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ROSABIANCA CALTAGIRONE: T9, LA TV CHE RACCONTA LA VITA DELLA GENTE COMUNE

Rosabianca Caltagirone accoglie con familiare gentilezza gli ospiti nel proprio ufficio nella sede di T9, la televisione di famiglia, non senza aver fatto compiere prima al visitatore un accurato giro delle redazioni, degli ambienti di regia e degli studi dove ogni giorno si pensano e si preparano i notiziari e da dove si trasmettono i programmi di questa storica rete del Centro Italia. La sua stanza, in un’ala appartata dell’edificio a tre piani di Via Salaria, sembra curata con l’intento di essere più funzionale che di rappresentanza, quasi a rimarcare la schiva e volutamente semplice personalità di chi vi lavora. Presidente in carica di T9, Rosabianca De Filippi in Caltagirone assunse questo impegno professionale quasi per caso e lo scelse per amore della famiglia, come racconta in questa intervista. Rilevata dal Gruppo Caltagirone nel 1995, l’emittente è stata trasformata in pochi anni fra le più seguite emittenti nell’intero Lazio e nell’Umbria, con risultati lusinghieri. L’anno scorso T9 ha ricevuto un encomio dal presidente della Repubblica per un approfondimento sul rapimento di Aldo Moro. L’altra grande passione di Rosabianca è la famiglia: è moglie di Edoardo Caltagirone, capo di un variegato insieme di società che spaziano in settori diversi, dall’edilizia alla comunicazione, ed è madre di Elisabetta, Francesco e Marco Valerio, tutti e tre impegnati nelle società del Gruppo. Parlando di sé dice: «Sono una persona vivace, allegra e amo la vita. Ho vissuto molto all’estero e sono enormemente curiosa». Tra le passioni che coltiva figurano la pittura della porcellana e l’arte, con una predilezione per la pittura del ‘500. «Questa propensione per l’arte mi ha facilitato l’ingresso nel mondo della televisione», spiega.

Domanda. Cosa ricorda del suo ingresso nel mondo della tv?
Risposta. Ho cominciato quasi per caso. Quando, nel 1995, mio marito rilevò la storica Teleregione, mi fu chiesto di curare un programma che già esisteva, di nome «Pandora», che divenne presto la trasmissione di punta della nuova T9, insieme ai programmi informativi e sportivi tra cui «Goal di notte» a cura di Michele Plastino, che festeggia quest’anno 30 anni di trasmissione. Allora la nostra sede era proprio di fronte agli edifici della Regione Lazio, nel quartiere Garbatella. L’allora proprietario aveva ricavato gli ambienti della televisione da una sala di proiezione cinematografica ed aveva strutturato gli uffici proprio sopra la sala di proiezione. Fu l’inizio di un’avventura che mi avrebbe coinvolta interamente.

D. Quali furono gli esordi di T9?
R. La televisione era vista sia nel Lazio che in Umbria, anche se quest’ultima regione era trascurata. L’obiettivo che ci eravamo posti, fin dall’inizio, era di realizzare programmi per la gente, sotto forma di informazione, di intrattenimento, di compagnia per le persone a casa. Introducemmo subito trasmissioni dirette ad attuare la nostra idea di una televisione socialmente utile e cominciammo ad invitare varie personalità di allora, per poterla rilanciare. Alcuni esempi possono essere i programmi sportivi come «Goal di notte» a cura di Michele Plastino e «La signora in giallo rosso» a cura di Massimo Ruggeri, con i quali si sono date vere e proprie lezioni di giornalismo televisivo sportivo.

D. Qual era allora e qual è il suo modello di televisione?
R. Il modello che avevo in mente era molto vicino alla T9 di oggi. Non amo per principio l’imbroglio e la finzione. Mi piace raccontare i fatti della realtà, così come sono. Naturalmente, se sono molto crudi cerchiamo di addolcirli, perché non possiamo aggiungere angoscia a un mondo già angosciato di suo. La televisione che abbiamo provato a fare è quella della gente comune, che cerca di capire la propria vita quotidiana. Se io dovessi realizzare un programma tv, anziché puntare su rubriche di intrattenimento e coinvolgere personaggi costruiti dalla televisione, inviterei la persona comune e le chiederei: «Come fa ad arrivare alla fine del mese, con i figli che vanno a scuola e che vanno vestiti e nutriti?». Questa è la televisione che mi piace e che cerchiamo di fare tutti i giorni. Realizziamo programmi improntati alla chiarezza, raccontando i fatti in modo semplice, anche se per realizzarli occorrono ore e ore di ricerca e di lavoro. Possibilmente alla portata di tutti, facendo capire ai telespettatori cosa conta veramente. Questa è la forma con la quale raccontiamo i fatti, cercando nella vita di tutti i giorni argomenti che facciano riflettere, non in modo pedante e ricorrente, ma spontaneo ed efficace. Vorremo arrivare ad essere, in questo, un punto di riferimento.

