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ENOLOGIA. LUCA MARONI: L’IRRESISTIBILE RILANCIO DEL VIGNETO ITALIA

Luca Maroni vino

Entrare nello studio di Luca Maroni è un’esperienza unica. Innanzitutto perché non tutti i giorni si può veder appesa alla parete una lettera autografa dell’avvocato Gianni Agnelli, e poi perché per un appassionato del vino l’incontro con un degustatore professionista è un’esperienza irripetibile. Come non rimanere stupiti dalla brocca d’acqua che fa bella mostra di sé sulla scrivania? Un degustatore professionista si immagina immerso tra bottiglie di vino. Ma Luca Maroni non è come tutti gli altri, se non altro per le cinque parole che aprono il suo curriculum: «Astemio fino a 24 anni». Allora chi è? Lo spiega direttamente l’interpellato: è uno che, avvertendo una profonda passione per il vino, vuole farne partecipi tutti. Per questo ha messo a punto strumenti e metodi per determinarne la qualità e cerca di farli conoscere, perché quanto più gli appassionati sapranno valutarli, tanto più il produttore sarà obbligato a porre sul mercato vini di qualità e di piacevolezza superiore.

Domanda. Come spiega il ritorno di interesse che si è registrato verso il vino soprattutto negli ultimi anni?

Risposta. Semplicemente con il fatto che il vino è stato capace, in questo periodo, di porsi all’attenzione del grande pubblico. A partire dal 1980 in Italia si è verificata una «rivoluzione copernicana» nel settore, si è dismessa la mentalità quantitativa e si è assunto il criterio qualitativo. È stato ripiantato completamente il vigneto Italia, il che ha migliorato la qualità della sostanza indispensabile per ottenere il vino, che per il 100 per cento è l’uva. La qualità di questa è divenuta eccellente e nello stesso tempo sono migliorate le infrastrutture tecniche e tecnologiche per la sua trasformazione in vino, ovvero le cantine. Inoltre l’enologia ha compiuto gli stessi progressi della viticoltura ed è diventata scienza. Quindi, sia per la qualità intrinseca del frutto sia per il miglioramento delle tecniche di trasformazione, il vino, che un tempo era apprezzato solo da una ristretta élite, è ora gradito da un numero molto maggiore di consumatori.

D. Si può dire che è diventato un vero e proprio prodotto di massa?

R. Oggi per capire la qualità del vino non c’è più bisogno dell’intenditore. Migliorato ed emendato da difetti e imperfezioni, è diventato universalmente piacevole. Dal 1980 a oggi, quindi per 25 anni, il miglioramento si è diffuso dal vertice alla base della piramide produttiva. Questa è la ragione per la quale oggi è possibile acquistare un vino italiano universalmente piacevole a un prezzo oscillante tra i 3 e i 5 euro a bottiglia. Quindi è nato un prodotto facilmente commerciabile. Questo si inquadra in una tendenza verso la riqualificazione di tutti i consumi familiari. Fino a ieri l’italiano diceva: «Io bevo bene quando vado a cena fuori», oggi invece può dire «Io consumo quotidianamente un vino di qualità».

D. Quindi il vino rientra, oggi, in quei prodotti di qualità superiore che sono apprezzati, conosciuti e acquistati all’estero come «made in Italy»?

R. Uno dei motivi della straordinaria qualità del vino italiano è che tutte le regioni eccellono nella produzione. Sono pochi gli altri comparti che offrono produzioni eccellenti nei venti ambiti regionali rappresentativi di storia, tradizione e cultura locale. La grande forza del vino italiano consiste nella qualità e nella diversità. Oggi il vino è all’altezza dei mutati e migliorati standard alimentari degli italiani, e perciò è oggetto di attenzione. In tutto questo, poi, esso risplende perché viene pubblicizzato con un’estrema attenzione verso i dettagli, in modo da far comprendere che è una sintesi di storia, di tradizione, di cultura, nonché di tecnica, di natura e di capacità dell’uomo di trasformare un prodotto della natura in un altro privo di difetti. Pensiamo all’aroma del frutto: fino al 1980 la frutta veniva trasformata in succhi che erano riservati a pochi; poi si è trovato il sistema di liofilizzare e successivamente reidratare i prodotti della natura, e si è assistito a un’esplosione dei consumi. Oggi addirittura i profumi e gli shampoo hanno aromi a base di frutta. Il vino invece, per difficoltà tecniche di lavorazione, non riusciva a raggiungere queste caratteristiche; mentre oggi può presentarsi con infiniti profumi.

