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GIAMPIERO CANTONI: DIFESA ED ECONOMIA, PER VIGILARE BISOGNA RIDEFINIRE LE REGOLE

Per indicare la professione svolta, a Giampiero Cantoni non basterebbero pagine. 21 righe occupa la biografia nella seconda copertina del suo volume del 2008 «La bolla», dedicato ai titoli avvelenati «impasto del cinismo di alcuni banchieri e finanzieri che hanno inteso la ricchezza come un’accumulazione di castelli di carta» provocando la crisi dell’economia globale. Stessa lunghezza nell’ultimo volume del 2009, «Le banche e la crisi», con il sottotitolo «Storia, etica, problemi, soluzioni», che rende l’ampio respiro dell’opera. Ma soprattutto, con quale titolo si potrebbe definire la sua molteplice attività? Senz’altro senatore, perché attualmente è presidente della commissione Difesa del Senato, dopo essere stato vicepresidente del Gruppo Forza Italia al Senato, vicepresidente della commissione Finanze e Tesoro, membro dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e dell’assemblea interparlamentare della Sicurezza e della Difesa dell’Unione dell’Europa occidentale: questa in breve l’attività politica. Come esperto di economia e di banca, ha presieduto tra le più importanti istituzioni del settore come Istituto Bancario Italiano, Efibanca, il gruppo Banca Nazionale del Lavoro, dopo essere stato vicepresidente del Mediocredito Centrale. Alla dozzina di volumi di economia, finanza ed etica di mercato in catalogo si possono aggiungere le collaborazioni giornalistiche con rubriche su settimanali e quotidiani nazionali. Ma tra i numerosi e significativi impegni pubblici, quelli cui forse il professor Cantoni tiene di più sono i vari incarichi di docenza in Economia degli intermediari finanziari ed Economia internazionale presso la Bocconi, oltre che il ruolo di visiting professor presso altre prestigiose Università italiane. Sposato con Emilia Capponi ha due figli, Alessandro e Luca Ambrogio, che lo affiancano nella conduzione dell’azienda di famiglia, un gruppo industriale che produce motori elettrici: perché Giampiero Cantoni è anche imprenditore.

Domanda. Il 19 marzo scorso la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato la deliberazione che istituisce una commissione parlamentare di inchiesta su casi di morte e gravi malattie contratte durante le missioni italiane all’estero. Da quali vicende e situazioni nasce l’istituzione di questa commissione? E quali tempi di lavoro avrà?

Risposta. La commissione d’inchiesta è nata da un lavoro estremamente accurato svolto dalla commissione Difesa del Senato che ha analizzato varie proposte istitutive presentate da senatori di maggioranza e di opposizione, accomunate dalla volontà di approfondire numerosi profili relativi al rischio sanitario del personale militare, allo scopo di fornire una risposta chiara ed equa ai militari vittime di gravi patologie connesse allo svolgimento del servizio. Rispetto alle commissioni parlamentari di inchiesta delle scorse legislature, che hanno incentrato le proprie indagini sul ruolo dell’uranio impoverito nell’insorgenza dei casi di morte e gravi malattie registrati fra il personale impegnato nelle missioni militari all’estero, la commissione da noi istituita considera un più ampio novero di fattori di rischio per la salute, quali ad esempio la somministrazione dei vaccini, o la presenza in ambito militare dell’amianto e del gas radon, anche al fine di promuovere l’affermazione di condizioni di maggiore sicurezza per il personale delle Forze Armate e per la stessa popolazione civile residente nelle aree del territorio nazionale adiacente alle basi militari. Per quanto riguarda i tempi di lavoro ci è sembrato congruo prevedere per la commissione una durata di due anni.

