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consiglio di stato, tar, regioni e company: al capolinea grazie alla crisi

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

Recentemente l’ex presidente del Consiglio italiano ed ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi ha proposto, in un articolo su un giornale, l’abolizione sic e simpliciter della Giustizia Amministrativa. Ossia di tutti i Tribunali amministrativi regionali, conosciuti come TAR, e conseguentemente del Consiglio di Stato, che è la Corte di appello contro le loro sentenze. Qualche settimana dopo un altro colpo di scena: l’ex sindaco di Roma ed ex candidato alla presidenza del Consiglio dei ministri Francesco Rutelli ha proposto, a sua volta, l’abolizione sic e simpliciter delle Regioni.
C’è da meravigliarsi di ciò? Niente affatto, anzi sì. Ma solo perché questi due autorevoli protagonisti della politica italiana dell’ultimo trentennio si sono accorti così tardi di tale necessità; o comunque, perché hanno aspettato tanto prima di avanzare queste proposte, dirette entrambe ad eliminare la causa principale della crisi morale e conseguentemente economica dell’Italia. La quale causa consiste proprio nell’attuazione distorta e disonesta dell’istituto delle Regioni che i padri della Costituzione previdero in buona fede.
Istituto, però, che i politici dell’epoca, malgrado tutto, non attuarono subito, ma solo dopo ventidue anni, nel 1970, avendo compreso evidentemente che sarebbe stato uno strumento di divisione del Paese e, soprattutto, di elusione del controllo dello Stato e quindi del popolo, e di arbitrio morale, giuridico ed economico degli addetti a queste istituzioni, presto rivelatesi covi di illegalità, corruzione, disgregazione dello Stato. Negli ultimi anni il danno compiuto all’Italia, alla politica, alla Pubblica Amministrazione, ai cittadini, alle stesse regioni interessate è venuto clamorosamente alla ribalta, ma era ormai compromessa l’intera economia nazionale.
Giustamente la conclusione del cittadino è da tempo quella ora fatta propria dai due politici, Prodi e Rutelli: l’abolizione innanzitutto delle Regioni. Di colpo si ridurrebbe l’imposizione fiscale. Le Regioni, eufemisticamente ribattezzate «autonomie locali» insieme a Province e Comuni dai politici interessati, sono infatti autonome nell’imporre o nell’aumentare alcune imposte a carico di una massa di famiglie e imprese, anche contro e in spregio al supremo potere e interesse dello Stato.
Abolendo le Regioni di colpo si ridurrebbero scandali, corruzione, cattivi esempi, sprechi e furti di ingenti risorse finanziarie. Di colpo si risparmierebbero le spese per apparati burocratici inutili ma costosi; i risparmi potrebbero essere destinati a casse integrazioni, sussidi, incentivi per disoccupati, esodati, pensionati, alimentando i redditi di famiglie ed imprese e quindi la ripresa economica. Del resto prima dell’istituzione delle Regioni si avevano migliori servizi pubblici, minori furti e sprechi, meno ladri e vagabondi. Basti pensare alla sanità.
Ad abolire le Regioni, volenti o nolenti prima o poi si giungerà, occorre attendere. Avverrà come per le Province, che si è cominciato a smantellare grazie alla presente crisi economica. Con una globalizzazione crescente nella quale ha influito pesantemente la Cina, ma che proseguirà con l’India e soprattutto con il Sud-America e l’Africa, inutile illudersi che la presente crisi sia l’ultima; ne arriveranno presto altre, e a distanza ravvicinata. Ma insieme alle Regioni dovrà scomparire tutto un corollario di fonti di sprechi, disamministrazioni, furti di pubblico denaro.
Tra i primi istituti da abolire Romano Prodi, che prima di essere un politico è stato ed è un insigne economista, indica i TAR e il Consiglio di Stato, in quanto causa sia di ingentissimi sprechi finanziari da parte della Pubblica Amministrazione,sia di consistenti perdite subite da imprese appaltatrici, investitori, imprenditori. Il motivo indicato da Prodi è semplice: con i loro tempi procedurali, con la loro contiguità con i pubblici amministratori, con i loro interessi personali ad ottenere prestigiosi e remuneratissimi incarichi di potere, bloccano o comunque rallentano il corso della Giustizia Amministrativa e quindi lo sviluppo dell’economia. Paradossalmente i TAR e il Consiglio di Stato diventano nemici della gente.
La loro attività non riguarda infatti solo ricorsi contro mancate autorizzazioni dei Comuni all’installazione di un’insegna, ma l’aggiudicazione di appalti relativi ad opere pubbliche da centinaia di milioni di euro; quindi il fermo di lavori, di occupazione, di consumi, di attività dirette ed indotte, a cascata. Istituzione dalle origini e dalla storia solitamente esaltate, sussiegosamente annidata in uno del luoghi più pregiati di Roma - il Palazzo Spada nei pressi della stupenda Piazza Farnese -, il Consiglio di Stato è di fatto inserito, grazie agli incarichi più o meno temporanei affidati a suoi componenti, nei più importanti, strategici e misteriosi gangli dello Stato, quelli del vero ed oscuro potere. Compresi quelli addetti alla formulazione delle leggi che i parlamentari devono approvare, i pubblici amministratori applicare e i cittadini osservare: i cosiddetti «Uffici legislativi» dei Ministeri.
Nella sua «sede» ufficiale il Consiglio di Stato ha il «polso» del Paese, delle aspirazioni, dei bisogni di cittadini e imprese, dei comportamenti dei pubblici amministratori, delle loro illegalità e reati. Nelle altre «sedi» avrebbe il dovere, se non altro morale, di agire in difesa dei cittadini vessati da tali pubblici amministratori, proponendo rimedi, ovvero leggi, quando i politici non provvedono o hanno interesse a non provvedere. Invece niente. Inutile la recita parrocchiale, il teatrino dei procedimenti di ottemperanza a carico di Pubbliche Amministrazioni riottose perché fuorilegge, se questa plateale messa in scena non ottiene niente. Un altro spreco finanziario e un’altra presa in giro a carico dei cittadini vessati e offesi, e di tutti i contribuenti.    

Tags: Ottobre 2013 Victor Ciuffa

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