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Rosario Rasizza: assosomm, chi meglio delle agenzie del lavoro può «occuparsi di occupazione»?

Rosario Rasizza, presidente  di Assosomm, l’Associazione italiana delle Agenzie per il lavoro

Con il decreto legislativo n. 276 del 2003, la cosiddetta riforma Biagi, sono state introdotte numerose novità nell’ambito dei servizi per il lavoro: oltre ai Centri per l’Impiego sono stati riconosciuti nuovi soggetti di intermediazione e sono stati ammessi ad agire soggetti sia pubblici sia privati. Le agenzie per il lavoro, in particolare, sono soggetti privati ai quali è consentito erogare servizi come il collocamento, la ricerca e la selezione, l’orientamento professionale, la formazione e la somministrazione di lavoro; sono autorizzate e accreditate mediante l’iscrizione all’Albo informatico istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, e tale iscrizione garantisce agli operatori la possibilità di offrire servizi e rappresenta una tutela per il cittadino.
L’Assosomm, Associazione italiana delle agenzie per il lavoro, ne rappresenta molte, eppure, a quanto afferma Rosario Rasizza, che la presiede dal 14 febbraio 2013, non è ascoltata né convocata ai tavoli del Governo. L’Associazione ritiene necessario «sviluppare nuove forme di coinvolgimento delle agenzie per il lavoro nelle politiche attive del lavoro, in un’ottica di sperimentazione e di potenziamento degli incentivi normativi ed economici per chi oggi si assume il delicato compito di operare l’incontro tra imprese in cerca di talento umano e persone in cerca di impiego. Il vantaggio competitivo dato dalla qualità dell’intermediazione professionale offerta dalle agenzie per il lavoro è oggi riconosciuto anche dalle parti politiche e sociali, che hanno rilevato nel loro operato una primaria risposta alla crisi internazionale. Questo riconoscimento deve tradursi in una nuova stagione legislativa che riconosca il valore strategico del settore». Rasizza spiega meglio.
Domanda. Che cos’è l’Assosomm? 
Risposta. Una delle due associazioni di categoria; raggruppa circa 20 agenzie per il lavoro regolarmente usate dal Ministero, ma con una caratteristica particolare: sono agenzie a conduzione esclusivamente italiana, ossia l’azionista di riferimento è un imprenditore italiano, non ci sono multinazionali.
D. Quante filiali avete nel territorio nazionale?
R. Le 20 agenzie fatturano circa un miliardo e mezzo sui 5 miliardi che il mercato esprime a livello nazionale, ed hanno nel territorio nazionale quasi 300 filiali a disposizione dei propri lavoratori o di chi sta cercando in questo momento lavoro. La maggior parte delle agenzie è dislocata nel Centro, principalmente nel Lazio, quindi nel Nord, ed anche nel Sud.
D. Nel Mezzogiorno c’è meno lavoro: non dovrebbe essere il contrario, più agenzie nel Sud e meno nel Nord?
R. L’osservazione è fondata, ma noi forniamo lavoro e dobbiamo avere clienti che richiedono lavoratori. La maggior parte delle persone che operano all’interno di aziende, fabbriche e siti produttivi si trova al Nord, e le agenzie per il lavoro seguono il mercato. Purtroppo il Sud si caratterizza ancora per molto lavoro irregolare o non regolarmente retribuito, e questo non gioca a favore delle agenzie.
D. Il Governo non aiuta?
R. Le agenzie per il lavoro sono soggetti autorizzati, eppure ogni volta che il Ministero ha avviato le varie fasi di riforma del lavoro non ci ha mai convocato e non ci ha chiesto mai alcun parere. Ma chi, meglio di noi che conosciamo la strada e le verità quotidiana, può dare un contributo fattivo e operativo?
D. A quante persone offrite lavoro?
R. Il settore, in generale, offre lavoro mediamente a 300 mila persone su base annua, di queste l’Assosomm ne rappresenta circa 80-90 mila. In questo caso però, converrebbe parlare del mercato in generale: sono 300 mila le persone che lavorano attraverso le 105 agenzie per il lavoro che il Ministero ha nel proprio database.
D. Come si accede a un’agenzia, a quali condizioni, come funziona il meccanismo della domanda e dell’offerta?
R. Il servizio è totalmente gratuito per il lavoratore. Chi cerca lavoro controlla sul sito del Ministero quali sono le 105 agenzie autorizzate, ne individua la sede principale e le filiali sparse nel territorio nazionale, prepara un curriculum vitae, meglio se nel formato europeo, si presenta fisicamente nell’agenzia o invia per mail, attraverso i loro siti, la propria candidatura. Il mio consiglio è presentarsi presso una delle filiali autorizzate dal Ministero. Ad accogliere il candidato ci saranno dipendenti diretti delle agenzie per il lavoro, che hanno il compito di valutare e verificare le competenze e, sulla base di queste immaginare il candidato presso una delle aziende-clienti.
