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Presidente Monti, ridacci quell’Italia che rivogliono gli italiani

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

A parte l’Imu e le altre tasse e imposte varate, se si considerano altri aspetti del ruolo e dell’attività del Governo Monti non c’è molto da lamentarsi anzi, per vari fattori, esso è addirittura da apprezzare. Innanzitutto non va dimenticato che si trova in una situazione particolare nella quale, a differenza di quando i partiti si finanziavano attraverso enti come Iri, Eni, Efim, molti politici attuali affondano direttamente le mani nel sacco, ossia nel bilancio finanziario dell’istituzione cui appartengono, bilancio che aggiustano e modificano a proprio uso e consumo.

Per operare meglio costoro hanno stravolto anche la funzione dei Gruppi parlamentari, consistente un tempo nell’adozione, nei dibattiti parlamentari e in primo luogo nell’approvazione delle leggi, di comportamenti e decisioni conformi ai deliberati dei partiti. Ne hanno modificato la formazione e la composizione; un tempo a un Gruppo appartenevano tutti i componenti eletti in un partito, e quelli che per caso non avevano partiti o ne uscivano, automaticamente venivano iscritti nel Gruppo misto. In seguito alla manomissione strumentale di leggi, regolamenti e sistemi elettorali, i Gruppi parlamentari non garantiscono più la loro vera funzione. Lo stesso si è verificato nelle assemblee elettive regionali e locali, nelle quali ormai regnano arbitrio e interessi particolari, politici e personali, che hanno trasformato i Gruppi, più che in mini-caste e sotto-caste, in bande autonome e sfrenate. Ciò è potuto avvenire grazie alla migliorata situazione economica nazionale e all’aumento dei redditi familiari verificatisi nei trascorsi decenni, che hanno distolto l’attenzione popolare dai valori e dai problemi fondamentali dello Stato e diffuso una tolleranza e un’accettazione infinite di tutto quanto avveniva in campo politico e amministrativo.
Poi è arrivata la crisi economica, inevitabile, prevedibile, controllabile da veri statisti e uomini politici, da avveduti sindacalisti, da amministratori onesti e previdenti, che però non ci sono stati perché il disimpegno degli onesti, dei bravi e dei competenti favorisce inevitabilmente il prevalere di disonesti, incompetenti e millantatori. La progressiva immissione di costoro nel governo del Paese ha eliminato non soltanto principi morali consistenti nell’onestà, nella buona amministrazione, nella solidarietà, ma anche l’antico, tradizionale comportamento delle famiglie nei settori del risparmio e della previdenza.
Il consumismo è dilagato in tutte le categorie sociali, alimentato dalla pubblicità sfrenata di prodotti, abitudini e principi non solo inutili ma dannosi per la società, e dalla trasmissione di programmi che nessun governante in questi ultimi decenni ha osato disciplinare. Mentre sono stati diffusi slogan vuoti di valori e di significato, ad esempio quelli sullo «sviluppo sostenibile». Che significa per la massa «sviluppo sostenibile»? Forse lo sviluppo di attività, redditi, profitti e benessere nel rispetto dell’ambiente e delle risorse naturali. Ma essendo un’espressione solo verbale, il cui controllo è affidato alle solite burocrazie corrotte locali e nazionali, speranzose solo di poter chiudere non uno ma due occhi in cambio di sostanziose contropartite,imprese e singoli operatori hanno cominciato a definire, all’italiana, «sostenibile» ogni loro attività. Nel periodo precedente l’attuale crisi economica, prevedibile anche in campo mondiale, gli italiani vivevano da tempo con un tenore, questo sì, veramente non sostenibile. Che non avrebbe potuto continuare a lungo. Pensiamo alle vacanze di massa, alle settimane corte e alle settimane bianche, agli itinerari esotici, all’assenteismo dal lavoro, alle numerose festività, ai «ponti» corti e lunghi, ai pranzi al ristorante, alla spesa impazzita per i telefonini e per i gadget informatici, al numero di automobili circolanti, ai consumi di carburante per il decentramento delle residenze e al loro crescente costo, alle tariffe dei servizi pubblici continuamente e arbitrariamente aumentate da amministratori e politici locali e nazionali, ai giovani che rifiutano lavori secondo loro squalificanti, ai milioni di immigrati regolari ed abusivi mantenuti direttamente in Italia e indirettamente nei loro Paesi.
«Se un immigrato clandestino viene ricoverato in ospedale–mi diceva sere fa una dottoressa–dobbiamo assisterlo, curarlo e guarirlo, e questo costa moltissimo al Servizio sanitario nazionale, mentre lui vive gratis in Italia, invia i suoi guadagni all’estero e non paga neppure le tasse». Così per le scuole, dove molte classi sono frequentate solo da figli di immigrati. Dei 56 milioni di italiani lavorano neppure un terzo; possono mantenere, come prima della crisi, tutti gli altri? E far fronte all’ingente pressione fiscale? È vero che buona parte del prodotto interno deriva dall’economia sommersa, ma questa è vanificata dal costo e dalla bassa produttività di tre milioni e mezzo di pubblici dipendenti, pubblici amministratori e politici.
In conclusione il presidente Monti sarà costretto di fatto ad archiviare lo slogan, e la pubblicità in televisione, sullo sviluppo sostenibile, e a sostituirlo con quello sulla «crisi sostenibile». Dovrà cioè battersi, anche senza l’appoggio dei politici attuali ormai delegittimati, per contenere le difficoltà economiche della massa che non sta al caldo in Parlamento e nelle Regioni, ma ad esempio a Taranto, intorno e dentro l’Ilva. E in decine di migliaia di piccole, medie e grandi imprese che dopo aver lavorato, costruito, realizzato, dalla fine della guerra ad oggi, tanta ricchezza e tanto benessere per tutti gli italiani, dopo aver portato l’Italia, allora distrutta, povera, semianalfabeta e derisa agli occhi delle grandi Potenze del mondo, a sedere in pochi anni proprio in mezzo ad esse, e non solo per il made in Italy cioè per l’alta moda e le Ferrari, ma per l’estro, la genialità, il lavoro indefesso, i sacrifici di tutti, ricchi e poveri, contadini e intellettuali, politici e artigiani.
Sere fa un italiano di questi, che si è fatto strada nel mondo, ha donato, nonostante questi chiari di luna, 150 mila euro, non certo pubblici o rubati ma strasudati, per finanziare la ricerca su una nuova malattia, la celiachia, attraverso il Premio Montana, istituito dal suo Gruppo industriale. Si chiama Luigi Cremonini. Ecco l’Italia che rivogliono gli italiani. E sperano che Mario Monti gliela restituisca.

Tags: Ottobre 2012

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