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sanità - adriano lagostena: costi, occorre conoscerli, per poterli razionalizzare

Il dott. Adriano Lagostena, direttore generale dell’E.O. Ospedali Galliera di Genova

Laureato in Medicina e Chirurgia nell’università di Genova con 110 e lode, specializzato in diritto sanitario a Bologna e in igiene e medicina preventiva a Genova, Adriano Lagostena ha perfezionato la propria preparazione studiando organizzazione e gestione sanitaria nell’università Bocconi di Milano. Medico e funzionario in ruolo nella Regione Liguria, è stato ispettore sanitario e vicedirettore sanitario in varie usl, direttore sanitario ospedaliero e poi dell’IST di Genova, direttore generale dell’E.O. Ospedali Galliera, incarico tuttora ricoperto. Dall’aprile del 2009 è coordinatore nazionale del N.I.San., associazione d’avanguardia che elabora i costi standard delle attività sanitarie in base a uno strumento tecnico omogeneo. Grazie a tale attività di rete, l’associazione ha ricostruito i costi standard dei ricoveri per gli anni 2007-2010, costituiti dalla media del costo per singolo caso di ricovero, e ha organizzato convegni, pubblicazioni, attività formativa e informativa.
Edificato tra il 1877 e il 1888 come Opera Pia De Ferrari Brignole Sale, l’ospedale Galliera deve le origini alla munificenza della duchessa di Galliera; nel 1995 è stato riconosciuto ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione. Dal 2005 attua un rinnovamento tecnologico di tutte le applicazioni informatiche e dal 2010, quale ospedale orientato al digitale, organizza un incontro annuale per confrontare le esperienze di aziende ospedaliere presenti e attive nel settore. Si caratterizza come modello di ospedale aperto ai cittadini, in grado di offrire efficaci risposte alla domanda di salute; è organizzato in 8 dipartimenti sanitari, 4 amministrativi e 3 interaziendali, con 443 posti letto. La sua attenzione è parimenti rivolta alla ricerca scientifica, alla formazione, all’applicazione delle moderne tecnologie e dei nuovi modelli organizzativo-gestionali, alla terapia delle malattie genetiche. È dotato di un polo clinico-tecnologico di ultima generazione, con pet/tac, risonanze magnetiche, acceleratori lineari e metal iron detector, unico nel mondo per misurare il sovraccarico di ferro nel fegato.
Domanda. Cosa vi ha spinto ad avviare l’accertamento e il controllo dei costi sanitari?
Risposta. Due motivi. Il primo è collegato ai decreti di aziendalizzazione introdotti in Italia nel 1992 che hanno prescritto alle aziende sanitarie locali e ospedaliere di dotarsi di un sistema di rilevazione dell’attività svolta e dei relativi costi, ma non tutti hanno ottemperato; il secondo motivo è la volontà di migliorare la gestione aziendale non con semplicistiche riduzioni, ma con l’adozione di costi reali e con la disponibilità di risorse finanziarie adeguate; per fare ciò è necessario conoscere quanto e come spendiamo. Partendo dall’elemento base, il paziente, abbiamo impostato un modello gestionale «paziente-centrico» e abbiamo cominciato a rilevare i costi delle prestazioni fornite. In pochi mesi, nel 2006-2007, abbiamo messo a punto un sistema in grado di rilevare il costo-paziente, non tanto per conoscerlo quanto per sapere se è troppo alto o troppo contenuto. Abbiamo dovuto confrontarci con l’esterno con un metodo di calcolo abbastanza omogeneo. Sulla scorta di questa esperienza, nel 2009 abbiamo fondato l’associazione Nisan, una rete sanitaria per la rilevazione e la valutazione dei costi standard.