D. Chi opera all’interno delle agenzie?
R. Una filiale normalmente si compone di due figure chiave: chi si occupa della ricerca, della selezione e della formazione del personale, e chi lavora nel settore commerciale, si misura e si confronta con il mercato e si reca nelle zone industriali e di servizi per verificare se l’ufficio, l’azienda o l’ente ha necessità di nuove figure professionali. L’esigenza può nascere per cause di maternità o di malattia, oppure perché l’impresa sta crescendo, ha ottenuto nuovi lavori e commesse, ma non sa prevedere il periodo di tempo in cui avrà bisogno di più lavoratori. Rivolgendosi a noi evita di appesantire l’azienda in una fase incerta in cui impiega una risorsa in somministrazione in modo tale da essere immediatamente operativo e fruibile, con elasticità e verificando il progredire del mercato.
D. In che modo viene retribuito il lavoratore?
R.Questi non ha nessun costo ed è pagato regolarmente il 15 del mese successivo all’emissione della busta paga come da contratto collettivo nazionale. In Italia fortunatamente il legislatore ha usato il concetto del «pari trattamento retributivo»: non c’è differenza nell’inserimento di un lavoratore in un’azienda, o che sia diretto dall’azienda o che sia in somministrazione, perché a parità di mansione o di anzianità il compenso è uguale.
D. Dov’è che l’agenzia guadagna?
R. Con l’azienda, e solo con l’azienda, stipula un accordo di tipo commerciale e si fa pagare, come fosse una banca o uno «spread», per il servizio di ricerca e selezione, formazione, erogazione della busta paga, gestione amministrativa del lavoratore. In tal modo il lavoratore ha un servizio gratuito, e l’azienda-cliente, pagando, opta per una serie di servizi che forniamo.
D. Quali sono le figure professionali più richieste?
R. Prima di tutto vorrei ricordare la morfologia dell’Italia, che è lunga e stretta, e che ogni zona ha le proprie peculiarità. Nel centro di Roma non ho individuato nessuna fabbrica, nessuna tintoria, nessuna conceria, nessuna azienda di materie plastiche; in questa zona le figure maggiormente richieste saranno l’addetto al back office o all’inserimento dei dati, il centralinista, l’impiegato amministrativo, e simili. Se ci spostiamo nell’hinterland romano o andiamo nei distretti di cui l’Italia è molto ricca di ditte, come ad esempio il distretto calzaturiero nelle Marche o quello della meccanica o delle materie plastiche in provincia di Varese, le figure diventano più trasversali.
D. Cosa consiglia a chi cerca lavoro?
R. Un aspetto va sottolineato: oggi il mercato e le aziende cercano risorse e personale altamente e professionalmente preparato, e cioè non serve più l’operaio generico, le aziende hanno bisogno di professionalità. Consigliamo ai giovani o a chi perde il lavoro di imparare un mestiere. Ai giovani diciamo una cosa in più: imparare un mestiere partendo dalla propria passione; fare di questa passione un lavoro.
D. Secondo i dati del vostro osservatorio, quali sono ad oggi le differenze rispetto all’anno precedente?
R. La differenza è stata unicamente la condizione dell’imprenditore di non vedere che tutti i giorni c’era una «disgrazia», che la crisi aveva già mietuto le proprie vittime togliendo dal mercato tutte quelle aziende che non avevano i fondamenti giusti per sopravvivere. Gli imprenditori sopravvissuti hanno detto «Basta, vogliamo reagire e ripartire».
D. Tutto questo come si è riversato sull’economia e sul mercato del lavoro?
R. Fortunatamente le aziende hanno ricominciato ad assumere personale con le caratteristiche che ho detto prima, magari con incarichi di breve durata, di uno o di due mesi, ma comunque creando un movimento.
