SPECIALE FORUM PA 2013, francesco signore: ibm italia nel settore pubblico, una vera architettura di dati integrati
Domanda. Come si inserisce l’IBM nel settore pubblico?
Risposta. Si stanno ormai concretizzando i temi della spending review, dell’agenda digitale, dell’agenda digitale europea. L’IBM si è organizzata rispondendo a questa esigenza del Governo e del sistema Paese adeguandosi alle indicazioni che ci arrivano dall’Europa, interpretando la spending review non solo come modello di tagli e di riduzione dei costi, ma come strumento utile a rendere virtuoso un processo che, liberando risorse a partire da una maggiore efficienza della PA e da una migliore gestione delle risorse pubbliche, possa generare crescita e sviluppo. In tal senso abbiamo mutuato esperienze di razionalizzazione maturate in altri Paesi, in particolare mi riferisco a quello che abbiamo fatto per l’Amministrazione Obama, con l'introduzione di «data center» magnetici, ossia poli di aggregazione funzionali in grado di «attrarre» Amministrazioni con obiettivi simili. In pratica IBM propone di avviare un grande progetto di trasformazione sistemica della PA nel quale l'ICT possa agire da leva per la razionalizzazione e contemporaneamente da abilitatore per lo sviluppo del sistema Paese. Un altro elemento chiave è costituito dalla revisione dei processi che regolamentano le comunicazioni delle Pubbliche Amministrazioni, mentre una terza fondamentale dimensione è quella che noi riteniamo cardine e fondamento di tutto il processo di ottimizzazione della macchina pubblica, ma anche del sistema Paese: cioè la «gestione della conoscenza».
D. Cosa intende per «gestione della conoscenza»?
R. È qualcosa che va al di là del dato, del big data e dell’open data: mentre nel settore pubblico ci concentriamo ancora sui temi della digitalizzazione, dell’archiviazione elettronica e della gestione dei dati che debbano essere prodotti in formato elettronico, in altri settori la conoscenza si evolve allontanandosi dal puro concetto di dato contenuto nel classico «record», e assume e si arricchisce di nuove informazioni e sfumature raccolte dalle fonti più diverse quali social network, giornali online, così come tutte quelle forme nuove e moderne in cui i cittadini esprimono il proprio punto di vista. Abbiamo sviluppato così una «blueprint architetturale», all’interno della quale siano presenti poli funzionali specializzati di tipo «mission oriented», capaci di portare a sistema le migliori pratiche e competenze di mercato, sviluppati attorno ad eventuali amministrazioni capofila in grado di alimentare un processo di aggregazione sul territorio nell’ottica della sussidiarietà. Il tutto per razionalizzare e ottimizzare la spesa pubblica.
D. Si sono manifestate resistenze in Italia, rispetto a quanto avviene in altri Paesi?
R. In realtà siamo sempre culturalmente ipercritici verso noi stessi: è stato fatto veramente molto, circa 20 anni fa installavamo i primi personal computer con il mouse che alcuni clienti puntavano verso il monitor, usandolo come un telecomando. È chiaro che oggi molte Amministrazioni hanno sviluppato un elevato livello di automazione dei processi; infatti i dati europei rilevano il 100 per cento dei servizi pubblici online; c’è però un problema di fruibilità di questi dati e processi in maniera integrata e sistemica. Ma certamente c’è ancora molto da fare per migliorare il livello di automazione e di integrazione delle procedure e degli enti che lavorano su questi dati, per creare nuove competenze e professionalità, insieme ad una «coscienza digitale», ma sicuramente è stata affrontata una fase significativa.
D. Una volta che sia stata acquisita una «coscienza digitale», da che cosa viene costituito il passo successivo?
R. Dobbiamo entrare in una fase nuova, una fase nella quale dobbiamo riuscire a rendere più fruibili i dati e i servizi della PA, trasformando la tecnologia in valore per la collettività e in una spinta propulsiva per il rilancio del Paese. Siamo convinti che il piano di modernizzazione della PA e di revisione dei processi della Pubblica Amministrazione possa realmente rappresentare il piano industriale intorno al quale il Paese costruisca una forma di rilancio, soprattutto nel settore industriale e produttivo che ha bisogno di informazioni provenienti anche dal Sistema Pubblico. Occorre, a tal fine, riorganizzare in maniera sistemica i processi e le informazioni della PA. Occorre, in altre parole, stimolare l’integrazione di processi e di dati-informazione che sono oggi disponibili ma ciascuno a se stante. Il paradosso è proprio quello che dicevo prima, il 100 per cento dei servizi pubblici disponibili online ma il penultimo posto dell’Italia nella graduatoria europea sull’uso di questi servizi. Questo perché spesso il cittadino che si collega e ha bisogno contemporaneamente della funzionalità A e della funzionalità B di fatto non ha possibilità all’interno della singola sessione di svolgere entrambe le operazioni, ma deve scollegarsi e andare in un altro sito per compiere la funzionalità B. Il modello auspicato è quello che noi chiamiamo «outcome based», caratterizzato dall’integrazione delle applicazioni degli strumenti e dal consolidamento delle infrastrutture per rendere disponibile il servizio completo. Insomma in Italia occorre che il cittadino non sia demotivato all'uso di un qualsivoglia canale digitale, ma al contrario occorre che l'ICT sia uno stimolo all'accesso ai servizi pubblici.