D. Come può definirsi oggi T9?
R. Una televisione composta da circa 40 persone, per lo più giovani, tra redattori, tecnici e registi. Abbiamo una nostra concessionaria di pubblicità, che si chiama Pubbliroma, e facciamo parte del Gruppo Caltagirone Communications, nel quale rientrano anche Teleroma 56, TeleradioStereo, TeleradioStereo 2 e due giornali di Milano. Abbiamo creato una vera e propria redazione, grazie anche all’aiuto e alla collaborazione del direttore Gaetano Pedullà già direttore de «Il Tempo».

D. Quale tipo di programmazione ha la sua emittente?
R. Ha programmi di informazione giornalistica, sportiva, di intrattenimento e di approfondimento. Lavoriamo per far dire alla gente: «Ecco finalmente qualcosa di chiaro», oppure «A questo non ci avevo pensato». Lo stile che vuole mantenere T9 è attrarre l’attenzione con argomenti interessanti, senza la presenza di ballerine, corpi nudi e gossip vari.

D. Quali sono i programmi informativi di punta?
R. Oltre all’informazione e ai notiziari, un programma che mi piace molto è «Scanner». Si tratta di una rubrica di approfondimento, nella quale si analizzano vari argomenti sotto vari profili, per rappresentare la realtà dei temi trattati, in modo che il pubblico possa prendere coscienza di alcuni fatti che riguardano la vita comune di noi tutti, come ad esempio l’acqua che beviamo, un fatto storico, le questioni etiche o le novità culturali. Un altro programma di approfondimento interessante è «Nove di sera», che tratta di avvenimenti politici e di attualità della vita del nostro Paese, condotto dal direttore del Tg Gaetano Pedullà.

D. E per quanto riguarda i programmi di intrattenimento?
R. Ne abbiamo vari, soprattutto in ambito sportivo: in «Battito giallorosso» si parla della Roma in modo diverso, dal punto di vista dei giovani e delle donne; l’argomento non è l’azione di un determinato calciatore, ma l’interesse della massa giovanile che la squadra di calcio suscita, l’aspetto umano che è fuori e dentro la squadra. Poi c’è «Tutti nel pallone!», un programma che vede politici romanisti e laziali ad ogni livello, dai parlamentari ai consiglieri comunali, discutere e a volte litigare sui fatti calcistici. Presentano la trasmissione l’avvocato Carlo Taormina e il direttore della radio Marco Fabriani. Oltre allo sport, abbiamo un programma destinato ai nuovi talenti della televisione che si chiama «Avanti tutti» ed è condotto da Gegia. In questo programma gli allievi della scuola di cabaret dell’attrice comica si confrontano con persone comuni che credono di avere doti artistiche, comici, cantanti, attori, musicisti ecc. Più che «La Corrida», l’impianto della trasmissione ricorda un po’ alcune trasmissioni di Renzo Arbore come «Indietro tutta».

D. Avete anche delle trasmissioni di servizio?
R. Sì. Da due anni, ogni mercoledì, l’avvocato Roberto Ruggiero, che di recente è comparso nella «Vita in diretta» facendo impennare lo share del 7 per cento in un quarto d’ora di intervento, conduce una trasmissione in cui parla di un caso giudiziario o di cronaca partendo da un punto di vista molto interessante. Gli argomenti possono essere vari, come ad esempio l’operato di un magistrato in un delitto degli anni 70, o il caso del rumeno che, implicato in un delitto, si scopre innocente; oppure il modo con cui vengono condotte oggi le indagini. È un modo di fare televisione che persegue, se non la verità che può essere raccontata in mille modi diversi, quantomeno l’obiettività dei fatti.

D. Può parlare dell’encomio ricevuto dal Capo dello Stato?
R. È stato determinato da una puntata di «Scanner» trasmessa l’anno scorso, nella quale si rievocava il giorno del sequestro dell’onorevole Aldo Moro. Credo che quell’inchiesta abbia avuto l’encomio perché in un modo semplice siamo stati in grado di fornire una versione fuori dal comune, realistica e minuziosa. Le riprese erano state fatte nell’appartamento in cui Moro era stato tenuto prigioniero. Non abbiamo rincorso lo scoop, abbiamo raccontato la storia in modo chiaro, ricostruendo retroscena che in realtà erano noti da anni, ma che nessun editore televisivo, anche grande, aveva raccontato prima. Credo che questo sia dipeso anche dal fatto che ci siamo mossi liberamente rispetto ad altri editori che avevano più mezzi. È il vantaggio di essere editori puri.

