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giovanni malagò (coni): i miei primi 200 giorni al vertice dello sport italiano

Giovanni Malagò, presidente del Coni,  Comitato Olimpico Nazionale Italiano

a cura di FABRIZIO SVALDUZ

 

Ha appena tagliato il traguardo del sesto mese di «regno» del mondo sportivo italiano. 54 anni, romano, con il 50 per cento di Caraibi «nella vene» per parte di madre, e di nota fede giallorossa. Imprenditore di successo e presidente, continuativamente da 16 anni, del blasonatissimo Circolo Canottieri Aniene di Roma, nato nel 1892 da una costola del reale Circolo Canottieri Tevere Remo. Un rapporto profondo con buona parte della famiglia Agnelli, ma particolare e privilegiata è stata la sua amicizia con l’avvocato Gianni che, chiamatolo al proprio capezzale in punto di morte a Villa Frescot a Torino, lo salutò con un «Stammi bene, piccolo Malagò».
Questi alcuni frammenti della biografia di Giovanni Malagò, eletto 7° presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano lo scorso 19 febbraio con una vittoria di 40-35, ottenuta a sorpresa contro le previsioni su Raffaele Pagnozzi, candidato del presidente uscente Gianni Petrucci. Prima di questa storica elezione il nuovo presidente era presente, però, nella Giunta del Coni da 13 anni, tempo servito per maturare ottimi rapporti e amicizie nelle 45 Federazioni sportive, che gli hanno valso la fiducia di oltre la metà dei 76 grandi elettori federali, sostanzialmente i rappresentanti di ben 15 milioni di sportivi italiani, la maggior parte dei quali tesserati con il Comitato Olimpico. In seguito all’elezione di Malagò, c’è stato un cambio di manager in tutti gli apparati collegati al Comitato Olimpico. Tra le tante new entry, Franco Chimenti, presidente della FederGolf Italiana, è stato eletto al vertice della Coni Servizi spa, il braccio economico del Coni.
Ottimo tessitore di rapporti politici ed istituzionali bipartisan, capace, ad esempio, di coniugare Gianni Letta e Walter Veltroni come anche Gianni Alemanno e Josefa Idem, Malagò, nella campagna elettorale lunga un anno, aveva preannunciato un programma di grande innovamento dell’istituzione sportiva italiana. Cosa che ha iniziato subito a mettere in atto, con tutte le difficoltà del caso. Tra i suoi obiettivi di rinnovamento, l’impiantistica, lo sport nella scuola, la lotta al doping, la legge sugli stadi, e l’analisi di un eventuale riequilibrio dei fondi che lo Stato elargisce al Comitato Olimpico e destinato alle Federazioni. Tale erogazione, nel dettaglio, quest’anno ammonta a 411 milioni di euro, di cui la maggior fetta, 62 milioni, vanno alla Federcalcio di Giancarlo Abete.
Questa consueta parte da leone del calcio in Italia ha sempre scatenato non poche e inevitabili polemiche da parte delle Federazioni meno remunerate. Nel suo passato di dirigente sportivo, Malagò nel 2004 ha diretto il Comitato organizzatore degli Europei di Pallavolo e nel 2009 è stato presidente del Comitato organizzatore dei Mondiali di nuoto di Roma. In merito a quest’ultimo incarico, il presidente del Coni ha ricevuto l’elogio di Jacques Rogge, presidente uscente del Comitato Internazionale Olimpico (Cio), in occasione del loro primo incontro ufficiale a Losanna lo scorso maggio.
La sua seconda pelle di imprenditore, poi, gli fa considerare la comunicazione ed il marketing strategico essenziale e prezioso per lo sviluppo dello sport al punto che, tra i tanti progetti in corso, uno riguarda lo sviluppo del brand Coni. In occasione dell’ultima edizione del Golden Galà, il manager ha fatto da Cicerone a Giorgio Armani, sponsor ufficiale del Comitato Olimpico, in visita alla sede del Foro Italico di Roma. Nella rivoluzionaria innovazione della gestione Malagò, il presidente ci mette, però, anche del suo: ha deciso infatti che i suoi 90 mila euro netti di stipendio annuale verranno versati alle associazioni sportive e a società impegnate nel settore sociale. Il primo beneficiario, lo scorso aprile, è stata la palestra di Scampia di Gianni Maddaloni.