D. Come si possono conoscere le reazioni del cittadino all’accessibilità amministrativa?
R. La dinamica dell’integrazione è fondamentale anche per un’ottica della conoscenza, ossia per capire quello di cui ha bisogno il cittadino, basata su una «social sentiment analysis», cioè sulla percezione del cittadino della rilevanza, della funzionalità e dell’utilità del servizio che l’Amministrazione o l’ente pubblico offre. Questo non si deduce solo attraverso l’uso del metodo «smile» di qualche anno fa, ma anche dai social network. Non stiamo più parlando della possibilità di trovare il dato, bensì della gestione della conoscenza che è disponibile e resa fruibile a chi ne ha bisogno. Su questo l’IBM sta lavorando molto perché rendere accessibile e fruibile la conoscenza aggregata dell'ecosistema pubblico può costituire il sistema fondante per il rilancio del nostro Paese; per questo ha investito molto in sviluppo e ricerca, anche in collaborazione con l'Università di Trento, per sviluppare «Watson», un sistema di «cognitive computing» che aggrega al proprio interno, analisi tematica, search, capacità di riconoscimento vocale, classificazione e categorizzazione dei dati. Si tratta di uno strumento che può dirci quale sia la risposta più probabile sulla base della conoscenza disponibile in un determinato settore, e non in un semplice dato, così da esprimere un’evidenza più probabile rispetto alla ricerca compiuta. È in sintesi il passaggio dal dato alla informazione, alla conoscenza, alla decisione. Quindi la digitalizzazione di tutta la documentazione disponibile nella Pubblica Amministrazione è un invito a rendere queste informazioni disponibili per supportare la conoscenza.
D. Quale applicazione ha il cosiddetto «cloud computing» nella Pubblica Amministrazione?
R. Nell’ambito di quest’ultima, ma anche nel settore privato, l’evoluzione tecnologica ha portato ad una stratificazione degli sviluppi applicativi, per cui ciascuna Amministrazione ha dovuto automatizzare i propri processi in maniera individuale. Ma oggi un processo di integrazione nell’ottica cloud deve disegnare Amministrazioni che condividono informazioni e procedure, andando a costituire quei diversi poli funzionali in cui i vari «data center» sono specializzati in specifiche funzionalità, che possono costituire i cardini di un sistema «cloud».
D. In che modo l’IBM è attiva nel campo della «Giustizia digitale»?
R. La giustizia, insieme al welfare e alla scuola, rappresenta una delle colonne portanti del sistema Paese. L'efficacia del sistema giustizia costituisce un indicatore di attrattività per investitori esteri o aziende. La giustizia rappresenta un caso specifico di quella complessità che poi ritroviamo su scala nazionale in tutta la PA, dovuta a un’organizzazione caratterizzata da una forte autonomia territoriale e politerritoriale; è il caso di Tribunali e Procure dotati di sitemi ICT non sempre in un unico sistema giustizia. L’IBM sta lavorando per trasferire alla giustizia la propria visione di trasformazione, per collegare l’intera organizzazione, le persone, i processi e le tecnologie attraverso una sorta di agenda digitale applicata alla giustizia che consenta di condividere infrastrutture attraverso razionalizzazione, standardizzazione e centralizzazione dell’infrastruttura esistente, e la messa a disposizione di un catalogo di servizi e funzionalità accessibile in tutto il territorio. È ovviamente imprescindibile che ciò sia collegato alla sicurezza, imperativo nazionale ed uno dei maggiori fattori di resistenza rispetto all’aggregazione del dato e al consolidamento dell’architettura in «cloud». Riteniamo che le due dimensioni, «cloud» e sicurezza, possano essere i fattori abilitanti di questa accelerazione, tali da rendere operativi sul territorio gli sviluppi del processo telematico per la giustizia civile, gettando poi le basi per replicare il modello anche nel procedimento penale.
D. Quali sono le innovazioni IBM nel campo della sanità?
R. La sanità è un campo molto delicato, in cui il nostro sistema «Watson» ha trovato un punto di applicazione fondamentale: la prima esperienza di «Watson» è stata fatta negli Stati Uniti proprio nel campo della ricerca e dello sviluppo in area oncologica. Per un medico avere disponibili informazioni sviluppate a livello ospedaliero e, più in là, a livello di ricerca, è estremamente rilevante per la sua diagnosi. Si pensi a tutto quello che possiamo fare per un medico la cui attività è svolta a partire da una postazione remota di un paesino.
D. In che cosa consiste il cosiddetto «IBM Blueprint» architetturale, per lo sviluppo e la trasformazione della Pubblica Amministrazione?
R. Si tratta di un «modello di riferimento» per governare la trasformazione del Paese che si basa sull’integrazione infrastrutturale, di processo e di gestione della conoscenza. Attraverso di essa è possibile realizzare servizi basandosi sugli «outcome», integrare i processi e i dati delle Amministrazioni realizzando «utilità condivise», estrarre la conoscenza dai dati, adoperare servizi di supporto trasversali condivisi, razionalizzare le infrastrutture delle Amministrazioni pubbliche su CED Magneti altamente efficienti, innovare continuamente per rendere il Paese attrattivo, misurare le prestazioni dei servizi pubblici, rendere sicure le infrastrutture pubbliche, accedere ai servizi in modalità multicanale, definire punti di contatto facendo leva sulla sussidiarietà centro-periferia. La visione dell’IBM, in definitiva, è quella di una ICT pubblica che diventa sempre più la nuova autostrada attraverso la quale si organizza e fluisce la conoscenza della PA, in un rapporto sempre più osmotico e proficuo verso la collettività e verso il sistema Paese.
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