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Una legge sul lobbismo può garantire maggiore trasparenza nei rapporti con le Istituzioni

di MAURIZIO DE TILLA presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

Democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa non sono in antitesi, ma sono due facce della stessa medaglia. Certo che un nodo di permanente attualità è dato dal delicato equilibrio tra rappresentanze e rappresentazione, tra autonomia dei rappresentati nelle decisioni ed esigenze in cui costoro riflettano istanze e visioni espresse dalla collettività. La straordinaria articolazione della società civile moderna e la crescente complessità delle decisioni da adottare evidenziano il difficile rapporto tra politica e società civile, con tutte le connesse implicazioni.
Il dato di fatto è che la rappresentanza politica è in crisi e non riesce a trovare strumenti trasparenti di interazione con il tessuto sociale ed economico del Paese. In Italia esiste spesso un’opacità nei processi decisionali pubblici. Qualcuno attribuisce tale oscurità al vuoto normativo in materia di lobbying a livello legislativo, salvo alcune esistenti specifiche leggi regionali. Secondo i più qualificati interpreti, la mancanza di una normativa sul lobbismo accresce i problemi della trasparenza del processo decisionale pubblico e pone dubbi sulla correttezza dell’attività legislativa e amministrativa. A volte i sospetti si estendono alla probabile presenza di affari non limpidi e a fenomeni di corruzione introdotti attraverso canali impropri e segreti.
Nella proposta di legge presentata alla Camera dei deputati dagli on.li Chiara Moroni, Claudio Barbaro ed altri, si fa rilevare che l’attività di «lobbying e di relazioni istituzionali» richiama espressamente tanto il problema della trasparenza del procedimento normativo istituzionalizzato, quanto la legittimità dell’attività di rappresentanza di interessi particolari meritevoli di attenzione, che interagiscono con il sistema istituzionale in quanto espressione del pluralismo economico sociale e culturale e, per certi aspetti, anche con l’esigenza di disporre di informazioni e dati da valutare in sede di adozione di atti legislativi o amministrativi generali.
In un’altra proposta di legge di iniziativa dell’on. Pino Pisicchio si è rilevato che, nella valutazione che si sta compiendo sul lobbismo, non trova accesso alcuna forma di giudizio etico: nel lobbismo trovano spazio variegati interessi, che vanno dalle attività imprenditoriali, commerciali ed economiche in senso stretto, a quelle di categorie professionali, ai gruppi di pressione e ai movimenti organizzati per fini specifici, come i consumatori e le organizzazioni di volontariato.
Si potrebbe, in verità, affermare che il lobbismo rappresenta una necessaria forma di partecipazione dei cittadini all’iter legislativo: una delle poche percorribili di fronte al declino della «forma partito». In Italia si è ancora nella fase preliminare di tentativi per una regolamentazione dell’«attività di relazioni istituzionali». Nel quadro internazionale la materia è già ampiamente disciplinata. Negli Stati Uniti il lobbying risale alla fine del 1800 e in molti altri Paesi ha già avuto larga diffusione. La sua crescente importanza è strettamente legata a una fase storica incentrata sulla riclassificazione dei rapporti tra Stato e società civile. Si è detto che il tema del lobbying è affine a quello che riguarda termini quali «governo dalle reti», privatizzazioni, principi di solidarietà.
L’attività di lobbying si differenzia chiaramente dalle indebite interferenze che portano talvolta a fenomeni di corruzione. Ove la corruzione è prevalente e sistematica, c’è poco spazio per il lobbismo. Nella sua fisiologia, il lobbismo è l’opposto dell’opacità di sottesi comportamenti di corruttela, in quanto costituisce rappresentanza socialmente riconosciuta di interessi palesi cui si dà un’apposita regolamentazione. Sussiste, inoltre, il pericolo che all’attività di lobbying ricorrano solo interessi economici forti. Per evitare ciò occorre che si dia spazio alle rappresentanze delle formazioni sociali e agli interessi esclusivamente collettivi.
Per evitare alcune accertate distorsioni il tema della regolamentazione del lobbismo è stato di recente affrontato in maniera significativa tanto dalla Commissione quanto dal Parlamento europei. Nel Libro bianco sulla «Governance europea» elaborato dalla Commissione Europea nell’anno 2001 è stata prevista la possibilità che gruppi organizzati dal mondo economico e dalla società civile organizzata facessero parte a pieno titolo del processo decisionale europeo, non più connotato da un government centralizzato e basato su una logica top-down, ma fondato sulla governance, diffusa e fondata su un modello «hottom-up».
Con il Libro verde del 2006, denominato «Iniziativa europea per la trasparenza», la Commissione Europea ha avviato una consultazione pubblica volta ad indagare sulle modalità migliori per avere un quadro più strutturato per le attività dei rappresentanti dei gruppi di interesse, ossia dei lobbisti. L’esito della consultazione ha portato alla creazione, nel marzo 2007 presso la Commissione, di un Registro europeo dei rappresentanti di interessi, ad iscrizione volontaria ma basato su incentivi selettivi e provvisto di un codice di condotta per i lobbisti.
Nel corso del 2011 anche il Parlamento europeo ha aderito all’iniziativa della registrazione per i lobbisti e ha creato un Registro comune europeo, ossia della Commissione e del Parlamento, dei rappresentanti di interessi. In questo senso, essendo l’attività di lobbying esercitata presso le istituzioni decisionali europee in maniera trasparente e pubblica, l’intero processo decisionale appare più democraticamente leggibile e aperto alla partecipazione di una molteplicità di interessi.
Come si è detto, in Italia la situazione è anomala e confusa. Manca un tipo di rappresentanza regolamentata dal punto di vista normativo. E l’inconveniente principale è che il modello di relazione istituzionale è più orientato all’esercizio dell’influenza come relazione sociale che alla comunicazione come processo. Importante è la creazione nel nostro Paese di un Registro pubblico, oltre che la fissazione di un codice di condotta che eviti di ottenere, o di cercare di ottenere, informazioni o decisioni in maniera disonesta, e che garantisca che le informazioni fornite siano complete, aggiornate e non fuorvianti.
Infine è da rilevare che, nella relazione dei 10 Saggi nominati durante la recente crisi di Governo dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, si è sottolineata la necessità di istituire presso la Camera, il Senato e le Assemblee regionali un Albo dei portatori di interessi. Scrivono così i Saggi nella loro relazione: «I gruppi di interesse svolgono una legittima, non sempre trasparente, attività di pressione sulle decisioni politiche». Infine, va segnalato che uno dei problemi più scottanti è costituito dal meccanismo della «porta girevole» o revolving door, che consiste nel reclutamento di lobbisti ex parlamentari o provenienti dai ranghi della burocrazia.
Tale profilo consente ai lobbisti di sfruttare le precedenti esperienze lavorative a vantaggio dei clienti presso i quali si decide di svolgere attività di consulenza in cambio di alte remunerazioni. Tale presenza dovrebbe essere vietata. Il fenomeno solleva forti problemi di etica pubblica di fronte ai quali i poteri pubblici sono chiamati a dare un’esauriente risposta a tutela degli interessi generali della collettività, che si devono improntare a criteri assoluti di terzietà e di trasparenza.   