D. Con chi l’avete costituita?
R. All’inizio i soci erano 4: oltre all’E.O. Ospedali Galliera che l’ha promossa, la provincia autonoma di Bolzano, l’asl di Rovigo e l’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. Queste strutture hanno messo in comune i dati relativi ai singoli casi e alle attività sanitarie svolte sui pazienti. In tal modo abbiamo creato una prima base di dati da confrontare con lo scenario esterno, vale a dire i costi standard medi delle quattro aziende, con l’opportunità di verificare se in alcune attività i costi erano maggiori o minori dei costi standard, quindi individuando i relativi margini di miglioramento. Oggi i soci sono una ventina, provenienti da 12 regioni: tra asl, ospedali, IRCCS, aziende pubbliche e private accreditate presso il servizio sanitario nazionale. Un panorama rappresentativo: una banca dati con oltre 2 milioni di episodi di ricovero, una delle più significative e aggiornate presenti oggi in Italia.
D. Quali periodi riguardano i dati?
R. Lo scorso ottobre a San Giovanni Rotondo abbiamo presentato i costi standard del 2010; oggi stiamo lavorando su quelli del 2011 che prevediamo di presentare in autunno. In campo sia regionale che nazionale non esistono dati così certi che collegano la singola prestazione fornita ai costi che ne derivano. Si tratta di una quantità di informazioni provenienti da numerose istituzioni. Il Nisan è un’organizzazione molto snella, per volontà dei soci non è stata costruita un’altra entità, per elaborare i dati ci serviamo di un aiuto esterno. La quota associativa annua di 1.800 euro, relativamente contenuta, consente però di ottenere un grande risultato.
D. Perché è stata necessaria un’iniziativa privata nel settore pubblico?
R. Credo che tutte le aziende, sia pubbliche che private, non possano esimersi dal conoscere i costi di quello che fanno, altrimenti non possono compiere interventi di effettivo miglioramento; incombe sempre la minaccia di incorrere in tagli lineari che operano in modo indistinto su quanto è già efficiente. Il nostro sistema è molto sofisticato perché permette di intervenire su singoli fattori produttivi come i medici, gli infermieri, i farmaci, i presidi, esami diagnostici.
D. Qual è il gradimento da parte delle aziende socie?
R. Il livello di gradimento si manifesta nell’aumento da 4 a 21 soci dal 2009 ad oggi. Un altro elemento è il ridottissimo numero dei recessi: a distanza di 3 anni i vecchi soci sono presenti quasi tutti, questo indica che il risultato serve e che viene ritenuto utile. Inoltre, anche se non sono molto istituzionalizzate, riceviamo forme di riconoscimento. Le società scientifiche ci contattano; nelle specifiche attività abbiamo avuto rapporti con oncologi, ematologi, ortopedici, soprattutto con quelle attività nelle quali il peso dei farmaci, delle protesi è particolarmente elevato rispetto all’attività propria, quindi stimola i professionisti a dimostrare che è necessario sostenere un costo per avere un prodotto di qualità.
D. L’adesione è maggiore nel nord, nel centro o nel sud?
R. Diciamo che le regioni più rappresentate sono quelle del nord, soprattutto nella zona del Triveneto. Nel 2011 abbiamo stretto un accordo con Federsanità-Anci che ha proposto questo modello ai propri soci. Questo ha creato, se non un flusso di adesioni, un interesse soprattutto dal sud. L’eventuale ritardo o la mancata adesione possono essere dovuti a problemi di carattere organizzativo: ad esempio può incidere la durata in carica media dei direttori generali. Nel Veneto, per fare un esempio sono cambiati. Questo significa ristabilire i contatti con ognuno di loro. Ma devo dire che la maggior parte ha già confermato l’adesione, altri la stanno valutando per cui, tutto sommato, la situazione è positiva.
D. Quale atteggiamento hanno assunto le istituzioni?
R. Federsanità è stata l’unica ad avere un po’ di sensibilità rispetto al nostro obiettivo; con essa abbiamo addirittura sottoscritto una convenzione. L’unica amministrazione pubblica è stata la provincia autonoma di Bolzano che, come entità regionale, è addirittura socio fondatore. Noi usiamo i dati con molta cautela, ma quello che ne deriva è un aumento della trasparenza aziendale perché agisce su fattori concreti; quindi non parliamo solo di tagli, ma anche di dove sia necessario intervenire.