D. Quanti sono i militari attualmente impegnati in missioni all’estero e in quali Paesi o aree geografiche?

R. Il totale del personale militare italiano all’estero è di 9.295 unità, impegnati in 33 missioni in 21 Paesi, oltre a 2 aree geografiche. Il contingente più numeroso è in Afghanistan, con la presenza di 3.300 militari complessivamente nelle missioni Isaf ed Eupol Afghanistan. Secondo Paese di maggiore impegno numerico è il Libano, con la missione Unifil costituita da 1.900 unità, compresa la componente navale. Seguono i Balcani con 1.399 unità complessivamente, suddivise tra Kosovo, Bosnia, Albania e impegnate nella Nato Joint Enterprise, nell’Eulex Kosovo e nel Nato Security Force Training Plan. Ad Haiti nella missione White Crane sono impegnati 896 militari e 130 nella Minustah. Significativi contingenti svolgono attività in mare, come quelle Nato nel Mediterraneo che complessivamente impiegano 484 militari e quelli impegnati nelle operazioni antipirateria nelle acque somale, 482 uomini componenti delle missioni Atalanta-UE e Ocean Shield della Nato. Queste le missioni con maggiore consistenza numerica.

D. Quali le minori?

R. Non sono di minore importanza quelle che coinvolgono un numero minore di militari, come per esempio i 78 impegnati in Iraq nelle attività di consulenza, formazione e addestramento delle forze locali, oltre ai 7 della cooperazione navale. Oppure i 78 militari della Multinational Force and Observers in Egitto, i 35 della Miatm impegnati nella missione italiana di assistenza tecnico-militare a Malta, come i 12 della Temporary International Presence in Hebron, i 125 dell’E.A.U del Bahrein e di Tampa negli Usa per esigenze connesse con le missioni in Afghanistan e Iraq. Così come i 4 ciascuno della Mission for the Referendum in Western Sahara in Marocco, della Eupol RD Congo, della UN Peacekeeping Force in Cyprus. È un insieme di missioni nelle aree più delicate del pianeta, impegnate ad affrontare situazioni diverse, complesse, per difficoltà locali, con interessi intrecciati, contrapposti, oltre alle problematiche provocate dal territorio e non di rado da nemici occulti, invisibili.

D. È importante il numero dei componenti impegnati?

R. In questo quadro inedito e sotto certi aspetti imprevisto, possiamo dire che non è significativo il numero di personale impegnato in ciascuna missione, ma le grandi capacità operative che vengono dimostrate dai nostri militari in ogni aspetto dell’attività quotidiana, per la delicatezza sociale, politica, educativa, di addestramento di forze di polizia locali, di soccorso sanitario in ogni evenienza. Non bisogna dimenticare che la maggior parte delle aree in cui sono impegnate le nostre missioni sono costituite da territori non facili, dove incidenti o attentati sono possibili in ogni momento. Autorità e popolazione locale riconoscono al nostro personale militare, uomini o donne di ogni grado, la capacità di sapere affrontare e risolvere ogni situazione con grande professionalità e grande senso di umanità. Possiamo essere fieri del comportamento dei nostri militari, uomini e donne, semplici graduati e ufficiali, eccellente sotto tutti i profili.

D. Queste riconosciute qualità dei nostri militari nell’adempimento dei compiti loro assegnati nelle missioni in territori e aree geografiche difficili può comportare come effetto indiretto un risultato positivo per la nostra economia con la facilitazione in un prossimo futuro di scambi commerciali, la creazione di nostre industrie in loco, l’acquisizione di materie prime?

R. Non intendo sminuire le grandi capacità di tutto il personale della Farnesina di ogni ordine e grado, ma non posso non dire che i nostri primi e migliori ambasciatori nelle aree delle loro missioni siano i nostri militari.

D. È una risposta a quanti invocano una riduzione delle spese militari, particolarmente in questo periodo di crisi economico-finanziaria che impone sacrifici significativi, citando l’annuncio di Angela Merkel della riduzione di 8 miliardi di euro in 3 anni alla Difesa?

R. L’organico delle nostre Forze Armate oggi è di circa 300 mila unità. Il nuovo modello di difesa prevede per l’Esercito 112 mila unità, per la Marina 34 mila e per l’Aeronautica 44 mila. Più numerosa l’Arma dei Carabinieri che svolge contemporaneamente compiti di Forza Armata e di Polizia nel territorio nazionale e all’estero. Oggi l’Italia è tra i Paesi europei che spendono meno per la Difesa, con lo 0,9 per cento del prodotto interno contro il 2 per cento della Gran Bretagna, l’1,6 della Francia e l’1,3 della Germania.

