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gli svantaggi della differenza di genere tra medici ricadono sulle donne medico e sui malati

del prof. Ivan Cavicchi, docente di Sociologia dell’Organizzazione sanitaria dell'Università Tor Vergata di Roma

Vorrei mettere in risalto una contraddizione, anzi la contraddizione che è emersa da tutto il mio precedente articolo pubblicato nel numero di novembre 2013 di Specchio Economico. Prima però devo precisare che: la contraddizione è un’autonomia tra due affermazioni del tipo A = Non A, delle quali una afferma e l’altra nega, e che non possono essere considerate né entrambe come vere, né entrambe come false. Le contraddizioni si rimuovono e non si risolvono come i problemi; per rimuovere le contraddizioni bisogna compiere delle scelte per «cambiare»; una scelta vale come un progetto di cambiamento non riducibile a semplice riorganizzazione dell’insensato.
La «contraddizione» cui mi riferisco è la seguente: la differenza di genere tra medici è, sul piano lavorativo e professionale, fortemente penalizzante per le donne; la parità di genere che subentra nella relazione di cui ci parlano le donne, tra medici e malati, permette di garantire cure migliori e meno costose. La contraddizione sarebbe quindi tra una vecchia organizzazione maschile del lavoro sanitario e un’idea nuova femminile di medicina. Tale contraddizione è oggettivamente intollerabile per due ragioni: gli svantaggi che derivano dalla «differenza di genere» tra medici non ricadono direttamente solo sulle donne medico, ma indirettamente anche sui malati, a causa del beneficio negato che deriverebbe loro, contro fatalmente, da un altro genere di organizzazione del lavoro e quindi da un’altra idea di medico; gli svantaggi in questione diventano paradossali perché oggi le donne medico sono «statisticamente» una «maggioranza».
La contraddizione «politica» innegabile è quella tra possibili svantaggi e possibili vantaggi. Ma perché la parità di genere tra medico e malato, in quanto tale, quindi possibile tanto per le donne che per gli uomini, riesce ad essere, sul piano della cura, più vantaggiosa della disparità? Ancora una volta la parola chiave che le donne ci suggeriscono è «relazione». Con la relazione muta il modo di agire e di essere della clinica, perché molto semplicemente la conoscenza e l’osservazione della clinica si trasformano in una conoscenza interpretativa.
I vantaggi che ne deriverebbero al malato sono, quindi, riconducibili alla capacità e alla sensibilità di chi interpreta i suoi bisogni. Mi si obietterà che il clinico comunque già interpreta sintomi, e questo è abbastanza vero, ma l’interpretazione nella clinica ancora oggi, almeno per come è insegnata nell’università, resta per sua natura fortemente vincolata all’osservazione. La relazione, di cui parlano le donne medico, permette di interpretare il malato andando oltre il sintomo fino a cogliere gli aspetti dello stesso che non sono visibili, evitando quindi tanto gli inganni delle apparenze che quelli delle granitiche evidenze scientifiche. Nella relazione, ci dicono le donne medico, il malato è come se diventasse un «testo» da interpretare, cioè un discorso superiore alla sintomatologia, quindi fatto da enunciati di diversa natura: biologici, psichici, sociali, culturali, esistenziali, contestuali ecc.
La nozione di «testo» per la semeiotica clinica è «il segno che comunica», per le donne medico è «ciò che significa un malato». Quando le donne medico ci parlano ostinatamente del loro rapporto con i malati è come se esse fossero implicate nel «testo» che cercano di comprendere fino a diventare a loro volta coautrici. Il clinico descrittore è semplicemente uno che prende atto dei sintomi che vede, e prescrive analisi e farmaci.
Il clinico interprete va oltre il visibile e ciò che sembra, usa le sue conoscenze, le sue esperienze, la sua intuitività, la sua immaginazione e persino, come spiegano le donne medico, il loro essere donne per riempire il vuoto che esiste tra il malato che si vede e il malato che non si vede. Per certe donne la relazione è importante perché essa è il luogo dove il malato e il medico scrivono un testo a quattro mani. La nozione di «testo» serve prima di tutto a decidere che cosa valga la pena che «esista» ai fini della cura, prima ancora di decidere quali sintomi curare.
Rispetto a questa nuova idea di pertinenza e di adeguatezza, i discorsi delle donne ci spiegano tutta la burocraticità dell’idea cara ai «tecnocrati» - genere ibrido perché fatto sia da maschi che da femmine - di appropriatezza. Il primo problema per loro è capire cosa ammettere alla conoscenza sapendo che le entità del malato ammissibili sono diverse. Il malato ha più modi di esprimere ciò che è la propria malattia. Cosa abbiamo imparato dalle donne? Abbiamo imparato che: in medicina non conviene mai ridurre la conoscenza ad «una» conoscenza: «come conosco un malato» vale rispetto a ciò che vedo, ma anche a ciò che credo di lui, a come lo conosco e a come mi ci rapporto; per cogliere realisticamente la complessità di un malato è necessario rinunciare alle  rappresentazioni uniche riguardanti solo l’organo; per un clinico la parola «inconcepibile», a parte gli ovvi limiti naturali delle malattie, vuol dire solo rispetto ai metodi che impiega, non che qualcosa sia inconcepibile tout-court; se i clinici non concepiranno altre possibilità di conoscenza oltre l’oggetto biochimico, avranno serie difficoltà a conoscere realmente la complessità di un malato.
Ritorniamo alla «contraddizione» tra la differenza di genere che penalizza le donne medico e la parità di genere che, grazie alla relazione, cura meglio il malato: le contraddizioni in medicina e in sanità legate al «genere» sono contraddizioni strutturali quanto quelle legate al difficile rapporto tra diritti e risorse, tra domanda e offerta, tra medicina e società, tra servizi e persone ecc; tali contraddizioni sono state considerate sino ad ora marginali, ma la loro rimozione al contrario è decisiva per garantire un vero cambiamento.
La rimozione delle contraddizioni legate al «genere» non ha alcuna funzione palingenetica, perché da sola non basterebbe a fare riforma, ma nello stesso tempo senza la loro rimozione si cambierebbe poco e male o per finta; sarebbe già un passo in avanti se, nel fare l’inventario dei problemi della sanità pubblica, oltre a lamentarci dei tagli lineari, del precariato, del blocco dei contratti, ci si lamentasse anche delle contraddizioni di genere insite nel sistema, che, al pari della medicina difensiva, del contenzioso legale, condizionano pesantemente le pratiche professionali, le qualità delle cure e persino i loro costi. La differenza di genere non è solo  un sistema arbitrario di soprusi, ma è semplicemente una forma di antieconomia in tutti i sensi, al pari di tutte le forme di anacronismo che riguardano i modelli organizzativi, la gestione finanziaria, le pratiche professionali ecc.    

Tags: Dicembre 2013 donne Ivan Cavicchi medici

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