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*SPECIALE IMMOBILIARE* Riforme e prima casa: non serve essere economisti per capire che il bluff è in agguato

MAURIZIO GASPARRI, vicepresidente del Senato

«Ho personalmente, attraverso specifiche iniziative parlamentari, sollevato la necessità di inasprire il regime sanzionatorio per coloro che esercitano abusivamente l’attività di mediazione. In Italia ci sono troppi agenti immobiliari improvvisati, che non forniscono le adeguate garanzie al cliente e rappresentano un deterrente per un mercato già in affanno»

In Italia, secondo stime della Confedilizia, la tassazione globale sul reddito e sugli immobili vale qualcosa come il 15 per cento del Prodotto interno. Un dato impressionante se confrontato con l’8 e il 10 per cento delle medie di altri Paesi europei. E a incidere in maniera significativa sono proprio le tasse sulla casa. È evidente che quello immobiliare rappresenta un settore strategico essenziale per il rilancio economico del nostro Paese. Meno tasse, quindi, ma anche maggiore consapevolezza di cosa si sta acquistando e una ritrovata fiducia del consumatore. Su questo ho personalmente, attraverso specifiche iniziative parlamentari, sollevato la necessità di inasprire il regime sanzionatorio per coloro che esercitano abusivamente l’attività di mediazione. In Italia ci sono troppi agenti immobiliari improvvisati, che non forniscono le adeguate garanzie al cliente e rappresentano un deterrente per un mercato già in affanno. La libera prestazione di servizi va garantita, ma nel rispetto della tutela del consumatore e della garanzia della qualità del servizio offerto. È un aspetto sul quale si riflette poco, ma che ha drammaticamente contribuito a far impennare al ribasso le compravendite.
La proposta di inasprire il regime sanzionatorio per coloro che esercitano abusivamente l’attività di mediazione consente una più completa attuazione dei principi fissati dalla Direttiva Bolkestein (2006/123/CE), ovvero favorire sì la libera prestazione di servizi, ma nel rispetto della tutela del consumatore e della garanzia della qualità del servizio offerto. La ratio della Direttiva Bolkestein non è, infatti, quella di «liberalizzare» le attività che ne sono oggetto, bensì quella di semplificarne l’accesso per favorire la libertà di stabilimento dei prestatori di servizi (art. 1, comma 1, secondo cui «la presente direttiva stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi»).
Nel contempo, la medesima Direttiva ha, però, espressamente posto tra i propri principi il doveroso rispetto della tutela della professionalità dell’operatore e, ancor prima, della tutela del consumatore (al punto 7 dei considerando è scritto: «La direttiva istituisce un quadro giuridico generale a vantaggio di un’ampia varietà di servizi pur tenendo conto nel contempo delle specificità di ogni tipo d’attività o di professione e del loro sistema di regolamentazione»). È opportuno quindi prevedere una combinazione equilibrata di misure che riguardino l’armonizzazione mirata, la cooperazione amministrativa, la disposizione sulla libera prestazione di servizi e che promuovano l’elaborazione di codici di condotta su determinate questioni.
Questo coordinamento delle legislazioni nazionali dovrebbe garantire un grado elevato d’integrazione giuridica comunitaria ed un livello elevato di tutela degli obiettivi d’interesse generale, in particolare la tutela dei consumatori, che è fondamentale per stabilire la fiducia reciproca tra Stati membri. C’è, insomma, molto da lavorare e da «normare».
Ma personalmente ritengo che il rilancio di un settore strategico come quello immobiliare passi anche attraverso il rapporto di fiducia che si stabilisce con il professionista intermediario.
Resta poi l’eterna questione della tassazione. I numeri sono chiari. Ogni volta che la sinistra in Italia è andata al Governo ha fatto cassa con la casa, considerata un bene e non un diritto. E la scure non si è fermata neanche di fronte alla prima abitazione, che non produce alcun reddito. Ici, Imu, Tasi e Tari: l’imposizione fiscale in Italia è da record, con un’escalation di cifre impressionante. Nel 2011 con il Governo Berlusconi la prima casa era esente da tasse e le imposte sugli immobili raggiungevano gli 11 miliardi di euro. Cifra salita a 24 miliardi con l’Imu di Mario Monti nel 2012 e ad oltre 30 prima con Letta e poi con Renzi.
Ora, da un anno all’altro, dicono di voler invertire la rotta. Via la tassa sulla prima casa, annunciano nella prossima legge di stabilità. E le coperture? Da dove si prelevano i soldi per un taglio così significativo alle entrate degli Enti locali? Lo scorso anno denunciammo la stangata che si stava consumando a danno dei cittadini italiani, nascosta dietro l’aumento dell’aliquota Tasi. Ci fu un balletto di cifre indegno, con alcuni Comuni che si sono poi spinti fino ad un incremento del 6 per mille. Da qui l’evidenza di una tassa sulla casa trasformata di fatto in una vera e propria patrimoniale. Basta pensare al peso specifico che anche la prima abitazione ha nel calcolo del nuovo modello Isee entrato in vigore nel 2015 per capire di cosa stiamo parlando. Il nuovo metodo di calcolo del valore delle case, infatti, penalizza le abitazioni piccole e modeste, riqualificandole al punto da escludere i proprietari da agevolazioni di natura sociale e assistenziale basilari. Insomma, allo stato attuale se hai una casa che usi come abitazione principale in cui si ritrova il tuo nucleo familiare, non solo devi pagare ingiustamente perché ne sei proprietario, ma rischi di non avere più assegni familiari, assegni di maternità o agevolazioni per la mensa scolastica.
Non è necessario essere degli economisti, quindi, per capire che il bluff è in agguato. Fermo restando che non si conoscono ancora i dettagli di questa operazione taglia tasse dai netti contorni propagandistici, va fatto notare che l’annuncio del Governo interessa tutte le prime abitazioni, a prescindere dal cosiddetto «classamento». Il Governo Berlusconi, quando abolì l’Ici sulla prima casa, tenne in considerazione un principio di equità sociale lasciandola nelle tre categorie di massimo prestigio: A1, A8 e A9. Ora, se le anticipazioni sono invece vere, anche chi è proprietario di una villa storica di prestigio vedrà tolta questa tassa. Ma siamo sicuri che sia questa la fase economica che consenta un taglio così drastico?
 La ripresa economica stenta a decollare, il mercato immobiliare dà timidissimi segnali di movimento ma nulla fa sperare in una ritrovata fiducia dei consumatori, i cui stipendi e risparmi sono praticamente inalterati. Al furto legalizzato degli ultimi anni non ci stiamo. Ma sia chiaro che non potremo mai dare il nostro consenso a chi finge di tagliare da una parte e poi recupera il doppio dall’altra. A questo punto, se veramente il Governo ha a cuore il settore immobiliare e vuol tagliare le tasse, rilanciamo su altri due punti. Il primo è la semplificazione. Basta con il caos delle sigle e delle scadenze. L’imposizione sulla casa deve arrivare a un’unica tassa. Secondo: riduzione del valore delle rendite catastali. Su questo punto va rilevato che, a fronte di un’accelerazione impropria del Governo, che sembrava voler procedere subito su questa materia adottando dei criteri di revisione sbagliati, registriamo lo stop attuale. Senato e Camera, infatti, avrebbero dovuto esaminare e approvare, quasi a scatola chiusa, una bozza preparata la scorsa estate dall’Agenzia delle Entrate. Bozza che, a quanto si era potuto apprendere, si presentava in molte parti non rispettosa della legge delega. Delega allo stato attuale scaduta. Resta l’urgenza di procedere con una riforma basata sui principi di equità e trasparenza. Solo in questo modo si può dare un segnale di fiducia ai proprietari immobiliari, tassati oltre ogni limite di sopportazione.   

Maurizio Gasparri

Tags: Novembre 2015 mercato immobiliare immobili casa edilizia fisco

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