I principali punti contenuti nella proposta di legge presentata alla Camera a firma Moroni-Barbaro ed altri per disciplinare il lobbying

Con l’espressione « attività di lobbying e di relazioni istituzionali» la proposta di legge presentata dagli on.li Chiara Moroni, Claudio Barbaro ed altri indica l’attività di rappresentanza esercitata dai cosiddetti «rappresentanti di interessi particolari» attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi, emendamenti, documenti e qualsiasi altra iniziativa o comunicazione orale o scritta, anche trasmessa per via telematica, nei confronti di ministri, sottosegretari, uffici di loro diretta collaborazione, titolari di funzione dirigenziale, Autorità indipendenti, parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali.
I «portatori di interessi particolari», ossia i soggetti da cui tali rappresentanti dipendono, devono iscriverli nel «Registro unico dei rappresentanti di interessi particolari», affinché possano svolgere attività di lobbying, indicando gli interessi che si intendono rappresentare. Possono essere iscritti nel Registro unico ed esercitare l’attività di rappresentanza: i liberi professionisti e i consulenti che svolgano l’attività professionale di lobbying e di relazioni istituzionali continuativamente e in modo prevalente per conto di società, aziende, movimenti, associazioni; i dipendenti di società nella cui ragione sociale è indicata l’attività di rappresentanza di interessi particolari; i dipendenti con deleghe specifiche di società nazionali e multinazionali; gli esponenti di associazioni, ordini professionali, movimenti civici, associazioni di consumatori, organizzazioni sindacali e imprenditoriali, associazioni di categoria.
Non possono esercitare questa attività, per i due anni successivi allo svolgimento del loro mandato o alla cessazione del loro incarico, i decisori pubblici, i dipendenti della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri, del Parlamento, delle Autorità, degli enti pubblici; i giornalisti che svolgono attività presso il Parlamento; i dirigenti di partiti o movimenti politici e i membri dei loro rispettivi staff.
Previo accreditamento, i lobbisti possono accedere alle sedi istituzionali dei decisori pubblici per assistere alle sedute e ai lavori, consultare atti, accedere ad informazioni e a dati anche informatici attinenti all’interesse rappresentato, nelle forme della legge n. 241 del 1990; possono ricevere informazioni sullo svolgimento dei procedimenti legislativi e amministrativi, intervenire nelle fasi istruttorie con memorie, documenti, proposte e audizioni.
Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge, la Presidenza del Consiglio, le Amministrazioni dello Stato, le Autorità indipendenti, le Regioni, devono definire le modalità di accesso ai propri uffici e di esercizio delle facoltà da parte dei rappresentanti di interessi particolari; il Senato e la Camera dei deputati devono emanare disposizioni dirette a disciplinare l’esercizio delle suddette attività. Ogni 6 mesi gli iscritti nel Registro devono presentare alla Presidenza del Consiglio una dettagliata relazione sull’attività svolta.

Tags: Giugno 2013 Maurizio de Tilla lobby

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