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Elena David: una hotels & resorts, nel viaggio gli alberghi sono un’esperienza emotiva essenziale

Elena David ceo di Una hotel

Una carriera all’insegna dell’ospitalità per una manager pratese dinamica e grintosa che dal 2000 è direttore generale e amministratore delegato di Una spa, che controlla i 31 alberghi Una Hotels & Resorts. Una carriera indotta casualmente da una tesi di laurea in Economia e Commercio sulle condizioni evolutive delle aziende alberghiere fiorentine, scelta che marca la strada professionale di Elena David, laureata a Firenze con il massimo dei voti in un momento in cui i laureati nel settore erano pochi: ciò segna il tracciato del primo lavoro nel 1990 in Starhotels, dove ricopre diversi ruoli fino a quando, nel 1998, diviene consigliere di amministrazione e direttore generale della catena. Nel luglio del 2000 è chiamata dalla Fusi Spa per riposizionare la catena alberghiera Bonaparte Hotel Group, oggi Una Hotels & Resorts, che da allora dirige e che ha chiuso il primo semestre 2015 con un fatturato complessivo di oltre 32 milioni di euro, registrando una crescita di 3 milioni e mezzo di euro, pari a un aumento del 13 per cento rispetto al primo semestre 2014.
Nel giugno 2008 Elena David è stata eletta presidente dell’Aica, Associazione italiana delle compagnie alberghiere, di cui attualmente è membro del consiglio direttivo; da maggio 2007 è componente della giunta di Federturismo, di cui dal 2012 è vicepresidente. Dal 2011 è presidente dell’Aiceo, l’associazione italiana dei ceo. Ha inoltre conseguito nell’università veneziana Ca’ Foscari un master award honoris causa in Economia e gestione del turismo.
Domanda. Come è nata Una Hotels & Resorts?
Risposta. Dal punto di vista prettamente industriale il processo ha seguito l’idea iniziale di sviluppare la catena in tutto il territorio nazionale: ponevamo bandierine sulle località turistiche nella carta dell’Italia. In effetti, nei primi dieci anni siamo riusciti a centrare i punti chiave, ma soprattutto mi viene da sottolineare che siamo partiti effettivamente da un’idea che siamo riusciti a realizzare. Si tratta di un progetto di sviluppo nel territorio, che ci ha resi presenti, oggi, dalla Sicilia alla Lombardia, che abbiamo compiuto nelle molte difficoltà che affronta il turismo: dall’attacco alle Torri Gemelle nel 2001 passando per l’epidemia di Sars, senza dimenticare altre situazioni di impatto, fino alla crisi economica del 2008. Varie vicende hanno interessato il Gruppo di costruzioni azionista della compagnia, e come effetto «Una» è finita sotto il controllo delle banche, per poi diventare parte di un’operazione di fusione, in fase di conclusione, con l’Ata Hotels per dar vita al più consistente polo alberghiero italiano sotto il controllo dell’Unipol. Un cammino lungo 15 anni che ha vissuto tanti momenti e che posso definire una cavalcata entusiasmante, partendo da zero. Eravamo tre persone in un sottoscala in Foro Buonaparte; con me lavora ancora la prima persona che venne assunta, e da allora abbiamo sempre costruito. Un privilegio pertanto.
D. Perché il settore alberghiero?
R. Per via della tesi di laurea in Economia e Commercio: la scelta era tra l’indirizzo informatico, che era agli albori, e quello turistico. La Toscana in quel periodo stava nascendo come meta turistica e veniva assegnata questa tesi in Economia aziendale per analizzare i temi del turismo in una chiave economico-industriale, lettura che ancora non era stata fatta. A differenza di molti colleghi universitari che invece imboccarono carriere più tradizionali, come quella del commercialista, io non ho mai pensato che per me potesse essere una scelta plausibile. Per carattere avevo bisogno di circondarmi di persone, e stare in uno studio privato onestamente non faceva per me.