D. L’organico è sovradimensionato?

R. No, rispetto alle esigenze di impiego sia come componenti che come armamenti. Sono numerose le componenti che occorre conoscere in dettaglio prima di avanzare proposte di ordine politico più che tecnico. Un particolare da tenere presente riguarda per esempio anche le regioni di origine della gran parte dei nostri militari. Le Forze armate, per molti giovani soprattutto nel Sud, rappresentano la principale, se non l’unica occasione di lavoro. E tutti al termine del periodo di impegno militare tornano nella vita civile avendo acquisito una specializzazione che apre loro occasioni di lavoro. Questo è solo uno degli aspetti che non devono essere ignorati quando si propone di ridurre organici e spese della Difesa.

D. Alcune parti politiche chiedono al ministro della Difesa Ignazio La Russa di farsi promotore di una sessione del Parlamento perché venga discusso al più presto il modello di Difesa italiano, con l’obiettivo di ottenere maggiore efficienza e minori costi. È giusto?

R. La discussione sul modello di difesa è in corso da tempo e non occorre coinvolgere il ministro La Russa, eccellente ministro della Difesa, perché ciò avvenga. Le esigenze di una forza militare cambiano di frequente, in base a vari elementi: le esigenze delle aree e delle modalità di impiego, le nuove tecnologie e i nuovi armamenti, le conseguenti necessità di adeguare modalità di pianificazione e di intervento di un’azione. Per esempio, attualmente si sta sviluppando maggiormente l’impiego di droni, gli aerei da ricognizione e da attacco senza piloti. Questo esige tecnologie a terra per guidarli con personale particolarmente addestrato. Anche negli attacchi a terra si stanno sperimentando l’uso di robot e altre innovazioni possibili. Ciò comporta profonde revisioni del modello di difesa non solo italiano, ma almeno a livello europeo. Sotto questo aspetto è bene ricordare che il primo progetto di unità politica europea era la Comunità europea di difesa che non venne realizzata per difficoltà avanzate dalla Francia, e fu sostituita nel 1954 con la Comunità europea di carbone e acciaio. Sono passati da allora 56 anni, è caduto il muro di Berlino, la Francia è rientrata nel comando della Nato. Oggi molte esigenze dei singoli Paesi, dell’Europa, del mondo occidentale nel complesso sono cambiate. Sono cambiate le motivazioni, gli strumenti e le aree di possibili interventi militari. Di questo bisogna prendere atto e non avanzare proposte fuori del tempo.

D. La quarta Forza Armata è costituita dall’Arma dei Carabinieri. Ha suscitato interrogativi la sentenza che nel luglio scorso ha condannato a 14 anni di carcere il comandante del ROS, Reparto operazioni speciali dei Carabinieri, generale Giampaolo Ganzer, per le modalità e i tempi in cui ha condotto una complessa operazione nei confronti di cosche mafiose, impegnando 3 mila uomini, e conclusa con 304 fermi in tutta Italia. Una condanna preceduta da quelle nei confronti di altri alti ufficiali dell’Arma che, per esempio le cosiddette operazioni coperte, hanno portato all’arresto di famosi e imprendibili capi mafia come Totò Riina. Qual è il suo giudizio?

R, Le mani sono pulite quando sono tenute in tasca. E chi le tiene in tasca non mi piace molto perché non opera. Posso dire solo questo.

D. Lei è anche docente di Economia internazionale, è stato alla guida di istituti bancari ed è imprenditore. Relativamente alla crisi finanziaria, economica e industriale, qual è la situazione attuale e quali le prospettive del futuro, in particolare del nostro Paese?

