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COME PREVEDERE E SCONGIURARE OLTRE 10 ANNI DI ELEVATA (?) DISOCCUPAZIONE

Un autorevolissimo opinionista del Corriere della Sera, Francesco Giavazzi, ha sostenuto qualche giorno fa, in un articolo dal pedagogico titolo «Due linee a confronto. Come coniugare rigore e crescita», che senza riforme, il giorno in cui la crisi finirà, l’economia italiana riprenderà a crescere di un misero uno per cento l’anno, per cui la disoccupazione rimarrà elevata per oltre un decennio. L’autore di questa apodittica affermazione è un economista solito stilare, nei propri articoli sul grande giornale, il programma del Governo, ossia suggerire i provvedimenti che questo dovrebbe emanare presumibilmente nell’interesse di tutti gli italiani. Anche in questa occasione ha fornito pareri e consigli, se non proprio direttive.
Per far fronte alla caduta dei consumi e all’aumento della disoccupazione, secondo il professore, occorrono quindi non i provvedimenti suggeriti dal «partito della spesa» di cui farebbe parte un suo pure autorevolissimo collega, l’economista di centrodestra Mario Baldassarri, presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, i cui emendamenti alla Finanziaria, secondo Giavazzi, aumenterebbero «significativamente» il deficit pubblico.

Anche i maggiori stanziamenti previsti per le infrastrutture, finanziati con i tagli alle spese inutili delle Pubbliche Amministrazioni, non servirebbero a riavviare i consumi e ad alleviare la disoccupazione, costituendo, a suo dire, «non più che una speranza». A questo punto il prof. Giavazzi non può esimersi dallo spiegare quali siano, in che consistano e gli effetti che produrrebbero per la ripresa economica e dell’occupazione, le medicine da lui indicate, ossia le «riforme».
In realtà le ha indicate altre volte in passato, ma stante le drammaticissime prospettive da lui diagnosticate - disoccupazione elevata per oltre un decennio, cioè fino ad anni Venti inoltrati -, è bene ripassarsele. La prima è l’eliminazione dell’Irap contenuta in un pacchetto di misure che il professore, però, non chiarisce. La seconda è accelerare l’aumento dell’età della pensione; la terza, è pagare i debiti che le pubbliche amministrazioni hanno con i privati; la quarta, allineare le rendite finanziarie a quelle vigenti in altri Paesi; se queste sono superiori, quindi, aumentarle, il che comporterebbe però più interessi sui Bot e aumento del debito pubblico.

Se su queste proposte del professore si può essere più o meno d’accordo, sulla quinta occorre una molto più ampia spiegazione di quella sbrigativamente da lui fornita. E che devo ripetere a costo di annoiare, per farla ben valutare anche dai lettori più digiuni di economia, finanza, politica, elezioni, pubblica amministrazione centrale e locale ecc.
La quinta proposta è: sostituire le imposte destinate allo Stato con tasse locali destinate a Comuni, Province e Regioni, le quali tasse locali avrebbero un «enorme vantaggio». Quale? Testuale: «I cittadini possono prima decidere come destinarle, e poi controllare la qualità dei servizi forniti». Si passa dalle cattedre di Economia a quelle di Astrologia. Come possono i cittadini decidere in quali settori gli amministratori locali devono spendere i loro denari? Devono partecipare alla decisione tutti i cittadini o solo i contribuenti che pagano quelle tasse? Come possono i pubblici amministratori interpretare i desideri di tutti: semplici cittadini, contribuenti, evasori fiscali? Si sono viste mai elezioni amministrative - ma anche politiche - basate sull’elevata, normale o scadente qualità dei servizi pubblici forniti ai cittadini?

Evidentemente c’è ancora chi crede che gli elettori puniscano i cattivi amministratori, quando in realtà non hanno alcuna possibilità di scelta dinanzi a liste prefabbricate e a interessi più o meno leciti ma supercoalizzati. Forse nelle ovattate e pretenziose aule universitarie si disquisisce sui massimi sistemi e non giunge neppure l’eco dei reali accadimenti del mondo politico e parapolitico, e in particolare di quello locale.
Il che è dimostrato proprio dall’esempio pratico addotto dal prof. Giavazzi: ripristinare l’Ici e aumentare le tasse universitarie a carico di famiglie che superano un certo reddito. A parte l’impopolarità del ripristino dell’odiatissima imposta sulla casa, che andrebbe semmai abolita anche sugli immobili che vi sono ancora soggetti, basterebbe un semplicissimo trucchetto per far rientrare tutti i contribuenti nell’obbligo di pagarla: una miniriforma consistente in un ritocco in alto delle rendite catastali.

A Roma, per disporre di maggiori fondi da spendere in feste, festival e festeggiamenti vari, l’ex sindaco Walter Veltroni stava preparando l’aumento delle rendite per tutti gli immobili del Centro storico in cui abitano 130 mila abitanti - più che in 25 città capoluogo di provincia, da Bergamo a Pescara, a Siracusa ecc. -, senza minimamente tener conto di gravami e penalizzazioni imposte a quest’area con limitazioni e divieti di transito, irraggiungibilità di negozi, studi professionali e uffici privati, miriadi di manifestazioni, cortei, gite, scampagnate e tavolate politico-sindacal-turistiche, di pesante ostacolo però alle attività economiche. Insieme all’istituzione del «fascicolo sul fabbricato», la progettata revisioni degli estimi catastali ha contribuito alla sonora sconfitta elettorale del suo partito e alla perdita del Campidoglio. Il che dimostra che sono altri i motivi per i quali gli elettori votano a favore o contro.

Poi c’è un altro aspetto: anche quando si istituì l’Ici si disse che doveva sostituire le imposte corrisposte allo Stato, ma i politici si sono ben guardati dal farlo, solo il prof. Giavazzi forse ha ancora fiducia in una certa classe politica. La sua ricetta, comunque, contiene, relegata alla fine in pochissime righe, un’altra medicina destinata a suo dire alla ripresa economica e a scongiurare il triste decennio di alta disoccupazione: «Qualche liberalizzazione, ad esempio l’apertura dei servizi pubblici locali». Ossia la vendita ai privati delle aziende municipalizzate che gestiscono i servizi pubblici essenziali: acqua, elettricità, gas, trasporti. Non è un’impresa difficile, gli aspiranti acquirenti sono in fila da tempo, promettendo come al solito vantaggi per gli utenti, riduzioni di tariffe, aumento di personale ecc. Peccato che poi fanno esattamente il contrario, com’è avvenuto in tutte le aziende finora vendute dallo Stato.

di Victor Ciuffa

Tags: Victor Ciuffa novembre 2009

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