D. E quale beneficio ha un lavoratore di un contratto di pochi mesi?
R. È molto importante inserirsi in un’azienda per un paio di mesi perché, statistiche alla mano, il 15 per cento di coloro che si rivolgono alle agenzie, ogni 66 giorni sono assunti dall’azienda in cui lavorano. Se il lavoratore è in gamba e se l’azienda in cui è stato inserito ha un futuro, l’imprenditore non fa altro che tenersi la persona. Consiglio a tutti di non stare a casa o, peggio ancora, «crogiolarsi» tra le politiche passive che il sistema italiano ha messo in piedi, come la cassa integrazione guadagni e la mobilità. A volte chiamiamo persone che ci chiedono quanto andranno a guadagnare, noi rispondiamo 1.300 euro, e loro replicano che ne ricevono 1.100 per stare a casa, per cui conviene non lavorare. Questo non va bene: se si entra in un’azienda si avrà la possibilità di professionalizzarsi e imparare un’attività nuova, che per il futuro potrà essere utile.
D. Era previsto che, dopo un anno, il lavoratore dovesse comunque lasciare l’azienda. Quali prospettive ha oggi?
R. Questo termine è stato abolito ed oggi non c’è limite temporale per l’acquisizione e la fornitura di un lavoro in somministrazione, anche perché non c’è nessun imprenditore che non voglia tenersi una persona che serve. Ma se la tiene è anche perché noi svolgiamo un’altra importante funzione, quella di finanziare per certi versi l’azienda, perché quando stipuliamo l’accordo con il lavoratore dobbiamo rispettare il termine del 15 del mese per pagare lo stipendio, ma con l’azienda-cliente c’è un rapporto commerciale e possiamo chiedere di pagare a 30-60-90 giorni: ecco che, magicamente, trasformiamo la nostra disponibilità in flussi finanziari verso l’azienda.
D. Sulla «Garanzia Giovani», Piano italiano per l’occupabilità, le notizie non sono buone. La vostra agenzia è un valido strumento per realizzarla meglio?
R. Sicuramente sì, perché abbiamo lo sfogo nelle nostre aziende-clienti. «Garanzia Giovani» aveva l’obiettivo di mettere fondi a disposizione per formare, riqualificare, assistere con politiche attive e non più con politiche passive, chi ha perso il lavoro, mancando però il «braccio armato» per immettere la persona nel mondo del lavoro. E chi meglio di agenzie specializzate può fare questo? Tutto bene, però ancora una volta tutto molto complicato.
D. E cosa farebbe per cambiare questa situazione?
R. Se io potessi incidere su tale meccanismo, chiederei più semplificazione, perché ci sono ancora troppe regole e regolette che bloccano il compito principale che noi abbiamo, e cioè quello di dare un lavoro ad un disoccupato, il che equivale anche a dargli una dignità.
D. Sono in cantiere particolari iniziative di cui le agenzie per il lavoro si sono fatte promotrici, sempre nell’ambito del piano «Garanzia Giovani»?
R. Ancora una volta, non siamo stati coinvolti in alcuna fase del processo di impostazione delle nuove norme, né quando ci fu la riforma Fornero né con il nuovo ministro Poletti. L’unica volta che il ministro Giovannini ci chiamò per avere un nostro parere, la prima domanda che ci fece fu: «Qual’è, a vostro giudizio, la principale differenza e il vostro valore aggiunto come agenzia per il lavoro rispetto ad un ufficio di collocamento?», ed io in maniera un po’ provocatoria risposi: «L’automobile». Ovvero: la nostra proattività nel cercare quotidianamente le imprese clienti per concretizzare il match tra persone in cerca di occupazione e datori di lavoro. Affinché non resti solo un impegno sulla carta.
D. E allora quale ruolo potreste giocare e cosa pensa delle riforme in atto?
R. Noi siamo di fatto agenzie autorizzate per il lavoro dal Ministero e dovremmo essere il suo braccio armato. In Italia ci dovrebbero essere a mio avviso due tipi di contratto: contratto a tempo determinato diretto dall’azienda-cliente e contratto a tempo indeterminato dall’azienda-cliente a tutele crescenti o no. Se il Ministero vuole flessibilità si rivolge a una delle 105 agenzie autorizzate dallo stesso, e dovendo noi rispettare il contratto collettivo nazionale dell’azienda-cliente, l’Inps sarebbe contenta perché paghiamo regolare contribuzione e l’Inail perché paghiamo regolari premi: dove sono tutti questi problemi? Non esistono. Allora meglio creare più confusione perché nella confusione si possono annidare molte situazioni.
D. Come è possibile stimolare una maggiore conoscenza del mercato del lavoro presso le nuove generazioni e una maggiore attenzione delle piccole e medie imprese ai servizi per il lavoro?