R. La crisi economica degli ultimi anni è espressione della complessità dei nostri tempi. Gli strumenti finanziari che hanno innescato il collasso dei mercati appartengono più all’alta matematica che alla finanza tradizionale. La velocità di trasmissione della crisi dalle Borse al sistema economico reale è espressione di quel processo di globalizzazione di cui si parla incessantemente da circa 20 anni. Detto questo non si può non notare come l’attuale ciclo negativo sia per certi versi analogo alla grande depressione del 1929: una crisi del sistema finanziario-speculativo che si traduce in una crisi economica e industriale tradizionale, colpendo soprattutto settori caratterizzati da un’evidente sovrapproduzione: allora il nascente settore automobilistico, oggi ad esempio quello dell’edilizia e delle costruzioni. La fase attuale della crisi è invece peculiare, rispetto agli anni 30. Allora il livello medio della spesa pubblica era relativamente basso, tra il 20 e il 30 per cento del prodotto interno, e ciò lasciava margini all’intervento dello Stato a sostegno del sistema economico; oggi il livello medio si attesta, soprattutto in Europa, intorno al 50 per cento del prodotto interno. Le misure finanziarie di sostegno alle banche e all’economia in genere hanno quindi un minor margine di manovra e hanno inciso, insieme a un generalizzato calo delle entrate tributarie, in modo profondamente negativo sullo stato delle finanze pubbliche statali, determinando quasi ovunque un netto peggioramento del deficit e del debito.

D. Con quali conseguenze?

R. In questo modo la crisi si è trasmessa dal settore privato a quello pubblico, esplodendo in alcuni dei suoi punti più deboli come la Grecia. Fare prospettive sul futuro, anche prossimo, non è facile e si rischia di essere clamorosamente smentiti. Quello che si può notare è che la maggior parte degli indicatori pro-ciclici del sistema industriale, come gli investimenti o la riduzione delle scorte, tendono al positivo, così come le aspettative degli operatori economici nei grandi Paesi. L’Italia rientra in questo quadro con alcuni elementi ulteriori che fanno bene sperare: la capacità del Governo di muoversi con il necessario tempismo nell’affrontare la crisi e il basso indebitamento complessivo delle famiglie e delle imprese italiane.

D. Qual è la sua valutazione dei provvedimenti e delle misure adottate dal nostro Governo? Quali misure potrebbero avere una maggiore efficacia? E quali comportamenti delle forze politiche di opposizione, dei sindacati nei riguardi della crisi? Ha critiche o approvazioni da avanzare?

R. Ritengo che l’aspetto maggiormente positivo del modo in cui il Governo italiano ha affrontato la crisi sia la serietà. Nessuno nell’Esecutivo e nei partiti che costituiscono la maggioranza parlamentare ha mai, fin dall’inizio, sottovalutato la portata negativa dell’attuale momento storico. Anzi il Governo italiano si è fatto promotore di una serie di iniziative a livello europeo e di G20 per affrontare globalmente le ragioni più profonde del disastro finanziario. Nello stesso tempo si è attuata una politica di rigore dei conti pubblici fin dalla manovra del 2008 che ha permesso all’Italia di non essere in prima fila nelle turbolenze che stanno colpendo gli Stati e nel loro debito pubblico. Al di là del Governo, mi sembra che il Paese in questa fase stia tenendo in modo complessivamente migliore rispetto ad altri, come la Spagna, negli ultimi tempi più pubblicizzati.

D. La sua previsione dei tempi di soluzione di questo stato di crisi?

R. Come ho detto, è meglio non fare previsioni. Meglio analizzare con attenzione i dati economici e le previsioni sull’andamento del prodotto interno nei vari Paesi. Tutti questi dati parlano del 2010-2011 come degli anni di uscita dalla crisi.

D. È opportuno aggiungere una considerazione sull’etica dei comportamenti di istituzioni, stampa, collettività. Quali le sue considerazioni?

R. Più che di etica, che è comunque importante, direi che questa crisi ci pone la necessità impellente di ridefinire le regole ed i controlli del sistema economico-finanziario. Una regolamentazione adeguata, moderna ed efficace, e ovviamente non penalizzante, è parte integrante di qualsiasi sistema capitalistico, non la sua negazione. Lo stesso Luigi Einaudi ricordava, con una metafora, che qualunque fiera di campagna accanto ai venditori e ai compratori richiede anche qualcos’altro: la coppia dei Carabinieri che vigila sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere i litiganti e tutte quelle istituzioni che permettono il regolare e lecito svolgersi dei commerci. Per dirla in termini moderni, adeguati controlli sui mercati finanziari, sulle società di rating, su quei comportamenti speculativi che spesso si trasformano in vere e proprie truffe collettive.

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