D. Rispetto ai costi medi risultanti, sono possibili oscillazioni?
R. Noi forniamo come riferimento il valore medio risultante dall’insieme dei valori attribuiti dalle strutture che fanno parte della rete; se in una struttura sanitaria esso risulta al di sopra o al di sotto di questo, si può capire dove esiste un margine per un effettivo miglioramento. Almeno la metà dei soci registrano costi standard inferiori ad essi, e questo rivela la validità del loro comportamento. Le strutture che, invece, presentano scostamenti in aumento rispetto allo standard, solitamente lo giustificano accampando una maggiore qualità dei servizi offerti. In tal caso saranno chiamati a confermare in modo oggettivo che le strutture caratterizzate da costi minori presentano una minore qualità, ma nessuno lo fa. Peraltro nel mondo sanitario stanno sorgendo movimenti ispirati allo slogan «Meno è meglio», principio che si sta dimostrando scientificamente esatto soprattutto in ambito geriatrico, dove l’eccessiva «medicalizzazione» e i troppi farmaci non rappresentano un problema solo economico, ma anche sanitario, per la salute.
D. Come diffondete questi dati?
R. Li rendiamo noti attraverso specifiche presentazioni. Anche i fornitori sono interessati a conoscerli. E iniziamo ad ottenere riconoscimenti esterni; l’università Bocconi di Milano ci ha chiesto di poter usare dati per una ricerca, altre aziende ci chiedono invece di eseguire studi sui loro costi di produzione. L’uso quindi è molto vario e poiché gli ospedali soci attraggono pazienti da tutto il mondo, assistiti da diversi sistemi sanitari, le imprese di assicurazione ci chiedono di dettagliare analiticamente, nelle fatture, i costi delle prestazioni.
D. Siete apprezzati più dal mondo assicurativo che dalle istituzioni?
R. Pare. Anche perché il recente decreto sulle tariffe contiene una forte dissonanza in alcune voci. Considerare infatti la tariffa un calmiere per il mercato comporta un notevole rischio e un quasi certo avvio verso il fallimento. Se l’attività dovesse basarsi sulle tariffe di legge, non vi sarebbe convenienza a fornire alcune prestazioni. Per questo asl e ospedali devono ispirare il proprio comportamento all’etica, devono fare quello che serve e non quello che conviene, e devono farlo bene dal punto di vista sia professionale sia gestionale, rendendo il costo sostenibile.
D. Come avere i costi dei pazienti?
R. Avendo sviluppato il processo di informatizzazione e disponendo di un servizio informatico aziendale avanzato, costruito nella logica «paziente-centrica», noi classifichiamo il paziente dal punto di vista gestionale sapendo quanto costano le attività, e dal punto di vista sanitario attribuendogli tutto quello che lo riguarda, per esempio i tipi di esami a cui è stato sottoposto o le consulenze richieste. Creiamo all’interno dell’ospedale un fascicolo elettronico disponibile anche per l’esterno, e il paziente può, se lo desidera, riversare le informazioni relative alle prestazioni fornitegli nell’ospedale in tale fascicolo. Accanto a questo, abbiamo sviluppato un processo di dematerializzazione, tranne che per alcuni esami particolari come la mammografia nella quale occorre l’immagine, e la panoramica per il quale occorre la lastra per calibrare le protesi in misura millimetrica.
D. E per le immagini?
R. Non stampiamo più pellicole. Trasferiamo le immagini via web attraverso un circuito interno e al paziente consegniamo il cd. All’inizio consumavamo pellicole per un importo di circa 400 mila euro all’anno, oggi siamo al di sotto dei 25 mila euro. L’informatizzazione ci ha consentito consistenti risparmi nei costi, nella manutenzione di stampanti e nel recupero dello spazio prima occupato dai faldoni di carta. Dal 2007 immagazziniamo le immagini sul sistema Pax; se un paziente torna al Galliera, il medico consulta gli esami già fatti richiamandoli sullo schermo del computer. Abbiamo sviluppato questo servizio anche per i pazienti che arrivano, si sottopongono ad esami e se ne vanno subito, e che, attraverso un codice, possono vederne l’esito sul computer di casa o sul telefonino.