D. Il merito è dei produttori?

R. È dei produttori perché hanno compiuto grandi investimenti. Rimodernare il vigneto Italia, cioè ripiantare completamente i vigneti secondo criteri qualitativi, ha significato ad esempio passare da una densità media di 1.800 piante per ettaro alle attuali 5 mila. Quindi maggiori costi di impianto ma una qualità del prodotto sensibilmente migliore. Assistiti da finanziamenti europei e regionali, i produttori hanno potuto raggiungere notevoli risultati. Da 15 anni il bilancio del comparto è positivo e registra una crescita di volumi contribuendo concretamente al saldo attivo della bilancia commerciale e in particolare del comparto agroalimentare, che senza l’apporto del vino sarebbe in rosso; grazie a questo apporto, esso chiude invece con un piccolo avanzo.

D. Come è andato il 2005?

R. Nei primi sei mesi, nonostante la situazione economica difficile a causa della sopravvalutazione dell’euro rispetto al dollaro, che rende meno competitive le nostre esportazioni, il comparto ha registrato un aumento del 15 per cento. Il vino ha una straordinaria capacità rispetto agli altri prodotti del made in Italy: è di richiamo, spinge a visitare il luogo di produzione. Se una signora vede un bel vestito di Armani in una boutique di Montreal l’acquista, ma se la sera assaggia una bottiglia di Montepulciano di Abruzzo in un ristorante canadese e rimane entusiasta del gusto di quel vino, non va in enoteca a comprarlo ma si ripromette di visitare il luogo di produzione. Così ha origine il fenomeno del turismo enogastronomico, un comparto straordinariamente importante che rappresenterà sempre più una risorsa per la nostra economia rurale.

D. Come si può favorire questa tendenza?

R. Occorre far conoscere i luoghi in cui vengono prodotti i migliori vini italiani, che poi sono le località rurali più belle del nostro Paese, inserendoli in un sistema di ambienti naturali vitivinicoli. Occorre farli diventare «città d’arte» della vitivinicoltura. Se non vi fosse stata quell’oasi produttiva del vino, le zone verdi del Nord-Est si sarebbero riempite di capannoni. Quindi il vino ha anche il merito di aver mantenuto intatti gli ambienti più belli. Questo è un altro aspetto del vino da promuovere, da illustrare; un valore che i produttori sono stati capaci di far crescere, e i consumatori li apprezzeranno quanto più saranno corretti anche nella commercializzazione del prodotto. Il vino di qualità è aumentato in misura rilevante, ora devono svilupparsi anche i settori della commercializzazione e del marketing.

D. Come migliorare anche il sistema distributivo?

R. La struttura commerciale e distributiva è in via di sviluppo. Si tratta di un impegno notevole ma sono sicuro che, con la stessa dedizione, lo stesso rigore e la stessa determinazione che hanno impiegato per elevare la qualità, i produttori di vino saranno capaci di migliorare anche la distribuzione e la commercializzazione. Quindi siamo in presenza di un quadro ampiamente positivo e di un futuro veramente promettente.

D. Come difendersi dalla concorrenza dei vini prodotti in California o in Australia?

R. Il vino «made in Italy» dovrà necessariamente fare i conti con la concorrenza dei vini d’oltreoceano. Quei produttori contano molto su forme di promozione consistenti, ad esempio, nell’organizzazione di visite collettive alle aziende, ma la natura vince sempre. Che cosa sono le valli della California? Pianure monotone, paesaggi ripetitivi, standardizzati. Cosa presentano, in confronto alla campagna toscana, ai paesaggi vitivinicoli della Sicilia e della Sardegna? Quanto più crescerà il turismo enogastronomico, tanto più prevarrà l’inimitabile bellezza delle località italiane. Anche i francesi, maestri nel marketing, devono cedere dinanzi alla bellezza e alla varietà del paesaggio viticolo italiano. In questo campo l’ampliamento del mercato valorizza e fa crescere la domanda, ma la risposta è sempre più limitata ed esclusiva.

