TERRORISMO - Come garantire i diritti umani delle vittime del terrorismo
Nel suo primo rapporto annuale al Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti umani, presentato a Ginevra il 20 giugno scorso, il nuovo relatore speciale per la promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta al terrorismo, Ben Emmerson, dedica una particolare attenzione ai diritti umani delle vittime degli atti terroristici, spesso dimenticate o prese in scarsa considerazione, e ai corrispondenti obblighi degli Stati di garantire tali diritti. Dopo un’attenta e approfondita analisi dei diritti umani giuridicamente vincolanti e riconosciuti a livello internazionale, il relatore avanza alcune significative proposte che meritano di essere segnalate.
La prima riguarda il riconoscimento, da parte degli Stati, che ogni atto terroristico che abbia come risultato la morte o le lesioni gravi fisiche o psicologiche di una persona, costituisca una grave violazione dei diritti umani della vittima, a prescindere dalla questione della responsabilità diretta o indiretta dello Stato. V’è ancora chi sostiene che i terroristi, ribelli o belligeranti, non possono commettere violazioni del diritto internazionale dei diritti umani, a meno che il grado di organizzazione di controllo del territorio o di riconoscimento dello Stato coinvolto in una situazione di conflitto, abbia raggiunto il livello di una vera e propria insurrezione o di un conflitto armato interno.
È, però, principio centrale del diritto internazionale dei diritti umani che esso debba tenere il passo con il mondo che cambia. Alcune delle più gravi violazioni dei diritti umani sono oggi commesse da o per conto di attori non statali che operano in situazioni di conflitto di un tipo o dell’altro, anche mediante reti terroristiche nazionali o internazionali. Di qui l’esigenza di adeguare la normativa alla realtà, riconoscendo le vittime degli atti di terrorismo come vittime di gravi violazioni di tale diritto.
Tale riconoscimento trova fondamento nel dovere generale dello Stato, ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, di proteggere il diritto alla vita degli individui sul proprio territorio o su quello soggetto alla propria giurisdizione. Non v’è dubbio, infatti, che l’uccisione in massa di civili, che spesso è l’obiettivo principale delle campagne terroristiche, comporti la violazione del diritto umano più fondamentale e cioè il diritto alla vita.
Dal rapporto si evince chiaramente che l’autore non condivide l’opinione di chi ritiene che solo gli Stati e le entità ad essi comparabili possano violare i diritti umani. La considera un’opinione obsoleta e retrograda, che lascia le vittime del terrorismo in una situazione legalmente ossificata («prigionieri della dottrina»), che può portare a varie forme di vittimizzazione secondaria. Di qui l’amara constatazione che, nonostante la proliferazione di accordi internazionali relativi alla repressione del terrorismo, non ce ne sia nessuno che si rivolga in modo particolare ai diritti umani delle vittime degli attacchi terroristici.
E ciò nonostante che la disumanizzazione delle vittime sia stata riconosciuta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come condizione favorevole alla diffusione del terrorismo. Ecco allora la seconda proposta legata indissolubilmente alla prima: riconoscere formalmente le vittime del terrorismo come individui i cui diritti fondamentali dell’uomo sono stati violati, incorporando tale principio in uno specifico strumento internazionale sui diritti delle vittime degli atti terroristici, nella convinzione che tale normativa rafforzerà sicuramente gli sforzi internazionali verso un’effettiva strategia globale nella lotta contro il terrorismo. Il tutto sotto l’egida delle Nazioni Unite.
In attesa dell’adozione di tale provvedimento, gli Stati dovrebbero rivedere la loro legislazione nazionale apportando in pratica tutte le modifiche necessarie per metterla in linea con i principi quadro per la protezione dei diritti umani delle vittime del terrorismo, tenendo presente anche le linee-guida del Consiglio d’Europa in materia di diritti umani e di lotta contro il terrorismo, nelle quali si fa esplicito riferimento al dovere imperativo degli Stati di proteggere la popolazione contro eventuali attacchi terroristici. Nel rapporto non manca un significativo plauso nei confronti delle organizzazioni non governative che rappresentano gli interessi delle vittime del terrorismo. Secondo Emmerson, esse svolgono un ruolo vitale nel garantire che i bisogni delle vittime siano adeguatamente compresi e comunicati, contribuendo altresì a personalizzare e trasmettere le tragedie umane che il terrorismo infligge.
Dopo aver ricordato che esse godono dei diritti alla libertà di associazione ed espressione ai sensi degli articoli 19 e 22 della Convenzione, compreso il diritto di articolare critiche alle autorità pubbliche, egli esorta gli Stati ad astenersi da qualsiasi ingerenza nel libero esercizio di tali diritti, rimarcando nello stesso tempo l’imperativo categorico di garantire quei diritti dalle interferenze illecite di chiunque. Infine, le stesse organizzazioni, proprio per il ruolo che esse svolgono, devono poter beneficiare di misure efficaci di protezione contro il rischio di rappresaglie da parte dei terroristi o dei loro sostenitori.
di ANTONIO MARINI