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finanza creativa e finanza etica: gli insegnamenti da croce e da einaudi a papa francesco

Tito Lucrezio Rizzo

di Tito Lucrezio Rizzo, consigliere capo servizio della Presidenza della Repubblica

Pur avendo un proprio sistema di leggi strutturalmente dotate di una loro intima coerenza logica, di cui la politica deve tener conto onde evitare che prima o poi si «vendichino», la materia dell’economia non può essere avulsa dall’etica, che è la componente spirituale dell’uomo, alla quale vanno in ultimo ricondotte tutte le regole dell’agire umano, comprese quelle del diritto e della scienza. È la cultura a far emergere quella razionalità, altrimenti inespressa, che consente di discernere che cosa sia veramente conforme all’etica, o giustizia in senso contenutistico, che dir si voglia.
Nella riflessione giuridica del Secolo dei Lumi, una particolare risonanza ebbe tra gli altri Gaetano Filangieri (1752-1788), che nell’arco della propria pur breve vita ebbe modo di elaborare una poderosa Scienza della legislazione nella quale, riferendosi all’economia in specie, rilevava che «per la disgrazia comune dell’Europa» le ricchezze erano detenute da un’esigua minoranza, per cui la «felicità privata di poche membra» non avrebbe fatto sicuramente la felicità di tutto il corpo, anzi ne avrebbe prodotto la rovina. Se le ricchezze dei pochi, dunque, non solo erano inutili ma addirittura perniciose ai popoli, il Legislatore non avrebbe dovuto limitarsi al prelievo fiscale, bensì attuare una più equa redistribuzione dei beni.
Un secolo e mezzo dopo Benedetto Croce, durante la seconda guerra mondiale, auspicò la costituzione di un’Europa da realizzarsi con «abundantia cordis» cioè, sono parole sue, «con cuore umano e cristiano». Ciò significava uscire dagli egoismi e dall’indifferenza all’altrui povertà. Spiegava: «La moralità si attua solo con gli uomini tutti, combattendo o collaborando con essi per la comune umanità. E solo per questa via della ognora crescente civiltà, la pace si manterrà a lungo e sempre si ristabilirà più profonda e forte». Con profetica lungimiranza Croce esortava alla condivisione del benessere e della libertà, senza la quale condivisione i diseredati si sarebbero giustamente ribellati.
Nell’immediato dopoguerra Francesco Carnelutti osservò che anche il diritto doveva comunque nascere dall’etica e che, in mancanza di essa, era destinato ad esaurire nel tempo la propria forza vitale. Questo era l’humus nel quale si ebbe il superamento dello Stato «di diritto», che nella Costituzione italiana fu recepito nella configurazione di quello «sociale». Esso non si sarebbe, cioè, limitato a dettare delle regole valide per la collettività, nel tradizionale ruolo di tutore della libertà e di garante dell’ordinato vivere civile, ma avrebbe promosso lo sviluppo della personalità di tutti i cittadini, rendendosi così direttamente fautore della crescita del benessere collettivo.
Ciò sia attraverso un’equa ripartizione delle risorse disponibili, sia tramite la promozione dell’assistenza sanitaria, della cultura, della solidarietà, della tutela dell’ambiente, e con la rimozione degli ostacoli che avrebbero altrimenti impedito agli amministrati la reale partecipazione alla vita civile e, quindi, la realizzazione di una democrazia compiuta e non meramente formale.
Si trattò insomma di un’inedita funzione propulsiva, e non semplicemente protettiva del minimo indispensabile alla pacifica convivenza: in tale cornice di riferimento, quello della solidarietà divenne così un carattere identitario della Repubblica, con un saldo ancoraggio dell’economia all’etica della solidarietà, oggi ribadito anche dalla Costituzione dell’Unione europea. Siffatto retroterra culturale ha contribuito a contenere nel Vecchio Continente gli effetti disastrosi della cosiddetta «finanza creativa» d’Oltreoceano, causata da facili guadagni speculativi in Borsa, disancorati dalla ricchezza reale e dal lavoro.
Tutto ciò è stato frutto dell’esasperazione di una ricerca del profitto, più forte nelle aree di matrice calvinistica, sensibilmente diversa dalle tradizioni dell’economia sociale di mercato tipica del capitalismo europeo; ma anche estranea alla finanza islamica che, nell’ambito di una più generale cultura solidaristica, è intrinsecamente avversa ad ogni avventurismo speculativo.
Contro la cultura della spregiudicatezza e dell’incoscienza economica Luigi Einaudi ebbe espressioni di fuoco: nel saggio «Sulle somiglianze e sulle dissimiglianze tra liberalismo e socialismo» scrisse: «Se gli invasati sono i soliti minchioni, preoccupati di non arrivare in tempo ad arricchirsi sull’aumento dei corsi delle azioni di moda, ovvero i consumatori ansiosi di indebitarsi a rate per godere subito qualche nuovissima marca di automobile, o il recentissimo gingillo di cui si è stufato altrettanto subito, può darsi che sia ragionevole applicare un prezzo particolare all’impazzimento specifico».