D. Cosa manca nella televisione e che invece dovrebbe esservi?
R. Mi piacerebbe che tenesse compagnia alle persone, contribuendo a farle crescere. Il contrario di una televisione che, in generale, ha contribuito a costruire una realtà più volgare e futile. Mi piacerebbe una televisione che sappia mantenere i toni bassi, pur raccontando le cose. Oggi sembra non poter fare a meno di urlare, di irritare, di far scandalo. Si cerca l’ospite che crea la baruffa. In questo le tv tendono ad imitarsi, senza cercare una propria identità che riesca a trasmettere al pubblico ciò che in fondo è la realtà, senza urla né scandali, solo analizzando i fatti.

D. Quale impegno personale le ha comportato fare televisione?
R. Fare televisione non è né facile né difficile se si ha una squadra unita, fatta di persone libere di poter parlare e di poter esprimere la loro creatività. Una volta analizzate e avviate le iniziative, vi è comunque bisogno di una presenza costante affinché le linee guida siano rispettate.

D. Come editore com’è Rosabianca Caltagirone?
R. Credo di essere un punto di riferimento per i miei dipendenti, e loro sono felici di avere un editore che prova a dare calore umano, anche se debbo ammettere di essere più severa come persona che come presidente. Devo anche dire che questo lavoro mi ha in parte cambiata: una volta, mi piaceva stare molto più da sola, mentre in questo mondo c’è un rapporto continuo con gli altri.

D. Vede nuove opportunità nel passaggio al digitale?
R. Me lo auguro. Il passaggio dal sistema analogico a quello digitale può determinare un salto nella programmazione. Nella fibra ottica possono transitare molti più programmi consentendo di realizzare una televisione più selettiva e quindi più vicino al pubblico, con ogni canale dedicato a un argomento specifico, ad esempio all’informazione sportiva o ai documentari. Questa è la strada che tutte le televisioni saranno costrette ad intraprendere.

D. Quali sono le difficoltà di una televisione commerciale?
R. Le difficoltà possono essere diverse anche se una tv commerciale è tenuta a trasmettere programmi in qualche modo appetibili per i committenti di pubblicità. Molte volte la qualità scade e il programma deve essere rivisto per permettere al messaggio promozionale di arrivare il più lontano possibile. Il rapporto tra programmi e pubblicità deve essere ben mirato. In una trasmissione come «Abs», che si occupa di motori e auto, inseriamo solo pubblicità relativa a quel settore. Mettendovi un po’ di tutto si distorce il carattere del programma, si inserisce in esso qualche elemento che attira l’attenzione di un pubblico eterogeneo ma che va a scapito dei contenuti.

D. Che tipo di infomazione si può dare in una rete commerciale?
R. A volte vedo una rincorsa, in particolare da parte dei giornalisti, a mettersi in primo piano anche quando non è necessario, a rincorrere l’audience cui, tra l’altro, io non credo molto. Se si lavora in una televisione commerciale, si sa che i committenti di pubblicità puntano sui programmi, per cui è necessario preparare accuratamente i loro contenuti.

D. Quale televisione condanna?
R. Quella che vedo in giro, in generale non mi piace perché è finzione. I «reality» sono la dimostrazione lampante di una televisione che falsa la realtà. Conoscendo i meccanismi della televisione, mi rendo conto che i protagonisti di questo genere ormai sono “imbeccati” per dire certe cose. Non c’è spontaneità. E poi, se non c’è una parolaccia o un pettegolezzo si ha paura di essere noiosi. Cercano di fare sempre qualcosa che non rappresenta la vita quotidiana. È una televisione lontana dalla vita reale, quotidiana, perché questa è fatta anche di monotonia.

D. E qual è quella che le piace?
R. Sono, in generale, un’amante della vecchia televisione, nella quale l’intrattenimento era costruito con intelligenza e vi era cultura, anche se oggi vi sono comunque delle trasmissioni che hanno un loro gusto. Adoro, ad esempio, Licia Colò che, con «Alle falde del Kilimangiaro», ci porta con stile fuori dal nostro piccolo grande Paese; mi piace «Voyager», il programma di Piero Angela e di suo figlio, che in modo semplice racconta la storia, la natura, la preistoria. Ovviamente indico preferenze e gusti personali, non intendo dare lezioni di televisione a nessuno.

D. Che cosa comporta lavorare in famiglia?
R. Siamo una famiglia poliedrica, curiamo i nostri ruoli secondo il momento. Chi è impegnato in un settore si preoccupa anche di aiutare gli altri. I miei figli hanno deciso di lavorare nelle società di famiglia e devo dire che c’è un ottimo rapporto, armonia e collaborazione. Hanno un padre, nonché un maestro, eccezionale. La vera grande intelligenza è lui. Ci insegna ogni giorno, con un po’ di durezza e con molta dolcezza, ad andare avanti.

Tags: televisione maggio 2009

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