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Michele Vietti, autore del codice

«È stato notato da qualcuno che il mio codice è molto ponderoso:  dico subito che considero questo un difetto non mio ma della produzione normativa, del legislatore e del Consiglio Superiore della Magistratura perché quasi 4 mila pagine di informazioni sono un dato patologico. È vero che parliamo di una materia complessa, articolata e permeata di elementi di diritto, ma obiettivamente  credo che una tale mole di normazione non sia giustificabile». Così parla del proprio libro Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, che ha pubblicato un «Codice dell’ordinamento giudiziario» di 8 centimetri di spessore, edito da Egea e presentato lo scorso mese nel Palazzo di Giustizia di Roma.
Un volume che ha fatto e farà parlare. L’interesse è dovuto allo scopo così indicato dall’autore: «Non è solo uno strumento di lavoro, è anche una preziosa occasione per verificare lo stato della legislazione in materia di giustizia». Considerate le polemiche, i contrasti, le critiche, gli attacchi rivolti negli ultimi tempi ai magistrati dai politici, si può dire che il codice di Vietti è anche un richiamo all’azione che i magistrati svolgono, con gli scarsi mezzi a disposizione, a difesa degli onesti e dei poveri, non sempre imitati dai politici. Primo dito sulla piaga posto da Vietti: «Dobbiamo prendere occasione da questa pubblicazione per riflettere se forse non produciamo un eccesso di dati normativi, che finiscono per cristallizzare e stratificare le regole esasperandone le contraddizioni; il rischio è che l’eccesso produce la mancanza delle regole, che quando sono troppe legittimano a non osservarle o ad osservarle solo nella parte che interessa».
Dotato di una grande esperienza dovuta anche alla sua pregressa attività politica, Vietti ha illustrato una paradossale realtà: la persona più importante del Ministero della Giustizia non era il ministro ma un usciere addetto all’archivio delle circolari; chiunque avesse bisogno di trovarne una che facesse al proprio caso, doveva rivolgersi a lui, unico a poter risolvere i problemi pratici. «Se posso permettermi di rivendicare un merito alla nostra iniziativa–ha aggiunto Vietti riferendosi al Codice–, è che dovremmo aver neutralizzato il potere dell’usciere custode delle circolari, che estrae quelle che di volta in volta servono: speriamo di aver messo a disposizione, pur con qualche limite, il materiale per la soluzione dei problemi».
Alla realizzazione del volume  hanno collaborato i magistrati Stefano Erbani, Gabriele Fiorentino e Fulvio Troncone. Vietti ha citato un altro caso che di recente ha occupato il Consiglio il quale, per ovviare ad un’emergenza, è stato costretto a contraddire una propria circolare nella quale aveva stabilito un divieto che per primo ha contraddetto. L’ansia di iperproduzione, ha spiegato, determina che una delibera applicabile a un caso concreto abbia dimensioni abnormi, fondate su pareri dell’Ufficio studi altrettanto abnormi,troppo lunghi. «Bisogna applicare una regola giornalistica, ogni delibera andrebbe restituita con l’invito a ridurla a un decimo; eviteremmo molte censure di Tar e Consiglio di Stato». Per questi motivi nel corso degli anni il contenzioso tra il Consiglio Superiore della Magistratura e giudice amministrativo ha assunto dimensioni patologiche.
Quanto al compito del CSM di promuovere i capi degli uffici giudiziari, il vicepresidente sostiene che sono necessari valutazioni di professionalità serie, non automatiche, per selezionare la classe dirigente della magistratura, e l’applicazione rigorosa del sistema disciplinare. In caso contrario viene meno quella responsabilità che è rivendicata come uno dei requisiti del buon magistrato insieme alla professionalità e alla deontologia. Quanto ai rapporti tra i magistrati e la politica, a parere di Vietti il legislatore deve intervenire per dettare una normativa più precisa e puntuale sulla candidatura e sull’esercizio delle attività elettive e di carattere amministrativo.
«Siamo ancora fermi alle norme di quando gli assessori erano tutti eletti, mentre oggi non sono eletti e paradossalmente ad essi non si applicano le norme che valgono per gli eletti; la procedura europea di infrazione aperta contro l’Italia deve essere un’occasione per intervenire in materia; dobbiamo essere consapevoli che non è possibile arroccarsi sulla posizione non interventista per non essere accusati di censurare l’attività giurisdizionale, formula che il CSM adotta a tampone per cui esposti, denunce, istanze e procedure disciplinari si chiudono con il non luogo a procedere perché costituiscono censura a tale attività».
Il libero convincimento del giudice va difeso strenuamente ma liquidare tutto con un «non luogo a procedere» perché costituisce censura all’attività giurisdizionale è una frontiera difendibile? A questa domanda Vietti risponde che il cittadino, vittima delle applicazioni distorte, a volte fantasiose e pirotecniche delle norme, «comprende questa nostra posizione che si ispira ai principi più santi e inviolabili; non è possibile che il nostro sistema dia risposte di giustizia affidate alla stravaganza del magistrato di turno».
Così come non è possibile l’anarchia più totale con 135 procure, 135 tribunali, 26 corti d’appello, un sistema «feudale» in cui ciascuno regna nel proprio regno. «Questo sistema deve darsi un’organizzazione. Ai magistrati va fatto capire che il sentirsi parte di un’organizzazione è un punto di forza, non un elemento di debolezza e di limitazione della propria indipendenza». 

Tags: Novembre 2013 libri Ministero della Giustizia giustizia magistratura Michele Vietti

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