Con pari determinazione, nel 1933 biasimò la spregiudicatezza di quegli imprenditori o amministratori che si indebitavano fino al collo creando cattedrali di carta con meri artifizi contabili: tipologia di chi «invece di frustare l’intelletto per inventare o applicare congegni tecnici o nuovi metodi perfetti di lavorazione e di organizzazione, riscosse plauso e profitti inventando catene di società, propine ad amministratori-comparse, rivalutazioni eleganti di enti patrimoniali: l’incanto c’è stato, e non è ancora rotto; ma è l’incanto degli scemi, dei farabutti e dei superbi».
Parole che nei disastri prodotti dalla menzionata «finanza creativa» appaiono drammaticamente attuali ed accrescono le responsabilità di tutti coloro che ne hanno reso possibile la reiterazione. Un richiamo autorevole ad una «finanza dal volto umano» venne ieri da Benedetto XVI (Caritas in Veritate), ed oggi da papa Francesco che, nel corso dell’udienza agli ambasciatori del 16 maggio scorso, ha evidenziato la precarietà quotidiana della vita della maggior parte dell’umanità, l’aumento di funeste patologie, la paura e la disperazione che incombono anche nei Paesi ricchi, la violenza e la povertà ovunque in crescita.
Una delle cause di questa situazione, ha detto il Santo Padre, sta nel rapporto che si ha con il denaro, nell’accettarne il dominio, così negando, con la crisi finanziaria in atto, il primato dell’uomo: si adora un nuovo «vitello d’oro», che si sostanzia «nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano». La solidarietà viene spesso considerata controproducente, contraria alla razionalità finanziaria ed economica, mentre l’indebitamento e il credito allontanano i Paesi dalla loro economia reale e i cittadini dal loro potere di acquisto effettivo.
Ciò premesso, riteniamo doveroso il sostegno da parte dello Stato a nuove iniziative imprenditoriali, primariamente orientate ad obiettivi mutualistici e sociali, compatibili con risultati di un’equilibrata e solida crescita economica. Alcune imprese in particolare si pongono come strumento per realizzare, tramite il profitto, finalità di umanizzazione del mercato e della società, proiettandosi ai giovani del domani, improntandosi alla solidarietà ed alla giustizia intergenerazionale e tenendo conto di molteplici ambiti: ecologico, giuridico, economico, politico, culturale.
Una finanza fuorviata dall’uso di strumenti sofisticati, atti ad ingannare i privati piccoli risparmiatori come i grandi investitori, deve riscoprire le proprie fondamenta etiche orientandosi a vantaggio del bene comune, il quale trascende le barriere dei singoli Stati e deve coinvolgere lo sviluppo dei Paesi poveri, come vero strumento, in ultima e lungimirante analisi, di ricchezza per tutti.
Sul piano interno italiano il dibattito di politica economica si è concentrato in massima parte sulle tradizionali due scuole: l’una suggerisce l’espansione della spesa pubblica (Keynes) in funzione anticiclica, sostenuta ove necessario da un aumento della pressione fiscale; l’altra (Einaudi et alii) configura il risanamento del bilancio agendo sulla leva del contenimento delle spese correnti e sul rilancio degli investimenti privati, attraverso l’alleggerimento della pressione tributaria.
Una particolare tutela va accordata a coloro che sono più vulnerabili, quali i meno abbienti, i piccoli risparmiatori e coloro che hanno in genere scarsa competenza ed informazione sulle regole dei mercati finanziari, categorie che nel loro insieme sono state già facili e poi disperate prede di spregiudicati operatori di Borsa che, anche con la complicità di talune banche, hanno loro rifilato dei «titoli spazzatura», con la promessa di mirabolanti guadagni di fronte all’incauto investimento di risparmi accumulati nel corso di una vita di sacrifici.
L’impegno del legislatore sarà tanto più efficace quanto più accompagnato, a livello individuale, da comportamenti virtuosi mediante la riscoperta delle cose semplici: della sobrietà, dell’onestà, dell’amicizia disinteressata, della gratuità nel dare, dell’onorare le promesse fatte, della non ostentazione pacchiana dei simboli vistosi di un benessere offensivo della dignità dei poveri.
Occorre tornare a considerare l’Uomo per quello che è, e non per quello che ha, cioè osservare la sostanza oltre la fatuità dell’apparenza, l’infinito dello spirito che alberga in noi e ci rende partecipi del Divino, oltre la finitezza di ogni orpello terreno. Anche la crisi economica che ha colpito i Paesi più avanzati potrà rivelarsi allora un’opportunità preziosa per ripartire con nuovi modelli di vita, che sono in realtà la riscoperta dei mai incerti valori del Bello, del Buono, del Giusto, seguendo i quali non si smarrisce mai la sicura via della retta coscienza che, essendo universale, trova affratellati e solidali tutti i popoli della terra.  

Tags: Ottobre 2013 finanza Tito Lucrezio Rizzo

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