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anziché prodotti avanzati l’italia, pagando, invia all’estero i propri rifiuti

Chiunque sia al corrente di un minimo di tecnologie ed abbia a cuore la solidità del Paese non può non provare un senso di mortificazione, misto a profonda irritazione, nel considerare quel che accade in Italia nel comparto dei «rifiuti». Vediamo qualche premessa, indispensabile per approfondire questo importantissimo problema. Qualsiasi attività venga svolta porta alla formazione di una certa quantità di rifiuti. Accade con i rifiuti tossici, con quelli agricoli, con quelli urbani, con quelli «animali», sulla base di un postulato incontrovertibile che considera come intimamente e solidamente collegati il prodotto finito di una fabbricazione ed una certa quantità di scarti.
Con una considerazione di fondo: come aumenta la produzione di beni, così aumenta la produzione di rifiuti. Il che ci dà conto del perché periodicamente i media portino alla ribalta il problema di come sbarazzarsi di questa frazione così fastidiosa ed ingombrante, ma inevitabile, delle attività umane. Vi sono in questi materiali di scarto prodotti innocui, ma vi sono anche materiali pericolosi, tossici, nocivi, per cui lo smaltimento dei rifiuti diventa a sua volta una specie di attività industriale che, invece di produrre auto, borse e cibi, produce materiali riciclabili, prodotti combustibili, materiali inerti talvolta utilizzabili o destinati al fondo di qualche discarica.
Nelle normali attività ognuno di noi produce oltre un chilo di rifiuti, detti urbani, al giorno. Vi sono poi i rifiuti industriali, che possono presentare un certo grado di nocività. Prevedere lo smaltimento dei rifiuti è una prassi normale. La costruzione della Cloaca Massima iniziò nella Roma antica insieme alla città, come è logico sia. Per quanto riguarda i rifiuti, la procedura più ovvia, quella che in percentuale massiccia viene adoperata, è l’incenerimento.
Uno dei problemi chiave, con i rifiuti, è il volume. Volume significa posto occupato in una discarica o in fondo ad una miniera dismessa. Il che significa una periodica rivisita dello spazio utile  ancora disponibile. Chiunque abbia bruciato un foglio di carta, una sigaretta o un ceppo di legno in un camino sa benissimo che il volume della cenere risultante dall’operazione è di gran lunga inferiore a quello di partenza. A questa pratica, che viene perseguita da molti Paesi europei, si è invece sottratta l’Italia che ha deciso che alcune tipologie di rifiuti devono essere spedite all’estero onde gli operatori stranieri, a casa loro ma beninteso a nostre spese, si occupino di questa bisogna, visto che noi siamo troppo signorini per farlo. In pratica, un Paese europeo esporta in un altro Paese europeo, invece di prodotti ad alto contenuto tecnologico, banali rifiuti, commissionandone la distruzione a pagamento.
Situazione decisamente anomala, che merita riflessioni. Produrre ed operare senza dotarsi delle infrastrutture necessarie a trattare i rifiuti corrisponde a costruire appartamenti senza servizi igienici. Qualcosa di assurdo, che diventa in qualche modo «ideologico». Siamo, infatti, perfettamente in grado di coprire tutti i segmenti tecnologici che sono alla base di questa operazione. Solo all’interno dell’opinione pubblica si è radicato il timore che queste pratiche risultino nei fatti incomplete, che scappi fuori dai flussi della operazione complessiva qualche temuta molecola, in particolare la «diossina».
È questa una molecola ubiquitaria, inevitabile prodotto che accompagna qualsiasi incendio o combustione pianificata, che viene eliminato dai fumi mediante apposito trattamento di depurazione. Da calcoli ad hoc si è accertato che un normale inceneritore per una città di 300 mila o 400 mila abitanti emette, dopo la depurazione dei fumi, tanta diossina quanta ne emettono 5 o 6 motorini. Come a dire che il livello di emissione nei fumi è sostanzialmente trascurabile.
Malgrado questo, abbiamo inventato questa soluzione che, se non fosse inutile, risulterebbe pregna di egoismo: Paesi come Svizzera, Olanda, Germania, per un po’ di soldi respirerebbero la nostra diossina. Impensabile. E visto che cerchiamo di attuare ogni possibile risparmio, è forse questo un punto da cui cominciare.   

Tags: Ottobre 2013 Luciano Caglioti

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