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LA RIVOLUZIONE DIGITALE: PROGRESSO O FEUDALESIMO NEL LAVORO?

Si fa presto a parlare di robot che tolgono il lavoro all'uomo; le cose non stanno proprio così ma è una immagine che buca lo schermo ed è di immediata comprensione.

Il problema per me è invece sul tipo di impieghi che la rivoluzione digitale sta creando.

Da una parte abbiamo una richiesta di tecnici specializzati, gli scienziati del dato, merce rara perché hanno competenze trasversali, informatica+statistica+matematica, lanciano modelli sulle masse di dati aziendali e interpretano i risultati per esigenze di marketing o di analisi di rischio finanziario o per ottimizzare una filiera produttiva in fabbrica. Ovunque ci sono dati loro ci sono, utilizzano strumenti software sofisticati, conoscono le esigenze di mercato diverse per industry e per azienda, hanno competenze importanti, sono molto richiesti e spesso pagati molto bene.

Nella piramide del lavoro digitale per me sono al vertice, anche perché sono piccole comunità che rivestono importanza crescente nelle aziende di mercato.

Al secondo posto io metto i programmatori informatici, gli operai del codice, che sviluppano programmi con linguaggi open source, senza soluzione di continuità nel globo, per aggiornare o adattare programmi di ogni tipo alle moltitudini di esigenze di mercato. Gli operai digitali costruiscono con i mattoni digitali infrastrutture che permeano ormai ogni aspetto della nostra vita, sono spesso offshore (ad esempio in India) lavorano in modalità remota senza interagire direttamente con il committente finale, ma sono portatori di un know how intellettuale importante, molti di essi sono dei veri e propri geni del codice.

Al terzo posto, alla base della piramide del lavoro digitale abbiamo tutti i lavoratori che accettano di prestare servizio presso le migliaia di aziende nate da start up che si basano su una piattaforma software che colloquia con i clienti via app. Mi riferisco ai servizi di consegna di merce o cibo a domicilio o di servizi per la persona...che utilizzano nel mondo una folla crescente di gente in necessità di lavoro.

Li chiamano "lavoretti" e fino a quando sono studenti che arrotondano la paghetta dei genitori va benissimo anzi ben vengano (io stesso ne ho fatti di ogni genere) ma il problema è che sono adulti senza lavoro e che in cambio di una fittizia libertà di orario e controllo accettano paghe orarie che ci fanno tornare indietro di due secoli.

Sono gli schiavi digitali, che sono comandati da una capo digitale (la piattaforma software), sotto pagati, senza tutele o quasi, in concorrenza tra loro e con una offerta di lavoro immensa perché disponibile sulla rete.

Dicono: nessuno li obbliga, non vi è coercizione e non sono schiavi, ma il punto è che il lavoro è poco e le regole di mercato sono legate da domanda e offerta che di fatto lascia zero spazio di negoziazione.

Con un capo digitale che ottimizza le consegne non vi è neanche la prospettiva di fare carriera o di prendere il suo posto, si pedala da un punto all'altro della città, stop.

Intendiamoci, la delocalizzazione ha anch'essa creato senza alcun dubbio lo sfruttamento dei lavoratori, anzi sono sicuro che nelle fabbriche dell'Est Europa o in Estremo Oriente vi siano analoghe situazioni ma qui la mia percezione è che poiché l'offerta di lavoro è conseguenza di una piattaforma digitale innovativa si accetta il lavoro "a cottimo" in virtù di un progresso che in effetti non lo è affatto.

Tags: lavoro app digitalizzazione Fabrizio Padua pillole digitali digital transformation lavoratori Giugno 2018 digital

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