Gesto di forte impatto che, proprio dalle colonne di Specchio Economico, ha recentemente mosso il «ministro degli Esteri» del CIO, Mario Pescante, a definire l’impegno di Malagò nello sport italiano «tangibile, quotidiano e molto rilevante». Il presidente ha poi lanciato una riuscita operazione-immagine eliminando i biglietti gratis ai politici nelle manifestazioni sportive. Tra i sogni nel cassetto, Malagò pensa ad una candidatura olimpica di Roma per il 2024, ma questo dipenderà dalla scelta del CIO della città per l’edizione del 2020, in programma questo mese a Buenos Aires.
Sono appena iniziati i preparativi per il centenario del Coni di giugno 2014, e Malagò, oltre al coinvolgimento previsto di molte istituzioni, in un incontro con il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Militare, gen. Pasquale Preziosa, ha già richiesto la partecipazione all’evento della Pattuglia Acrobatica Nazionale delle Frecce Tricolori.
Domanda. La sua vittoria inaspettata su Petrucci, lo scorso febbraio, ha scardinato un sistema di gestione federale sportiva collaudato: cosa pensa abbia mosso i grandi elettori del Coni a fidarsi di lei, con un programma rivoluzionario?
Risposta. La mia elezione si fa portavoce di un’idea di partecipazione collettiva. C’era un forte malcontento e ho saputo interpretarlo, perché tra le pieghe del malumore si nascondeva la chiave del successo. Credo sia stata apprezzata la capacità di saper ascoltare non solo le esigenze dei dirigenti federali ma di tutto il nostro mondo, di chi fa volontariato e di chi vive alla periferia del grande movimento. L’intento è certamente quello di rappresentare tutti, la mia programmazione è all’insegna del coinvolgimento. Non c’è sviluppo senza condivisione, non si crea valore senza collegialità. Mi sento soprattutto lontano da logiche autoreferenziali. Il Coni è aperto a tutti per vagliare idee che possano schiudere possibilità di crescita.
D. Le 186 medaglie conquistate dall’Italia a fine giugno nei Giochi del Mediterraneo hanno confermato la vocazione di Nazione sportiva d’elite. Qualche osservatore suggerisce, però, di cambiarne la formula in merito a numero di gare e limiti di età. Che ne pensa?
R. Il format della manifestazione è stabilito dal Comitato Internazionale dei Giochi, che annovera qualificati rappresentanti dei vari Paesi partecipanti. Sono convinto che ogni situazione sia potenzialmente migliorabile, quindi anche in questo caso ritengo possa esservi la possibilità di vagliare nuove idee, soprattutto alla luce dei calendari internazionali e delle novità che sono state recentemente introdotte a livello di eventi multidisciplinari. Nel 2015, ad esempio, ci sarà la prima edizione dei Giochi Europei, e verranno disputati anche i Mediterranean Beach Games, assegnati tra l’altro a Pescara. Ogni valutazione va quindi ponderata alla luce del rinnovato scenario. Sono comunque orgoglioso dei risultati ottenuti dalla nostra missione a Mersin ma non perdo di vista la realtà.
D. Alle Olimpiadi di Rio 2016, poi, sarà difficile mantenere lo standard di risultati di Londra 2012 o sarà possibile anche incrementare i podi?
R. Per arrivare a Rio 2016 c’è ancora tanta strada da percorrere e ritengo sia prematuro parlare di prospettive in relazione ai podi che potremmo conquistare, azzardando confronti con Londra. Tra l’altro ritengo che la salute del nostro movimento non debba far riferimento al numero di medaglie vinte, è un concetto antitetico rispetto alla mia visione. Bisogna risolvere i problemi e radicare una nuova cultura.
D. Cosa pensa della vicenda che ha costretto il ministro Josefa Idem a lasciare il Governo?
R. Ho un rapporto personale con Josefa Idem che nasce da molto lontano e risale a molto tempo prima della sua discesa in campo nel mondo della politica. Ho condiviso con lei emozioni fortissime. C’è ovviamente grandissimo dispiacere umano. Il Paese ormai strumentalizza tutto, non si perdona più niente, forse perché viviamo un’epoca che arriva dopo tanti scandali e si è entrati in questo ordine di idee che va rispettato. Non sta a me dare giudizi, ma una cosa che mi sento di dire è che delle tante persone che conosco Josefa è una di quelle che considero più serie, integerrime, quasi un’integralista, un’atleta, che non si è mai occupata di queste cose: la sua onestà è veramente indiscutibile.
D. Tra i valori che lei dichiara non negoziabili, il rifiuto e la lotta al doping, quali sono le difficoltà di tale battaglia visti anche gli sviluppi recenti della vicenda Alex Schwazer e la rivendicazione del «sistema» fatta recentemente da Lance Armstrong? E perché è difficile far radicare una nuova sensibilità culturale al problema?
R. Chi conosce il mio sistema di vita e di sport sa bene che su questi temi la mia tolleranza è zero. Niente sconti per nessuno. Negli ultimi anni il doping ha compiuto passi da gigante grazie alla ricerca e a persone disposte a tutto pur di vincere. È necessaria una grande opera di prevenzione: chi si dopa investe molto e chi si occupa di antidoping deve fare altrettanto, puntando sulla ricerca e sulle risorse umane. Quando si parla di questa tematica mi assale sempre un senso di profonda amarezza. Serve un nuovo metodo culturale anche per affrontare questo problema, si tratta di una questione civica. Anziché essere abili nel perseguirlo e nel trovarlo, il doping, sarebbe bello se nessuno tentasse di trovare scorciatoie illecite che minano i principi sacri dello sport.
D. Cosa si auspica da Giancarlo Abete e dalla Federcalcio per migliorare il calcio italiano?
R. Siamo tutti coinvolti, come classe dirigente, nel cercare di portare idee e progettualità nuove nello sport e anche nel calcio. La gente vuole cambiamenti, dobbiamo agire. Con l’amico Abete ho parlato con serenità e fermezza. Il calcio ha ancora un formidabile «appeal», ma ha perso parte di queste opportunità forse per le litigiosità all’interno delle Leghe e per la mancata opportunità della legge sugli stadi. Non ha trasmesso esempi positivi, vedi lo scandalo delle scommesse, e non può vivere di rendita ma ha i mezzi e le potenzialità per invertire questa congiuntura negativa. Sotto il profilo della giustizia sportiva è chiaro che è necessario modificare alcune cose, è una materia che compete a tutte le Federazioni; negli ultimi tempi si sono viste troppe differenziazioni tra la prima valutazione del reato e quella finale. Entro fine anno ci saranno dei cambiamenti.
D. Ad inizio estate, il terzo posto guadagnato dall’Italia nella Confederations Cup, di buon auspicio per i Mondiali brasiliani 2014, ha chiuso la stagione del calcio. Molto peggio della Nazionale vanno i club italiani in Europa: dobbiamo rassegnarci alla marginalità?
R. Il terzo posto in Confederations Cup è certamente un buon segnale, ma nel Mondiale sarà un’altra storia. Bisogna essere realisti, ci saranno più squadre, la competizione si annuncia di alto spessore. Questo discorso vale per tutti, non solo per noi ovviamente. Quello relativo al trend dei club in Europa dovrebbe invece costituire l’occasione per avviare, come fatto in Germania, una programmazione di cinque anni, che parta dall’insegnamento nelle scuole all’impiantistica, dal messaggio delle Leghe fino a una serie di componenti da cambiare. È pericoloso dire che siamo comunque ai vertici e rimanere immobili perché si rischia di arretrare ancora di più. L’obiettivo è invece tornare a essere i numeri uno, partendo dal principio che i risultati sono importanti ma radicare una nuova cultura è certamente prioritario per avere continuità.
D. Quali sentimenti le suscita la scomparsa, lo scorso giugno, del campione Stefano Borgonovo ed il dramma della Sla nel calcio italiano professionisti?
R. Sono addolorato, è una vicenda che mi ha colpito profondamente. Sono vicino alla famiglia e credo che la grande dignità e lo straordinario coraggio dimostrati da Stefano durante la malattia debbano essere d’insegnamento a tutti. Il suo esempio rimane l’arma più importante nella lotta alla sclerosi laterale amiotrofica. Credo sia innegabile registrare una relazione tra calcio e Sla ma non se ne conoscono ancora i reali motivi. Spero che attraverso l’impegno di tutte le realtà preposte, a fianco della Fondazione che porta il nome di Stefano, si possa arrivare a comprendere quel misterioso meccanismo che rimane, a oggi, avvolto nel mistero. Dobbiamo combattere, non rassegnarci all’impotenza.
D. Perché la Legge sugli Stadi è in fase di stagnazione da 5 anni in Parlamento?
R. La legge sugli impianti è una priorità, perché senza case dello sport non si può fare attività. Ci tengo a precisare che il discorso non riguarda solo gli stadi di calcio ma strutture polifunzionali dove diffondere il movimento agonistico, anche quelle da mille posti: per le realtà di provincia porterebbe tra l’altro sviluppo e occupazione. È davvero assurdo aver perso una legislatura su una legge in cui nessuno doveva regalare niente, ma sulla quale non si è trovato un punto di equilibrio. Una legge che doveva solo accelerare un iter si è impantanata e abbiamo perso cinque anni. Si tratta di una legge vitale, la radiografia dell’impiantistica attuale è impietosa. Siamo fortemente interessati a che il prima possibile si possano costruire nuovi impianti che possano dare più lavoro, più sviluppo e più certezze al territorio, la base su cui abbiamo costruito il futuro dello sport italiano. La svolta consentirebbe di sviluppare un rapporto diverso anche con la scuola.
D. Perché l’Italia è mal messa sotto quest’ultimo profilo? Cosa si è mosso nel progetto di sviluppo degli strumenti di finanziamento e della capacità di attrazione dei capitali privati?
R. Il Coni precedente poteva esercitare tutta la capacità persuasiva consentita per colmare le lacune, come espressione di un movimento che ha potenzialità enormi, rappresentate dalla molteplicità di realtà che lo compongono. Credo si potesse fare di più, senza rimanere in posizione di attesa come se la cosa non interessasse al movimento. Sullo sviluppo degli strumenti di finanziamento c’è un grande interesse: c’è tanta gente pronta a investire, anche all’estero, per far decollare questi progetti. Penso che arriverebbe un grande impulso dai capitali privati, chiamati a dare sviluppo e occupazione.
D. Il suo progetto di cambiare il sistema Scuola con le sinergie pubblico-privato come si dovrebbe esplicare?
R. L’obiettivo è quello di creare una vera e propria Scuola dello sport, con l’aiuto del Governo, perché senza non andiamo lontano. Fino a oggi si è parlato molto e si è agito poco. Nel Consiglio di amministrazione di Coni Servizi, per la prima volta, c’è una donna: Giovanna Boda, direttore generale del Miur, il segnale più tangibile della volontà di materializzare una svolta irrinunciabile. Dobbiamo ripartire dal mondo dell’istruzione, dalla famiglia, dalla base, radicare una cultura diversa, perché solo così si costruiscono successi certificati da una crescita esponenziale a livello di mentalità, di sistema e di valorizzazione della pratica agonistica. E parlo anche di base strutturale: le palestre vanno rese agibili e a norma, finite le lezioni si può svolgere attività con le associazioni e le società sportive. Una sinergia pubblico-privato, che consenta anche l’aumento delle risorse. Si possono infatti studiare progetti per far sostenere iniziative ludico-didattiche attraverso sponsorizzazioni, creando un circolo virtuoso. Bisogna agire in profondità. Per quanto riguarda i Giochi della Gioventù, stiamo vagliando un progetto di rivisitazione di tutta l’attività sportiva scolastica.
D. In merito ai fondi del Coni alle Federazioni ed alla congruità dei criteri di distribuzione, la Commissione da lei istituita cosa e come potrebbe migliorare la situazione?
R. La Commissione sta lavorando all’insegna della collegialità e della condivisione, cercando di individuare un criterio che sia il più possibile oggettivo per la distribuzione dei contributi. La materia è molto complessa, tutte le Federazioni sono chiamate a dare il loro contributo. Credo che la cosa più importante sia creare un modello equo, stabilendo parametri certi in base ai quali operare delle scelte. Siamo in una fase di studio, procedono le riunioni del gruppo di lavoro composto dal vicepresidente Luciano Buonfiglio e dai presidenti federali Paolo Barelli, Luigi Bianchi, Angelo Binaghi, Renato Di Rocco, Alfio Giomi, Ugo Claudio Matteoli, Paolo Sesti, oltre alla componente interna, della quale fanno parte anche il segretario generale Roberto Fabbricini e il vicario Carlo Mornati. Idee, proposte, consigli: tutto può portare verso una soluzione ottimale.
D. Concetto di trasparenza: in passato alcune Federazioni, tra le quali la Federazione Sport Equestri, non hanno approvato i bilanci. Quale anomalia ha generato ciò?
R. Gli ultimi tre bilanci della Fise non sono stati approvati e questa è un’omissione che non deve più ripetersi, vi ha lavorato sopra una commissione congiunta Federazione-Coni per fornire un approfondimento doveroso. La trasparenza è un dovere inderogabile del prossimo quadriennio. Tra i punti salienti del progetto quadriennale del Coni c’è quello relativo all’adozione e alla redazione annuale del «Bilancio Sociale», per verificare coerenza, efficacia e trasparenza nella gestione. Le Federazioni sono ovviamente parte della famiglia, i principi sono gli stessi. È interesse di tutti dimostrare come si utilizzano le risorse rispetto agli interessi dei propri stakeholders.
D. Come «abituare» al marketing strategico, che lei vuole introdurre massicciamente, quelle Federazioni meno avvezze? Con cambio di mentalità, corsi con esperti?
R. Tra gli obiettivi c’è quello di assistere le Federazioni, ma anche gli altri Enti Sportivi, a livello di attività di marketing e branding, licensing e merchandising. Un’azione che va sviluppata anche aggregando più soggetti con interessi coerenti tra loro. Secondo una logica che estenda la ricerca e l’impiego delle sponsorizzazioni ben oltre l’anno olimpico, divenendo una costante del «fund raising» del nuovo modello di gestione. Con la creazione e la diffusione di un vero brand Coni, attraverso la suddivisione pro quota del ritorno economico in favore di Federazioni e delle altre entità associative. Alcune Federazioni hanno avuto importanti opportunità sul mercato e le hanno sfruttate. Il rugby, ad esempio: il Sei Nazioni ha avuto una ricaduta formidabile sull’intero movimento, che si finanzia con solo il 10 per cento di contributi Coni e il resto si ottiene grazie a sponsorizzazioni e diritti televisivi. Il modello da seguire, teoricamente, è questo. È chiaro che non tutte possono beneficiare di tali possibilità.
D. Tra i molti suoi fan eccellenti, vi sono Gianni Letta e Mario Pescante. Quale è la loro importanza nel mondo dello sport, quali uomini di esperienza del mondo delle istituzioni?
R. Sono molto legato a loro. Con Gianni Letta c’è un rapporto di grande affetto, è un punto di riferimento nella mia vita. Gli riconosco la capacità di aver contribuito a preservare l’autonomia dello sport con quella passione autentica, nei confronti del nostro mondo, che lo ha reso un baluardo invalicabile. Mario Pescante ha lo sport nel Dna. Per lui parlano gli incarichi, il percorso professionale e la credibilità internazionale che l’ha fatto assurgere anche ai vertici del Cio. Un esempio illuminante.
D. Lei tiene nella sua camera da letto la foto di Papa Giovanni Paolo II che le impartisce la comunione: cosa pensa della figura e del carattere di Papa Francesco? Quale affinità e differenze nota con Papa Wojtyla?
R. Ci sono tante affinità, soprattutto il grande carisma, la capacità comunicativa, la semplicità, la comune sensibilità alle povertà del mondo. Parliamo di figure dalla riconosciuta levatura morale. Papa Francesco ha una spiccata propensione per lo sport e per il settore sociale, che sono due facce della stessa medaglia. Poi arriva dall’America Latina, e questo me lo rende ancora più vicino: per linea materna, infatti, il 50 per cento del mio sangue è cubano.
D. In ognuna delle sue attività, imprenditore, dirigente federale, sportivo, qual è l’aspetto che lei ama?
R. La credibilità. Una prerogativa che mi viene riconosciuta sia nel mondo imprenditoriale sia nel mondo sportivo. E poi l’attenzione nei rapporti personali, il non tralasciare nulla al caso. Amo l’organizzazione, il coinvolgere le persone che mi sono vicine. La collegialità e la trasparenza. La lealtà. Mi piace confrontarmi, ascoltare, aggredire i problemi. So dare la carica e offrire speranza. Quando abbraccio una persona capisco subito se è sincera. Sono ambizioso ma anche umile.
D. Avendolo frequentato, ci svela, infine, un inedito, di sapore sportivo, di Gianni Agnelli?
R. Amava l’automobilismo, il calcio, il nuoto, lo sci e la vela, oltre all’equitazione che gli ricordava i fronti di guerra quando era arruolato nel 1° Reggimento Nizza Cavalleria di Pinerolo. Era un grande tifoso, appassionato. Competente e curioso. Ricordo ancora le partite vissute accanto a lui, allo stadio. Custodisco delle immagini nitide di quei tempi. Le confidenze sulla formazione, l’ingresso allo stadio un minuto prima dell’inizio della gara. Era un personaggio eccezionale. Unico.   

Tags: Settembre 2013 sport Svalduz Giovanni Malagò

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