D. Non crede che occorra fare qualcosa per attrarre questa domanda generalizzata?

R. Credo che lo sforzo da fare sia quello diretto a migliorare le strutture ricettive. Perché oggi l’azienda vitivinicola in Italia è come una cattedrale nel deserto. Per richiamare il turismo di qualità occorrono standard eccellenti non solo nella cantina del produttore, ma anche nell’albergo di riferimento. Occorre far capire quanto sia prioritario l’investimento diretto ad elevare gli standard ricettivi richiesti dal turista di qualità. Occorre formare le maestranze italiane; per aumentare il fatturato di un’azienda turistica è determinante il livello di qualità, di cortesia e di competenza nel servizio dell’operatore.

D. Che cosa è Itaste?

R. È la mia cantina, o meglio una banca dati. È un programma informatico che ho sviluppato, insieme al mio collaboratore Giovanni Bottoni, per consentire a chi ha passione del vino di gestire in modo personalissimo la propria cantina e i propri assaggi. Con Itaste l’appassionato può connettersi al mio portale Sense online e verificare i risultati dei propri assaggi; ad oggi è costituito da 200 mila pagine web. Senza computer è impensabile gestire libri di 2 mila pagine e con 200 di indici, come quelli che scrivo io. «Quattroruote», ad esempio, è diventato il giornale di riferimento per la valutazione delle auto usate; io ho pensato che un domani il vino sarà considerato un oggetto di passione. Quindi ho applicato ad esso una gestione informatica. I dati di 20 mila assaggi non possono essere gestiti se non con un data base appositamente sviluppato.

D. Secondo il suo giudizio, un vino costoso è automaticamente anche migliore?

R. Il risultato di tutta l’attività del produttore è concentrato nella qualità di un bicchiere di vino, che è sottoposta al giudizio di tutti i consumatori del mondo. Come in tutti i prodotti in generale e in particolare in quelli alimentari, la qualità viene valutata attraverso i sensi. A me interessava sviluppare un metodo che consentisse ai consumatori di giudicare liberi da ogni specie di condizionamento, ma per essere tali occorre poter valutare, con un sistema scientificamente valido, la qualità del prodotto in oggetto. Ebbene, le caratteristiche del vino che tutti i consumatori possono controllare sono essenzialmente tre: la consistenza, l’equilibrio e l’integrità.

D. Che cosa indicano e come si giudicano?

R. Questi tre parametri sono misurabili attraverso i sensi. La consistenza indica se un vino è più o meno acquoso, l’equilibrio si misura dal sapore, l’integrità esiste se mancano cinque difetti: ossia se il vino non è sulfureo, lattoso, svanito, legnoso, acetoso. Si tratta di difetti derivanti dal processo di trasformazione. Quanto più un vino è consistente, equilibrato e privo di difetti, tanto più la sua qualità è alta e il sapore è piacevole e universalmente valido.

D. Non crede che in alcuni casi si sopravvaluti un vino?

R. Esistono valori di mercato e valori sostanziali. Inoltre c’è un vino per ciascun gusto e un vino per ciascuna tasca. Per cui possiamo imbatterci in prodotti che, avendo costituito la pietra angolare del rinascimento enologico italiano, hanno avuto modo di apprezzarsi più di altri, e magari più all’estero che in Italia. Quelli che hanno raggiunto per primi i vertici della qualità sono oggetto di una domanda, specie internazionale, molto sostenuta. Queste, del resto, sono le leggi naturali della domanda e dell’offerta.

Tags: agricoltura made in italy vino Giosetta Ciuffa aziende agricole food anno 2006 Luca Maroni

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