiene le osservazioni fondate, predispone un nuovo progetto di passivo, ricomunicandolo alle parti. Se vengono mosse al liquidatore contestazioni non sanabili questi trasmette gli atti al giudice che, in Camera di consiglio, redige lo stato passivo definitivo.
Predisposto l’inventario, il liquidatore deve inviare al giudice, ai creditori e al debitore, entro 30 giorni, un programma di liquidazione dei beni, di cui ha l’amministrazione. La liquidazione sarà effettuata, in un tempo ragionevolmente sufficiente, senza altre autorizzazione, salvo sospensione motivata da parte del giudice, previa la pubblicizzazione della liquidazione stessa; infine il liquidatore deve fornire la massima informazione e curare la partecipazione dei soggetti interessati. Avendo titolo a cedere i crediti anche se oggetto di contestazione, egli provvede al recupero dei beni del patrimonio e li cede con procedure competitive utilizzando, dove necessario esperti e stime. Sono esclusi dalla liquidazione i beni e i crediti di cui il debitore è entrato in possesso successivamente alla presentazione della domanda di liquidazione. Ugualmente esclusi i creditori sopravvenuti dopo il deposito della domanda.
Il giudice dovrà svincolare le somme, disporre la cancellazione di ogni vincolo sui beni come trascrizione di pignoramenti, diritti di prelazione ecc., e chiudere ogni pubblicità disposta. La chiusura della procedura di liquidazione è dichiarata dopo la conclusione del programma, ma almeno 4 anni dopo il deposito della domanda di liquidazione. Successivamente viene disciplinato l’istituto dell’esdebitazione; la procedura attraverso la quale il fallito, persona fisica, può essere liberato dai debiti residui dei creditori concorsuali, soddisfatti almeno in parte.
L’esdebitazione è possibile nel caso in cui il debitore abbia cooperato al regolare ed efficace svolgimento della procedura, non ne abbia in nessun modo ritardato l’espletamento, non abbia beneficiato di altra esdebitazione negli 8 anni precedenti la domanda, non sia stato condannato definitivamente per una serie di reati previsti dalla legge, abbia svolto nei 4 anni successivi al deposito della domanda un’attività produttiva, non abbia rifiutato proposte di impiego senza giustificato motivo, abbia soddisfatto, almeno in parte, i creditori aventi titolo e causa anteriori al decreto di apertura della liquidazione.
Il debitore non può invece ottenere l’esdebitazione se ha fatto ricorso al debito in maniera colposa e non proporzionata alle proprie capacità patrimoniali, e se nei 5 anni precedenti o durante la procedura abbia compiuto atti in frode, simulazioni o altro per favorire alcuni creditori a danno di altri. L’esdebitazione non può essere richiesta se i debiti derivano da obblighi di mantenimento e alimentari, risarcimento danni per illecito extracontrattuale, sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti, debiti fiscali accertati dopo l’apertura delle procedure, anche se aventi causa anteriore.
Compiute le verifiche, il giudice dichiara l’esdebitazione, ossia la non esigibilità di crediti non soddisfatti integralmente. Eventuali ricorsi dei creditori devono essere proposti al Tribunale che deciderà in Camera di consiglio, dalla quale è escluso il giudice che ha emesso il decreto.
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