Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

Renzi ha bisogno di grande aiuto: di popolo, di piazza, di tutti

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

I clamorosi scandali derivanti dalla malagestione degli appalti del Mose di Venezia e dell’Expo 2015 di Milano hanno dimensioni così enormi da richiamare ovviamente l’attenzione, oltreché di Magistratura, Guardia di Finanza, Carabinieri ed altri organi dello Stato, delle cronache dei giornali sui quali figurano per settimane, mesi ed anche anni, riuscendo perfino ad attutire le profonde delusioni provocate alle masse, nelle settimane scorse, dall’eliminazione della Nazionale italiana dai Mondiali di Calcio in Brasile. Ma avviene anche il contrario: che i goal della squadra di un lontano e sconosciuto Uruguay facciano passare in secondo piano, o ancora più in basso, i giganteschi scandali politici, amministrativi, finanziari di un’Italia economica tuttora allo sbando.
Proprio negli stessi giorni, tuttavia, il Governo, guidato da un giovane e coraggioso presidente, Matteo Renzi, ha affrontato con un decreto l’oceanico tsunami del pubblico impiego con una riforma che dovrebbe sanare in buona parte i vizi e i mali che si annidano nella Pubblica Amministrazione, principale fonte di corruzione e malcostume politico e burocratico nazionale. Una riforma, però, dall’esito nient’affatto scontato. I dubbi sono più che legittimi, basta ricordare quanto è avvenuto nella cosiddetta Seconda Repubblica, cioè quante pseudo riforme sono state varate dal Parlamento, ossia dai politici, dopo gli scandali di Tangentopoli e l’inchiesta giudiziaria definita «Mani Pulite», della Procura della Repubblica milanese. Tutte le leggi sulla Pubblica Amministrazione adottate, a partire dalle numero 142 e 241 del 1990, hanno avuto un solo scopo reale: evitare che i politici ricadessero negli stessi casi che li avevano portati sul banco degli imputati, che fossero di nuovo costretti a dimettersi e a troncare la loro illegittima ma fruttuosissima pubblica attività. Leggi che surrettiziamente hanno ripristinato quell’immunità parlamentare ufficialmente abolita nel 1993, estendendola per di più anche agli alti burocrati.
È innegabile che negli ultimi 24 anni, appunto dal 1990, le leggi hanno ridotto per politici e pubblici amministratori i rischi di incappare nella griglia del Codice penale: tali rischi sono stati trasferiti in buona parte alla dirigenza, ai burocrati. Tuttavia anche questi ultimi sono stati protetti, poi, da ulteriori apposite leggi, ad esempio da quella che ha abolito il reato di abuso d’ufficio, di fatto trasformandolo in un altro reato non denunciabile però dai cittadini che ne rimangono vittime.
Affermo questo senza timore di essere smentito: ho sempre sostenuto e scritto che grazie allo staff di Mani Pulite e più in particolare all’allora pubblico ministero di Milano Antonio Di Pietro, ci togliemmo la soddisfazione di vedere «alla sbarra» i potentissimi e intoccabili satrapi dell’epoca, che pubblicamente avevano ufficializzato la richiesta di tangenti pari al 10 per cento su ogni atto amministrativo. Soddisfazione però durata poco perché, in seguito a quelle inchieste giudiziarie, politici e burocrati hanno via via escogitato, varato e attuato una diversa, più impenetrabile e criptata griglia legislativa a protezione dei loro illeciti, tale da farci rimpiangere i «meno ladri» o quantomeno i «meno disonesti» della Prima Repubblica. Cerchiamo di immaginare la reale efficienza, la pratica esecuzione, i concreti risultati di questa poderosa riforma della Pubblica Amministrazione attuata dal giovane, entusiasta, deciso ma poco esperto e soprattutto isolato primo ministro. Quando un sindaco di Roma, o meglio tutti i sindaci susseguitisi in Campidoglio nel secondo dopoguerra hanno perso ogni potere progettuale e decisionale dinanzi a una massa di 25 mila o 30 mila dipendenti, di decine di sindacati, di ancor più numerose lobby alcune formate perfino da pochi, immaginari interessati, cosa pensiamo possa fare Matteo Renzi in materia di Pubblica Amministrazione di dimensioni nazionali, con una riforma diretta a toccare gli interessi di milioni di dipendenti pubblici? Tra i quali, per di più, rientrano anche, sotto forma di consiglieri dello stesso Governo, di ministri, di sottosegretari, di capi di Gabinetto, di capi degli Uffici legislativi, anche consiglieri di Stato, presidenti e componenti di Autorità appositamente create per vigilare su appalti pubblici e su Amministrazioni Pubbliche centrali, regionali e locali.
Forse siamo di fronte ad una nuova grande illusione: la quarta del secondo dopoguerra. La prima rimase legata alla tragica esperienza del 25 aprile 1945 quando la classe politica fascista fu definitivamente eliminata in tutta Italia con la liberazione del Nord, la fine della Repubblica di Salò e della seconda guerra mondiale, le giustificate e a volte ingiustificate violenze compiute dai partigiani. La seconda illusione nemmeno vent’anni dopo quando, in seguito ai fatti di Ungheria del 1956, la classe al potere in Italia, ossia il quadripartito centrista Dc, Pli, Pdsi, Pri, all’inizio degli anni 60 si liberò sbrigativamente dei liberali e li sostituì nella maggioranza governativa con i socialisti, fino ad allora all’opposizione con il Pci. Conosciamo la fine di quell’esperimento che, allargatosi alla fine di quel decennio in un pentapartito ricomprendente anche il Pli, presto degenerò nel «craxismo» e di lì a poco fu scompaginato da Mani Pulite. Quarta illusione, all’inizio degli anni 90, l’ascesa della nuova stella di Silvio Berlusconi, brillata fino a 2 anni fa.
Illusioni alimentate tutte da promesse a volte di presidenzialismo, a volte di federalismo, sempre auspicate e proclamate a gran voce e mai fortunatamente realizzate. Mentre l’unica varata, nel 2001, quella del Titolo V della Costituzione con il trasferimento di poteri alle Regioni, ha ridotto l’Italia in brandelli e diffuso scientificamente la corruzione. Non erano vere riforme, era una maggiore conquista ed occupazione del potere da parte dei politici, espropriandolo al suo naturale proprietario, il popolo.
Diretta ad eliminare la corruzione, la mala amministrazione, l’invadenza perniciosa della politica in tutti i settori, quest’ultima riforma della Pubblica Amministrazione potrebbe essere, come gli ultimi 25 anni dimostrano, l’ennesima ripetizione dell’antico rito dell’Araba Fenice, uccello mitologico che dopo la morte rinasce sempre dalle proprie ceneri, più robusto e insidioso di prima. Per questo Renzi ha bisogno di aiuto.

Tags: Luglio Agosto 2014 Renzi Victor Ciuffa

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa