Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

  • Home
  • Interviste
  • STEFANO DOLCETTA (FIAMM): IN FUTURO L’AUTO SARà IBRIDA ED ELETTRICA

STEFANO DOLCETTA (FIAMM): IN FUTURO L’AUTO SARà IBRIDA ED ELETTRICA

Stefano Dolcetta, amministratore delegato di Fiamm

Nato a Vicenza, dopo la laurea in Economia e Commercio, Stefano Dolcetta frequentò un master del Cuoa, il Centro Universitario di Organizzazione Aziendale di Altavilla Vicentina, presso Vicenza. Il suo primo lavoro l’ebbe alla Fiamm Spa, società molto conosciuta nel mondo dell’automobile, e non solo, per la produzione di batterie in generale, divenendone poi amministratore delegato. È presidente e amministratore delegato di Dicra Spa e consigliere del Cobat, il Consorzio per la raccolta delle batterie esauste. Attualmente è vicepresidente di Confindustria per le Relazioni Industriali, incarico assunto arrivando da esperienze come presidente della Sezione Meccanica e Metallurgica di Confindustria Vicenza e vicepresidente di Federmeccanica. In questa intervista Stefano Dolcetta illustra i problemi del proprio settore, particolarmente toccato dalla maggiore riflessività e prudenza cui la crisi economica in atto ha indotto famiglie e imprese, solite negli anni trascorsi cambiare l’automobile più frequentemente di oggi.
Domanda. Può fare il punto sulla situazione del mercato e della vostra produzione, dovuta alla crisi economica?
Risposta. Oggi il mondo industriale si divide tra le aziende che vivono sul mercato interno e che sono fortemente in crisi per il calo della domanda e per i problemi che incontrano per incassare i pagamenti, e le imprese che esportano beneficiando dell’espansione economica in atto in altre aree del pianeta, come gli Stati Uniti e l’Asia. Questo secondo tipo di imprese, soprattutto quelle che presidiano meglio i mercati, riescono ad affrontare le difficoltà, e in Italia sono ancora numerose. Così come le aziende che investono in prodotti innovativi nei mercati in sviluppo e che sono attratti dalle nuove tecnologie. Ma le aziende che operano solo in Italia e che vendono prodotti «maturi», ossia tradizionali, faticano ad andare avanti, anche indipendentemente dalla crisi, che comunque ne accentua i problemi. Oggi è indispensabile innovare non solo i prodotti, ma i mercati in cui si va ad operare.
 D. I vari mercati presentano esigenze e domande spesso molto diverse; vanno quindi diversificati anche i prodotti che gli vengono offerti?
 R. In generale le aziende presenti nei vari mercati, come l’India o la Cina, sarebbero in grado di offrire prodotti tradizionali adatti alle richieste locali, ma devono affrontare la forte concorrenza dei produttori locali. Per cui, per vendere prodotti europei in un Paese asiatico, è necessario che questi siano al top per qualità e tecnologia, che siano cioè più avanzati.
 D. Per problemi di avanzamento tecnologico o di costi economici?
R. Al di là del costo di produzione che certamente può essere più alto in Europa, sono la qualità del prodotto e l’evoluzione tecnologica che determinano le vendite. Un prodotto destinato al mercato indiano è solitamente di minore qualità; lo stesso è per un prodotto destinato alla Cina, anche se in questi Paesi i consumatori ultimamente sono diventati più esigenti. Tuttavia il prodotto offerto deve mantenere standard qualitativi inferiori perché in quei Paesi il prezzo domina ancora nelle scelte dei consumatori. I cinesi sono un miliardo e 300 milioni, ma solo 300 milioni vivono in condizioni economiche discrete, gli altri sono ancora poveri. Esiste pertanto una domanda di prodotti di qualità, tecnologicamente avanzati, e una di prodotti di livello inferiore. Non possiamo competere in questa seconda fascia. Un prodotto realizzato in Cina per il mercato cinese non è esportabile in Europa, non supera i test di sicurezza da noi previsti. Il mercato europeo è protetto, vi vigono norme di sicurezza che devono essere rispettate, e non tutti i prodotti fabbricati in Cina sono in grado di superarle. Attualmente in Italia giungono sempre meno prodotti cinesi del settore auto e moto, perché non sono in grado di soddisfare le severe condizioni poste dall’Unione Europea.
D. A che punto è la ricerca in prodotti tecnologicamente avanzati del vostro settore?
R. La Fiamm ha prodotti cosiddetti «storici», che sono le classiche batterie di avviamento per auto, le batterie stazionarie e le trombe. Abbiamo investito per lo sviluppo tecnologico delle batterie di avviamento per vetture «Stop& Start», alle quali si richiedono prestazioni decisamente superiori. Abbiamo lanciato la tromba elettronica per i mercati in cui il suo uso è molto superiore, come India e Cina; una tromba elettromagnetica non sarebbe in grado di superare tutti questi «stress». Stiamo lanciando un’antenna per radio digitali per affrontare il passaggio dall’analogico al digitale anche nel mondo radio, oltre che in quello televisivo, e investiamo anche nello sviluppo di prodotti tradizionali, sempre allo scopo di offrire una gamma completa di oggetti molto avanzati, e di soddisfare le richieste del mercato, soprattutto della fascia più ricca.
D. State studiando quindi anche prodotti completamente nuovi?
R. Abbiamo investito massicciamente anche in questi; uno di essi è il led organico OLED, un sistema di illuminazione molto sofisticato nell’ambito delle nanotecnologie, che può essere usato sia per i fari posteriori delle autovetture sia per l’illuminazione interna; è costituito da lastre ultrasottili che, attraversate dalla corrente elettrica, emettono una luce molto calda e intensa, con uno spessore di un millimetro e mezzo e un notevole risparmio di energia. Vi stiamo lavorando da circa 5 anni e i risultati via via progrediscono. In uno stabilimento in Svizzera abbiamo avviato la produzione delle batterie al sodio-nichel, adatte all’accumulo di energia soprattutto da fonti rinnovabili, utili quindi per equilibrarne la domanda e l’offerta. Tali fonti, infatti, producono energia in modo non programmabile, solo quando c’è il sole o il vento, non quando se ne ha bisogno. Per cui l’energia conservata in questi accumulatori viene rilasciata quando l’utente ne ha bisogno. Quest’ultimo è un mercato che riteniamo possa espandersi molto; suscita già un grande interesse negli Stati Uniti e in Europa, ma anche in Asia e in Russia.
D. Esiste la possibilità di accumulare, in futuro, quantitativi di energia notevolmente superiori a quelli di oggi?
R. Un nostro modulo, simile ad un container, ha la possibilità di accumulare fino a un megawatt di potenza; collegando in serie più moduli, si possono accumulare 3 o 4 megawatt, una potenza molto elevata.
D. A che cosa possono servire?
R. Producendo e accumulando energia da fonti rinnovabili e rilasciandola al momento del bisogno, vengono ridotti gli sprechi e si riesce ad utilizzare fino all’80 per cento dell’energia prodotta. Questo sistema evita anche di realizzare linee di trasmissione tarate sui picchi di energia consumata. Infatti, per fare fronte a una domanda improvvisa molto elevata, occorre possedere una rete di trasmissione tarata a livelli molto alti, il che costa molto; se si può accumulare un quantitativo di energia da rilasciare in maniera equilibrata, per la rete di trasmissione occorrono investimenti contenuti. Questo vale non solo in Paesi densamente abitati come l’Italia, ma soprattutto in Paesi come Stati Uniti, Russia, Cina o Brasile, nei quali gli spazi sono enormi e le linee di trasmissione costano moltissimo. Si possono invece creare sottostazioni in cui l’energia si accumula e poi si distribuisce in base alla domanda. Negli Stati Uniti, a San Diego, abbiamo vinto un premio come miglior progetto di Energy Storage da fonti rinnovabili insieme a un’importante utility americana, la Duke Energy, realizzato nel 2012.
D. Il sistema si applica anche agli apparati elettrici che richiedono picchi di energia alla loro accensione ?
R. Stiamo lavorando su questo. In particolare sulla trazione elettrica di veicoli destinati soprattutto ad usi commerciali. Secondo noi, un’attività che si svilupperà molto in futuro sarà la distribuzione di merci e di posta nei centri storici compiuta mediante veicoli elettrici. In tale prospettiva, insieme all’Iveco abbiamo vinto una gara in Germania per la produzione in Italia di una trentina di tali veicoli.
D. Si è arrivati all’auto elettrica proprio in un momento in cui, con la crisi economica, gli acquisti si sono ridotti?
R. Anche se produciamo batterie, io personalmente non credo molto nell’auto elettrica, se non per una piccolissima nicchia di mercato. Credo di più allo sviluppo, da parte delle case automobilistiche, di un veicolo ibrido nel quale la batteria fornisce potenza al motore quando questo ne ha bisogno. Con tale sistema si potranno produrre motori di minore potenza che, in caso di bisogno per accelerare, possono usufruire dell’energia fornita da una batteria che poi si ricarica automaticamente quando si frena; questo sistema riduce anche il consumo di carburanti. Ed è il modo per abbattere l’emissione di CO2 a livelli ragionevoli, una specie di «Stop&Start» evoluto, o meglio il passaggio successivo a quest’ultimo. Per questo impiego, però, la tecnologia al piombo non è adatta per tali batterie sia perché pesa molto, sia perché ha una minore resa di potenza. Bisogna sviluppare pertanto batterie al litio, che non contengono molta energia ma forniscono molta potenza; le fabbriche di auto vi stanno pensando e noi anche propendiamo per una soluzione di questo tipo.
D. Producete anche altri tipi di batterie per ambiti diversi dall’auto?
