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LUCI ED OMBRE DEL PROGETTO «DESTINAZIONE ITALIA»: BUONE INTENZIONI MA NON TUTTE CONDIVISIBILI

Anna Maria Ciuffa e Maurizio De Tilla

Il Governo lancia il progetto «Destinazione Italia» che definisce un complesso di misure finalizzate a favorire in modo organico e strutturale l’attrazione degli investimenti esteri e a promuovere la competitività delle imprese italiane. Si tratta di 50 misure che mirano a riformare un ampio spettro di settori, dal fisco al lavoro, dalla giustizia civile alla ricerca, nonché a valorizzare i nostri asset e a sviluppare una politica di promozione internazionale del nostro Paese mirata sugli investimenti.
Nel Piano «Destinazione Italia» si afferma che, per attrarre investimenti in Italia, occorre aprire a capitali privati una parte dell’economia nazionale che, per ora, è rimasta prerogativa del settore pubblico, sia nazionale sia soprattutto locale. Per fare ciò è necessario valorizzare e mettere sul mercato proprietà immobiliari e mobiliari controllate dal settore pubblico. La proposta piace, anche se sul piano concreto bisogna operare con trasparenza e con una verifica veritiera dei deficit accumulati dalle aziende partecipate.
Un’altra proposta da valutare attentamente: si afferma che, al fine di favorire migliori investimenti la cui portata occupazionale sia inferiore a una determinata soglia, si propone un intervento normativo volto a valorizzare accordi con le parti sociali che stabiliscano specifiche disposizioni in materia di condizioni di lavoro, destinate ad operare per un determinato periodo nella fase di avvio delle attività. Ma, dopo la fase di inizio, quali regole si applicheranno? Quelle di una legislazione del lavoro ingessata e scarsamente flessibile?
Secondo i compilatori del Piano «Destinazione Italia», chi investe ha bisogno di un sistema fiscale certo e prevedibile. Occorre favorire un’interlocuzione rapida e in grado di garantire certezze agli investitori interessati al nostro Paese, basata su accordi ex ante. La soluzione è quella di introdurre, nel rispetto della disciplina dell’Unione Europea in materia di pari trattamento degli investitori nazionali ed esteri e di aiuti di Stato, una pratica di accordi fiscali per investimenti superiori a una certa soglia, mediante i quali l’impresa e l’Agenzia delle Entrate concordino in via preventiva e non modificabile le modalità fiscali per un periodo definito.
Accordo su che cosa? Sulle aliquote e sulle scadenze che non possono essere modificate se non con legge? E poi come si fa a preventivare gli utili degli investimenti? Il tutto si rivelerà una probabile utopia. Se il principio è «Pagare le tasse giuste e non evadere», nel Piano «Destinazione Italia» si inserisce un’affermazione ovvia: l’imprenditore dovrà pagare le tasse avendo tratto profitti dal proprio intervento. Una frase che non tiene conto che spesso nelle aziende non si registrano utili, ma perdite. Si aggiunge, nel documento, un’altra condizione ovvia: «Occorrono certezza e stabilità nell’ordinamento fiscale». Ma il problema è un altro: non bisogna «vessare», come si fa, le imprese e le professioni con trattamenti fiscali che per la loro pesantezza non hanno uguali in altri Paesi europei.
Che cosa significa, poi, ridefinire l’abuso del diritto insieme all’elusione? Esentare o sanzionare? A parte il rilievo che gli argomenti indicati riguardano tutti i contribuenti e non soltanto le imprese. Nel progetto «Destinazione Italia» si prospetta, altresì, l’estensione a tutto il Paese delle buone pratiche già in vigore in alcuni Tribunali, allo scopo di ridurre i tempi e dare maggiori certezze alle parti in causa. Sarà, quindi, valutata l’adozione di nuovi interventi normativi. Sarà posta attenzione anche ai profili organizzativi del contenzioso del lavoro. Si parla sempre di perfezionare l’organizzazione giudiziaria, ma non si dice che mancano giudici e personale, che mancano standard produttivi e che i processi del lavoro sono sempre più intasati.
Secondo il Piano «Destinazione Italia» va ridefinito l’abuso del diritto unificandolo al concetto di elusione. Ma ciò va fatto nel rispetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dei più recenti orientamenti giurisprudenziali. Il contribuente potrà essere sanzionato solo se si potrà dimostrare un effettivo aggiramento di norme o di divieti previsti dall’ordinamento fiscale. Il semplice risparmio fiscale non sarebbe, in questo modo, sanzionabile.
L’abuso va, quindi, definito in riferimento agli atti privi di adeguata motivazione economica, posti in essere con l’esclusivo scopo di aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento fiscale e di ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, garantendo la piena libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale.
La nuova impostazione piace e potrà formare oggetto di una nuova disciplina dell’istituto giuridico dell’abuso del diritto. Nel documento «Destinazione Italia» si dice, inoltre, che il «Decreto del fare» ha introdotto una serie di misure per diminuire il numero dei procedimenti giudiziari in entrata. Fra queste figura la mediaconciliazione obbligatoria, che è già fallita una volta. Il Governo prevede che, nei prossimi cinque anni, si abbatterà il contenzioso civile e si porterà a seguente vantaggio totale: un numero maggiore di processi definiti, cioè oltre 950 mila; un numero minore di processi sopravvenuti, pari a 100 mila; un numero minore di pendenze complessive, pari ad oltre un milione. È una grande menzogna.
Dopo la soppressione di 30 Tribunali e di 220 sezioni distaccate, il Governo sta lavorando a un’ulteriore idea geniale: trasferire il lavoro dei rimanenti Tribunali e concentrarlo in pochi di essi competenti per tutte le controversie che riguardano le transazioni commerciali effettuate dalle imprese. In aggiunta si prevede che i Tribunali si riducano ai tre di Milano, Roma e Napoli per tutte le controversie rientranti nelle materie di competenza del Tribunale delle imprese che coinvolgano società con sede principale all’estero, anche se con rappresentanza stabile in Italia.
Sarebbe questa un’operazione che priverebbe i cittadini del riconoscimento dei propri diritti, dirottati in pochi uffici giudiziari per lo più già intasati. Per accelerare i tempi della giustizia, si toglierebbe altresì l’obbligatorietà di assistenza legale nelle procedure di mediazione e si introdurrebbe l’istituto, di origine polacca, della sentenza con motivazione eventuale, se non dopo il pagamento di un contributo per l’appello e l’impegno all’impugnativa.
Siamo alla lucida follia di uno pseudo architetto della nuova giustizia che non conosce l’importanza della difesa dell’avvocato né la natura di un processo che si conclude con una sentenza che va sempre motivata a prescindere dall’appello, con un costo rientrante in quelli di un grado di giudizio e che si esaurisce e che si completa con la determinazione giudiziale.  

Tags: Novembre 2013

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