R. Per quanto riguarda le aziende purtroppo c’è pigrizia da parte della piccola e media impresa nel tenersi aggiornata, ma non è una pigrizia negativa, è legata al fatto che sono tutti concentrati esclusivamente sulla propria «attività principale», così nelle piccole e medie imprese manca la capacità d’intuire che il mercato del lavoro oggi è complesso, che ci sono tante formule e che non si deve guardare esclusivamente a quella che abbassa il costo del lavoro, ma a quella che garantisce una maggior flessibilità regolare all’interno della propria azienda. Poi è chiaro che quando dicono che la competizione è con lo straniero o con alcuni Paesi in cui la manodopera costa quattro volte meno che in Italia, è difficile convincere l’azienda a cambiare prospettiva. Eppure dobbiamo capire che l’aspetto più prezioso in un’azienda è, sì, il prodotto, ma insieme ad esso lo sono coloro che l’hanno inventato e che lo producono, e che costituiscono il patrimonio del futuro. È la valorizzazione della risorsa che deve tornare ad essere al centro per l’imprenditore.
D. Per affrontare il tema della disoccupazione in Italia, non bisogna però concentrarsi solo sui giovani.
R. Bisognerebbe infatti cambiare il nome da «Garanzia Giovani» a «Garanzia Lavoro»; il problema dei giovani oggi è importante, ma il problema di un 45enne che ha contratto un mutuo, che ha figli e che si vede senza lavoro, è un tema ancora più grave del giovane che non trova lavoro, e che tendenzialmente in Italia vive ancora a casa ed è assistito dai genitori; in un adulto che ha perso il lavoro in alcuni casi possono innescarsi meccanismi talmente perversi e pericolosi da minare la serenità della famiglia stessa. Come agenzie per il lavoro abbiamo lavorato anche in questo senso, all’inizio eravamo tutte agenzie su strada, ma abbiamo preso atto del fatto che la persona di una certa età, con un certo amor proprio e orgoglio, si vergogna ad entrare in un’agenzia per il lavoro, e abbiamo spostato molti uffici in vari piani.
D. Ricopre la carica di presidente dell’Assosomm dal 14 febbraio 2013. Quali i risultati raggiunti in questi due anni e quali i progetti per il futuro?
R. I risultati sono l’essere passati da associazione non riconosciuta dal Ministero del Lavoro ad associazione che addirittura ha sottoscritto il contratto collettivo nazionale. Abbiamo fatto anche molto in termini di comunicazione, sulla quale puntiamo e punteremo per portare la voce delle agenzie soprattutto ai lavoratori: devono capire che non c’è da vergognarsi nel rivolgersi a noi e che non c’è nulla da pagare.
D. Perché allora tanto «ostracismo» nei vostri confronti?
R. Forse si immagina che noi, essendo privati, pensiamo esclusivamente al profitto. È vero, siamo un’azienda privata e per definizione dobbiamo pensarci, ma al di là di questo, credo che conoscerci meglio e venirci a trovare nelle nostre filiali sia un buon esercizio che consiglio a tutti, per chiarirsi le idee con noi direttamente.
D. Nel 2014 sono stati 215 mila i lavoratori alle dipendenze di un’agenzia per il lavoro, con un incremento del 12 per cento rispetto al 2013. Che prospettive ci sono per il 2015?
R. Dai dati del nostro osservatorio interno, le aziende hanno ripreso ad assumere e hanno ritrovato fiducia, e le banche hanno ricominciato a finanziare le aziende meritevoli perché c’è più capacità di restituzione del denaro prestato. Il sistema si regge su tre fattori: credibilità, fiducia ed erogazione del credito. Credo che la crisi stia per essere metabolizzata non più con la parola crisi ma come «ordinaria gestione di tutti i giorni»: l’ingegno, la capacità di migliorarci, la capacità di lavorare meglio, dovranno colmare il gap tra la parola «crisi» e la parola «ripresa». L’Assosomm continua a sostenere le proprie aziende-clienti erogando finanziamenti perché nel momento in cui portiamo una persona è come se portassimo un fido, perché siamo sempre pronti a sostenere le imprese quando vogliono crescere.
D. Cosa direbbe al Governo?
R. Ricordiamoci che il lavoro non è un lusso e non deve essere tassato come tale; non sono gli incentivi a pioggia, come sono stati impostati, che apriranno nuovi investimenti nel mondo del lavoro. Al Governo vorrei dire soltanto una cosa: ogni volta che si tratta un tema così importante come il lavoro, abbia la cortesia e la pazienza di convocare al tavolo chi, come noi, tutti i giorni, parla solo di lavoro e può portare valore aggiunto.     

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