D. Quali sono le peculiarità della catena alberghiera?
R. Siamo arrivati nel mercato italiano dove già erano presenti vari soggetti, pertanto per i nostri alberghi abbiamo messo a punto un’idea dinamica e diversa, iniziando dalle strutture, per le quali abbiamo collaborato con architetti italiani cercando di dare un design e un’impronta di forte italianità. Siamo stati tra i primi a parlare di esperienza del viaggio: se il viaggio è esperienza, essa non può essere fermata fuori dalla porta dell’albergo, soprattutto se si viene da molto lontano. L’esperienza inizia già in aeroporto e prosegue all’interno dell’albergo e in tutto ciò che si percepisce in ogni singolo istante del soggiorno. Per questo ho sempre sostenuto che l’Italia dovrebbe parlare turisticamente in senso trasversale: l’esperienza del viaggio non è solo in Piazza Duomo o davanti al Colosseo, ma è l’insieme di tutte le emozioni raccolte, incluse quelle che nascono varcata la soglia dell’hotel. È triste pensare ad un’offerta di catena alberghiera come quella derivante soprattutto dalla tradizione americana, basata su un luogo senz’altro perfetto, ben pulito e curato ma spersonalizzato. Ora è un concetto piuttosto diffuso ma all’epoca noi elaborammo un’offerta originale: l’obiettivo era personalizzare le strutture innanzitutto da un punto di vista di prodotto ma, proprio perché sappiamo che i muri non parlano, dovevamo lavorare sulle persone in modo che esprimessero un alto concetto dell’ospitalità.
D. Un lavoro quindi anche sulle risorse umane?
R. Sì, soprattutto. L’accoglienza avviene attraverso le persone. Io ho lavorato su di loro per coinvolgerle e farle sentire parte dell’azienda in tutte le sue fasi, nei momenti belli ma anche in quelli difficili, non una piccola parte bensì una colonna; ognuno deve avere la consapevolezza che le sorti dell’impresa dipendono da ciascuno di loro, non come risultato di un algoritmo ma come frutto della loro attività. Questa responsabilizzazione fa sì che il tratto distintivo del soggiorno come recepito dagli ospiti sia proprio la gentilezza dello staff. Ci siamo arrivati con un grande sforzo, ma con soddisfazione posso dire che i risultati si vedono. Anche in questi anni di crisi del settore, che ci ha fatto chiedere ai dipendenti dei sacrifici, abbiamo avuto un altissimo tasso di fedeltà. Questa è la differenza tra dipendenti e persone che hanno compreso di esser parte di un progetto.
D. Come riassumerebbe il concetto di marketing che applicate?
R. Non ragionare sulla base dei soliti schemi ma sollecitare delle sensibilità diverse e in continua evoluzione. Non parliamo più di meri «check in» o «addetto alla reception», perché tali concetti non esistono più come non esiste più il cliente: sono concetti superati. Parliamo di «accoglienza» e di «ospite», come credo non esistano più le etichette «turismo corporate» o «turismo leisure» che, al di là di definire il motivo del viaggio e la trattativa commerciale che si origina, non esonerano il personale dal compito  di soddisfare i bisogni di persone comunque ospiti. A me non interessano le modalità di prenotazione o il motivo del viaggio, se sono gruppi o uomini d’affari o, come qualcuno pensava fino a poco tempo fa, se hanno pagato poco o una tariffa piena: quando entrano nella hall sono ospiti e l’unico obiettivo è capire quali siano i loro bisogni. C’è poi un ulteriore passaggio relativo ai luoghi: non ci si limita a etichettare il bar o la hall come tali. Noi parliamo di ambienti versatili dove si può fare ciò che si vuole, dalla riunione al festeggiamento di compleanno.