D. Può quantificare il risparmio?
R. Ogni mattina eseguiamo circa 300 prelievi a pazienti esterni, e i due terzi dei referti vengono trasmessi agli interessati via web. Questo ha migliorato la qualità del servizio, e aumentato il numero dei richiedenti. Abbiamo anche realizzato uno studio sul rapporto costi-benefici che ci ha consentito di capire come il nuovo metodo seguito per le analisi, anche se non molto raffinato, per ogni persona fa risparmiare al sistema sanitario, e quindi anche a noi, 22 euro. Poiché gli interessati sono circa 50 mila, si viene a risparmiare circa un milione e 100 mila euro. L’informatica avvantaggia l’azienda, il paziente e soprattutto la società; devo dire che da noi il ricorso ad essa ha trovato un ambiente fertile e bravissimi operatori, ma aveva un piccolo difetto, non era totalmente finalizzata, non c’era un disegno generale. A mio parere occorre avere una strategia e il tempo per realizzarla. Nel prossimo luglio compirò 8 anni in questo incarico, tempo sufficiente per costituire una squadra e consolidare l’iniziativa.
D. Su che vi state impegnando ora?
R. Stiamo eseguendo rilevazioni non solo sui ricoveri ma su tutto il resto, comprese le attività ambulatoriali e, novità assoluta in Italia, sui costi delle prestazioni amministrative. Quando si legge un bilancio societario, ci si accorge che tali prestazioni costituiscono dal 20 al 25 per cento dei costi generali. Per questo abbiamo pensato di compiere verifiche, perché non possiamo continuare a controllare il costo dei farmaci che costituiscono uno strumento irrinunciabile ma che incide solo per il 3-5 per cento, senza discutere anche altri aspetti dell’organizzazione. Insieme all’A.U.O. di Padova abbiamo elaborato un progetto di rilevazione dei costi della funzione amministrativa intesa come prodotti, per individuarne i fattori impegnati e i relativi costi.
D. Assistiti e popolazione conoscono le vostre iniziative?
R. Nella nostra regione i nostri interlocutori conoscono questa nostra capacità, e hanno definito l’ospedale Galliera come il più efficiente del sistema ligure; questo dovrebbe far riflettere da dove viene questa efficienza gestionale. L’opinione pubblica percepisce la buona qualità sanitaria dell’ospedale, che deriva appunto anche dalla buona gestione organizzativa. In questo quadro di iniziative particolare rilevanza ha assunto la dematerializzazione dei processi collegata anche ad un evento che abbiamo appositamente istituito, intitolato «Open is good», che è giunto alla sua quarta edizione.
D. In che cosa consiste?
R. È articolato in due giornate: una scientifica, alla quale invitiamo altre esperienze per capire dove migliorare; e una divulgativa, dove l’ospedale ospita associazioni, scuole, cittadini, per illustrare loro i servizi on line. Un evento che sta diventando un punto di riferimento nazionale e che registra numerosi partecipanti tra cui comuni, aziende sanitarie e università. Per fare un esempio, un’applicazione che si è rivelata molto utile sia per il servizio del 118, che per gli altri ospedali e quindi per i cittadini è il pronto soccorso on line: consultando il sito del Galliera è possibile conoscere in tempo reale la situazione dei pronto soccorso metropolitani in termini di accessi suddivisi per codice colore. In questo caso la Regione Liguria ci ha chiesto di implementare il servizio e data l’utilità di renderlo aperto alla comunità.
D. Quali direttori generali possono essere considerati più bravi?
R. Credo che il direttore generale bravo è quello che sceglie collaboratori bravi, e che ha il tempo necessario per elaborare un progetto e per realizzarlo, perché il valore essenziale è la coerenza, che consiste nell’annunciare quello che si intende fare, e nel fare quello che si è annunciato.

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