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i politici recitano, le tasse aumentano, gli italiani sopportano

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

Il teatrino della politica italiana continua imperterrito con colpi di scena quotidiani. Non c’è pericolo di disoccupazione per i suoi protagonisti, ossia per alcuni degli attuali politici e per i loro attachés dislocati nei punti nevralgici della moderna comunicazione di massa, in primo luogo nelle emittenti televisive. Su questi palcoscenici da avanspettacolo si rappresenta di tutto: commedie, farse, drammi, ma per fortuna non ancora tragedie. Continuando però così, non è escluso che avverrà anche questo, soprattutto se si insiste a voler riformare la Costituzione.
L’attuarsi dell’ultima, funesta rappresentazione dipenderà proprio dalla modifica o anche dal semplice tentativo di modificare la Carta costituzionale. Finora il saggio ed equilibrato «statuto» repubblicano ha consentito all’Italia di salvare la democrazia, di sviluppare l’economia, di aumentare il benessere e le condizioni di vita degli italiani nonostante tutte le ricorrenti e inevitabili crisi economiche. Ma si impone una domanda: chi sostiene che i mali attuali dipendano da essa e che pertanto bisogna aggiornarla, è in grado di garantire che una sua ulteriore e più profonda manomissione, oltre a quelle già avvenute, non crei invece guai ben più gravi? Anche all’inizio degli anni Venti del secolo scorso la situazione politica ed economica in Italia era drammatica, le condizioni di vita erano disperate e l’ignavia della classe politica fruttò una dittatura ventennale, la partecipazione a una guerra mondiale, lutti e distruzioni incommensurabili.
Oggi si sentono ripetere affermazioni del tutto indimostrate sulla situazione interna e soprattutto sui rimedi necessari; slogan e frasi che danno per scontati sia la necessità di riforme sia i loro risultati. Non c’è giornale o trasmittente televisiva che, nelle decine di rubriche in cui si ripetono queste formule miracolistiche, le colleghi agli avvenimenti dei primi anni Venti e ai tragici decenni successivi. A scuola questi periodi storici non si studiano, i giovani li ignorano, i protagonisti di allora non ci sono più, gli anziani vanno scomparendo e li ricordano sempre meno.
Quale, fra i politici che sostengono la necessità di modificare ulteriormente la Costituzione, fa riferimento alla recente storia, alle gravissime conseguenze subite da varie generazioni di italiani? Chi di essi garantisce che non avverranno più? Tra le altre modifiche, Silvio Berlusconi ha sostenuto più volte la necessità di eliminare una delle due Camere elettive oggi esistenti, in particolare il Senato, perché la doppia approvazione delle leggi prevista dalla Costituzione a suo giudizio farebbe perdere tempo ai politici, ritarderebbe l’attuazione delle decisioni governative ed anzi le ostacolerebbe.
Si sono mai lamentati di questo statisti come De Gasperi, Pella, Fanfani, Scelba, Segni, Tambroni, Leone, Colombo, Andreotti, Moro, Cossiga, Forlani, Spadolini, Craxi e De Mita? Oppure Einaudi, Gronchi, Saragat, Scalfaro, Pertini? E inoltre Togliatti, Longo, Berlinguer, Occhetto, Terracini, per citarne alcuni di destra, di centro e di sinistra? No, non hanno chiesto o proposto di modificare la Costituzione eliminando o snaturando il Senato, maggiore strumento di controllo delle leggi e di garanzia della libertà, della democrazia e della correttezza della dirigenza politica nazionale; né di far eleggere il presidente dal popolo ed altro. Al massimo nella prima Repubblica fu chiesto da qualcuno di evitare ai Governi gli agguati dei franchi tiratori imponendo in Parlamento il voto palese nelle votazioni sulla fiducia.
Eppure Silvio Berlusconi e con lui molti altri «riformatori» hanno constatato di persona come, a bloccare le decisioni governative e ad ostacolare l’attività legislativa, è semmai il nuovo sistema introdotto proprio dall’avvenuta modifica del Titolo V della Costituzione, che ha trasferito alle Regioni vari poteri dello Stato e che, oltre a dividere l’Italia in venti Staterelli, li ha trasformati in organizzazioni rissose e pseudo mafiose che, alleatesi tra di loro, paralizzano Governo e Parlamento. A quanto ammonta il  contenzioso derivante dalla paradossale distribuzione di poteri tra lo Stato e le Regioni?
Si parla tanto di riforme ma il vero scopo di queste è quello di non riformare proprio nulla, di mantenere il degrado istituzionale cui si è di fatto arrivati. Degrado istituzionale e violazione macroscopica e plateale della Costituzione operata, ad esempio, dalla legge elettorale vigente che tutti sostengono di voler riformare ma che tutti anelano di perpetuare. Perché impedisce agli elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento; consente a tre o quattro leader di designare i futuri parlamentari tra i portaborse, i compari di affari e i compagni di merende; annulla un consistente numero di voti di movimenti che non raggiungono una soglia minima fissata dagli stessi leader; regala a una maggioranza relativa una valanga di seggi che la fanno diventare dittatoriale.
Dinanzi a tutto questo, mentre gli unici provvedimenti adottati consistono in occultamento, trasformazione e aumento sostanziale e continuo di tasse che la colpiscono, che fa la massa degli italiani? Niente. Continua a sopportare le angherie, vessazioni, prevaricazioni, ruberie che sta subendo da decenni, con una differenza però: che fino a qualche tempo fa c’era sviluppo economico, ogni anno  miglioravano i risultati, crescevano occupazione, produzione, retribuzioni, fatturati, profitti, si elevavano le condizioni di vita di tutti. Non importava se aumentavano anche le tasse; tranne casi patologici di evasori incalliti, si diffondeva il concetto che le imposte pagate costituivano il prezzo della tranquillità fiscale.
Ma in un paio di anni la situazione si è capovolta: aumentano la disoccupazione, i fallimenti, le chiusure di fabbriche, di negozi e di laboratori, le difficoltà, i suicidi, gli odiosi diktat europei. E, malgrado tutto ciò, le tasse. Per molto meno nel dopoguerra le masse erano pronte a scendere in piazza per fare la rivoluzione. Non la fecero perché fu lo stesso Palmiro Togliatti a rifiutarla quando nel 1948 gli sparò Antonio Pallante, e perché Gino Bartali ammaliò tutti vincendo il Giro d’Italia; e neppure nel 1953 quando la Dc varò la «legge truffa» e i «celerini» di Mario Scelba erano protetti dalle basi militari americane sparse in tutto il Paese. La situazione oggi è diversa, ma le previsioni nessuno è in grado di farle. 

Tags: Novembre 2013

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