D. Come amministratore delegato di un’azienda nel settore turistico in Italia, cosa chiederebbe al Governo?
R. Non voglio dire quello che si potrebbe fare perché è stato detto veramente tante volte. Ho avuto ruoli istituzionali in qualità di presidente dell’associazione confindustriale di categoria che mi hanno consentito di dialogare e portare avanti proposte e idee; purtroppo non nego ormai un forte scetticismo nei confronti delle istituzioni, a cui mi riferisco prendendo un periodo temporale troppo esteso per pensare a qualche ministro in particolare. La questione turistica non è mai stata trattata come il Paese merita, né le risorse esistenti valorizzate come richiederebbero. Mi sono rassegnata al fatto che ciò che si fa per il turismo nel Paese nasce da iniziativa privata delle aziende, degli operatori, delle catene alberghiere senza particolari aspettative per l’aiuto che può giungere. Venendo ad oggi, prendo atto che da parte di Enit ci sono positive dichiarazioni di intenti, ma resta aperta la questione della natura giuridica dell’ente, e di conseguenza quella del personale, che sembra voler restare nell’ambito del pubblico impiego. Enit invece assume una matrice privatistica, e questo dopo mesi e mesi di commissariamento. Il ministro Dario Franceschini ha annunciato che in primavera ci sarà il nuovo piano del turismo. Tutti noi abbiamo ancora sulle scrivanie il rapporto richiesto da Piero Gnudi, ministro del Governo Monti, a Boston Consulting, rapporto pieno di intenzioni che però mancava della parte dedicata al digitale, la quale sarà probabilmente inserita. Sono passati quattro anni e si ricomincia da capo. Ecco perché sostengo che se noi operatori e manager ci fossimo basati su questo non so come sarebbe andata.
D. Cosa pensa della discussione sulla tassa di soggiorno?
R. Vedremo cosa nascerà dalla dichiarazione del ministro Franceschini sulla revisione di questa tassa mediante l’ampliamento del numero dei Comuni che possono applicarla, non solo quelli turistici quindi. Al di là del fatto che credo dovrebbe ricadere non solo sugli hotel ma che dovrebbe essere una sorta di «city tax», in modo tale da abbassarne l’importo che in alcune città è veramente alto, mi sono permessa di ricordargli che tale tassa è giustificata dalla destinazione dei fondi a scopi turistici, mentre da quando Silvio Berlusconi concesse all’allora sindaco Gianni Alemanno di usarla per coprire il buco di bilancio di Roma, siamo andati avanti in questo modo, senza alcun collegamento. Bene, quindi mantenere la tassa di soggiorno se così si vuole, ma il Governo deve farsi garante dell’uso a fini turistici. Quando ho sollevato l’obiezione mi è stato risposto che in effetti i Comuni dovrebbero fare attenzione. Ma chi controlla? Qual è il sistema che consente a me, operatore, di sapere come vengono spesi questi soldi così recuperati? Attrarre turisti è anche pulizia delle strade, ma non solo quello. Franceschini sta riproponendo il tema delle Regioni perché coordinino le loro risorse mettendole in mano all’Enit, ma perché allora abbiamo delegato alle Regioni il turismo?
D. Commenti sull’Expo?
R. Il ricavo medio di una camera in Italia è cresciuto dell’11,7 per cento, mentre la Spagna dell’8,7; la prima come occupazione del 6,1 e la seconda del 4,2. Questi dati non sono elevati, perché la Spagna li ha fatti senza aver ospitato un’esposizione universale ma essendo capace di raccogliere meglio di noi coloro che, diretti nel bacino del Nord Africa, hanno cambiato meta per via del terrorismo. A Milano si sono fatti passi avanti ma ora, finita l’Expo e in seguito ai fatti di Parigi, i nostri arrivi sono paralizzati, e in questo momento il blocco costa. Occorre lavorare sull’attrattività delle destinazioni. Consideriamo inoltre che a Milano è aumentato il numero di posti letto per i visitatori dell’Expo; per mantenere questa città come destinazione richiesta bisogna mostrare dinamismo, con una continua organizzazione di eventi, spettacoli teatrali, concerti e così via.
D. Come sarà l’unione con Unipol Gruppo Finanziario spa?
R. È ancora presto per dirlo: è stato siglato il preliminare per la vendita all’Unipol nel maggio scorso e si dovrà concludere l’operazione entro il prossimo giugno. C’è una fase in cui devono realizzarsi condizioni sospensive riguardo la struttura finanziaria; si tratta di un processo  in fieri ma la strada è già tracciata. Dopo ci sarà un’integrazione tra i Gruppi e vedremo cosa nascerà: il nuovo organismo deve ancora sbocciare.   

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