R. Non produciamo più batterie per trazione e per i carrelli elevatori, ma tutte quelle di tipo stazionario necessarie per impianti telefonici, di telecomunicazioni o di tipo Ups; in questo siamo abbastanza forti in campo mondiale. Le batterie al sodio e al nichel rappresentano un’evoluzione rispetto a quelle al piombo per alcune applicazioni più spinte e innovative. Quindi è in atto un profondo mutamento nel settore.
D. Come si svolge la raccolta delle batterie usate?
R. Noi facciamo parte del Cobat, che è un consorzio non più obbligatorio ma libero, in quanto non c’è più la legge che impone di parteciparvi. È il consorzio migliore e più efficiente in Italia, dove oggi si raccoglie intorno al 97-98 per cento delle batterie esauste, quasi la totalità, che vengono riciclate per recuperare il piombo. Quasi tutto il quantitativo di piombo utilizzato nelle nuove batterie proviene da quelle esauste. L’anno scorso la Fiamm ha acquisito uno smelter con sede in provincia di Brescia, che si occupa del processo del riciclo delle batterie esauste.
D. Come siete organizzati nel settore delle esportazioni?
R. Esportiamo prodotti che costituiscono il 75 per cento del nostro fatturato, e realizziamo all’estero circa il 40-45 per cento della nostra produzione. Abbiamo 11 stabilimenti, di cui uno in Brasile, due negli Stati Uniti, quattro in Italia, uno in Cina, uno ciascuna in Francia, Repubblica Ceca e Svizzera; siamo abbastanza diffusi nel mondo e in grado di seguire i clienti con un servizio globale.
D. Producete batterie anche per le fabbriche di automobili straniere?
R. Certamente. Lavoriamo per Peugeot, Renault, Mercedes, Opel, Jaguar, Toyota, Land Rover. Abbiamo concorrenti, il maggiore è il numero uno mondiale, la Johnson Control, di gran lunga al primo posto in campo internazionale. Noi siamo il primo produttore di proprietà europea. In Europa, davanti a noi, vi sono due produttori americani. Siamo quindi al terzo posto nel Vecchio Continente, ma al primo tra i produttori europei.
D. Com’è andata l’azienda in questi ultimi anni?
R. È sempre stata in utile. Da quando sono amministratore delegato, ossia dal 2007, abbiamo sempre chiuso il bilancio in attivo. È molto difficile raggiungere questo risultato, ma il fatto di essere presenti su scala mondiale e di adottare le tecnologie più avanzate ci consente di difenderci. La materia prima incide abbastanza sul costo del prodotto, e il suo prezzo è variabile, in funzione dell’andamento del mercato, che risente delle attuali difficoltà esistenti in particolare in Italia, ma anche in Francia e in Spagna.
D. Oltre al piombo, quali materie prime impiegate?
R. Il polipropilene e l’abs, con i quali si fabbricano i monoblocchi delle batterie, cioè i contenitori nei quali esse devono essere inserite; dipende dall’uso che se ne deve fare. Entrambi sono materie provenienti dal settore chimico, e dal petrolio in particolare.
D. Che cosa state facendo per l’«economia verde»?
R. Il recupero delle batterie è già una componente essenziale dell’«economia verde», inoltre il fatto di lavorare sulle vetture «Stop & Start» ed elettriche è significativo, perché comporterà la riduzione delle emissioni di CO2. Il ricorso all’energia solare consente un uso più facile e mirato delle fonti rinnovabili e la riduzione dei combustibili fossili e delle loro emissioni.
D. La crisi ha indotto famiglie e imprese a non rinnovare gli autoveicoli, concedendo ai fabbricanti più tempo per sviluppare quelli elettrici. Alla ripresa saranno in molti a cambiare l’auto; si aprono quindi maggiori prospettive per le elettriche?
R. A mio parere l’auto elettrica sarà ancora molto costosa, per la presenza in essa di varie componenti sofisticate. Come possibile soluzione di massa, credo che potrà affermarsi di più l’auto ibrida, anche perché comporterebbe una riduzione tra il 15 e il 20 per cento di CO2. Le auto elettriche troveranno impiego in nicchie di mercato.
D. Il motore delle ibride potrà essere alimentato sia da benzina sia da gas?
R. Sì, è indifferente. Anche con il gas si producono emissioni, ma ridotte. Ma ormai anche i motori più potenti, a benzina o diesel, sono talmente perfezionati da richiedere consumi contenuti. Il gpl può costituire una soluzione per risparmiare, ma credo di più alla soluzione mista, nella quale la potenza non dovrà venire tutta dal motore ma anche dalla batteria, che poi si ricaricherà in vari modi, in particolare con l’energia prodotta nelle frenate. Con il sistema ibrido si potranno usare motori più piccoli. È in atto una grande evoluzione, oggi si costruiscono anche motori bicilindrici turbo da 900 centimetri cubi, che forniscono 90 cavalli di potenza, un risultato veramente impressionante. Credo tuttavia che il sistema ibrido sia la soluzione più intelligente ed anche la meno costosa.    

Tags: Maggio 2013 Fiamm

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa