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Niente ripresa se famiglie e aziende sono invitate a spendere, anziché a risparmiare

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

Passano giorni, settimane, mesi, anni, e la tanto auspicata ripresa economica e produttiva, nonostante i comunicati diffusi periodicamente, non è ancora arrivata. Governanti e politici in generale ripetono le due miracolose e miracolistiche parole, che ormai non riescono a diffondere più un’immediata speranza, semmai un’ulteriore delusione, un’altra ondata di amarezza. Tranne strumentali e falsi avvisi, non accade proprio nulla. Lo scorso inverno la gente si aspettava la primavera. Anche il Duce nei primi anni Quaranta del secolo passato, invitava le italiche masse ad avere fiducia. Aveva addirittura coniato e fatto diffondere un apposito e consolatorio slogan, «A primavera viene il bello». Ma in quella tristissima e tragica stagione del 1943, anziché il «bello» venne un periodo ancor peggiore rispetto a quello vissuto nei primi tre anni di guerra. Si susseguivano le sconfitte su tutti i fronti: francese, greco e jugoslavo, in Etiopia, Libia, Cirenaica, sul Don, nei Mari Mediterraneo ed Egeo, insomma in tutto il mondo; ma i governanti insistevano nell’invitare la gente alla fiducia e alla speranza.
Noi bambini soffrivamo più per le sconfitte subite ad El Alamein e per le drammatiche vicende di Tobruck che per il razionamento del pane e dei generi essenziali alla vita, problema che preoccupava i nostri familiari adulti; i più grandicelli dovevano al massimo gestire attentamente i «bollini» delle tessere annonarie, stare attenti che il fornaio non ne staccasse più del dovuto. Per un fatto di età e per la formazione impartitaci, considerato quanto avevamo visto e appreso nei primi tre anni della guerra scoppiata il 10 giugno del 1940, non ci rassegnavamo a vedere Malta britannica, Nizza, Savoia e Tunisi francesi, e a perdere pezzo per pezzo ampie parti di territorio nazionale. Gli sbarchi degli «Alleati» in Sicilia avvennero il 10 luglio 1943, a Salerno il 9 luglio 1943, ad Anzio il 21 gennaio 1944.
Si aggiungevano il bombardamento di Roma del 19 luglio di quella tragica estate del 1943; l’entrata degli americani a Roma e la fuga dei tedeschi il 4 giugno 1944. Ci domandiamo oggi: quale poteva essere l’umore degli italiani, dei romani costretti a vivere tra macerie, profughi finiti nei numerosi «Borghetti» dove sarebbero rimasti per anni, famiglie emigrate dalla città nei centri vicini, sfollate, alloggiate in capanne, cantine, grotte, ruderi romani, archi di antichi acquedotti come nella famigeratissima zona del Mandrione presto divenuta una strada a luci rosse dei poveri. Roma con molte fabbriche chiuse, dipendenti licenziati, decine o centinaia di migliaia di disoccupati e senzatetto rifugiati in campi profughi e «Borghetti» come Borghetto Latino, Borghetto Flaminio, Borghetto Appio ed altri. E, voluta ed inaugurata dallo stesso Benito Mussolini il 28 aprile 1937, la città del cinema, Cinecittà, con i teatri di posa ancora odorosi di calce, ospitò anche divi e personaggi come Gina Lollobrigida, che vi trovò addirittura marito, un sagace e corretto profugo jugoslavo, Milko Skofic, laureato in Medicina ed anche egli attore cinematografico, con il quale l’attrice si sposò nel 1949 e il quale le curò gli interessi e la carriera anche come suo agente.
Ed ancora. Roma e tutta l’Italia erano anche questo: un paese percorso da camionette dotate di sedie e sediletti di legno per i passeggeri. Così furono assicurati gli spostamenti dei cittadini. Poi finalmente poté dirsi veramente «La ripresa è cominciata», e lo si vedeva ad occhio nudo, dagli sciuscià seduti agli angoli delle strade, ad esempio ad un lato della Galleria Colonna, ad aspettare i clienti per lucidargli le scarpe; lo si vedeva dai commerci improvvisati e più o meno leciti, come la raccolta spasmodica di cicche di sigarette, il recupero del tabacco già usato, la confezione con apposite cartine, di sigarette, la vendita di generi alimentari in scatola o essiccati, commerci e prestazioni di servizi illeciti e immorali, insomma tutta una variegata, variopinta, ed anche sospetta attività. Abbiamo vissuto tre quadrimestri di questo «anno horribilis 2015» senza vedere muoversi una foglia dal punto di vista economico. Prima che degli annunci del Palazzo, destinati a svanire presto da soli nel nulla, la ripresa vera dà notizia di se stessa, di essere arrivata, con piccoli, significativi segnali. Si può dire: non c’è bisogno di creare comunicati, e di sbandierarli attraverso stampa, giornali e soprattutto televisioni. Prima di tutto la ripresa economica se c’è, si sente nell’aria, si vede nello sguardo della gente, si sente dalle mezze parole pronunciate anche e soprattutto tra chi non si conosce neppure. Tra le persone basta un’occhiata per capirsi, quindi per accettare o meno gli inviti di governanti e politici.
Per fronteggiare e superare i guasti all’economia procurati agli italiani dalla guerra e dagli errori di Mussolini in parte hanno provveduto alcune opere lasciate da quello stesso regime. Non si ricorda più, infatti, quanto, appunto sul piano dell’economia, fece quel regime detestato? Come l’Industria italiana riuscì a risorgere dopo le distruzioni della guerra? Non certo rivolgendo, da parte dei partiti e dei governanti del dopoguerra, inviti ad aumentare i consumi ad aziende e famiglie. Semmai costituiva un vanto di ogni Governo del dopoguerra diffondere ogni anno la notizia che il popolo italiano era quello più oculato e più risparmiatore nel mondo occidentale. Chi ha più sentito celebrare ogni fine ottobre con quell’importanza e solennità di una volta, la cosiddetta Giornata del Risparmio? Si riterrebbero matti gli attuali governanti se invitassero il popolo a risparmiare, a mettere da parte, anziché a spendere? Non furono queste le teorie e gli strumenti usati dai Governi del dopoguerra? I consumi furono incrementati direttamente con la partecipazione del potere, ossia del Governo, allo sviluppo dell’economia attraverso la gestione diretta o quasi - i cosiddetti «boiardi» - delle Partecipazioni statali. Ed ora finalmente si può dirlo senza essere contestati: il grandioso sviluppo registrato dall’economia italiana nel dopoguerra è dipeso anche dalla Cassa del Mezzogiorno, dalle pensioni facili, e da quelle illecite. Quei Governi investirono grandi cifre in ogni campo: ferrovie, cantieri, aeroporti, trasporti, viabilità, auto. Iniziative oggi rese impossibili dalle ingannatorie teorie economiche diffuse a cavallo degli anni 90 del secolo scorso, attraverso gli illusori e truffaldini miti delle liberazioni e privatizzazioni.

 

 

 

 

 

 

Tags: Ottobre 2015 Victor Ciuffa Savoia

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