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Corsera Story. Le proprietà reali: tenute, ville e castelli dei Savoia

dal «Corriere della Sera», giovedì 24 marzo 1983

Chi lo descriveva un povero re in esilio che viveva con gli aiuti dei suoi fedelissimi; chi ne parlava come di un big non solo del Gotha aristocratico ma anche di quello finanziario internazionale. Ma quale era, in effetti, la situazione patrimoniale di Umberto II? Cosa ha lasciato in Italia e all’estero, ai quattro figli?

In teoria, almeno in Italia, l’ex re non avrebbe dovuto possedere nulla, dopo l’avocazione allo Stato, cioè la confisca, di tutti i suoi beni, sancito dalla tredicesima disposizione transitoria della Costituzione. E ufficialmente così risulta, perché certamente a suo nome non è mai figurato nelle conservatorie dei registri immobiliari della Repubblica alcun bene immobile, nei tribunali e camere di commercio alcuna società.

Ma è questa effettivamente la verità? Del residuo patrimonio Savoia ancora esistente in Italia, e ammontante a decine se non centinaia di miliardi, nulla spettava ancora a Umberto, magari sotto altro nome, ad esempio quelli delle sorelle, di affezionati collaboratori o di società dalla proprietà imperscrutabile, in quanto costituite all’estero? Certamente non sarà mai ammesso da nessuno, ma si può pensare che durante i lunghi 37 anni della sua permanenza in Portogallo Umberto II abbia avuto una notevole influenza su tutte le decisioni adottate da familiari e dei loro amministratori relativamente al patrimonio Savoia.

Patrimonio dalla storia complessa e giudiziariamente tormentata. Basti pensare alle 11 cause, durante una ventina d’anni, sulla proprietà del Castello di Racconigi, donato da Vittorio Emanuele II ad Umberto il 7 dicembre 1929 in occasione del suo matrimonio con Maria Josè del Belgio. Problemi di ordine patrimoniale si erano posti del resto non solo con l’entrata in vigore della Costituzione (e quindi della XIII disposizione transitoria) avvenuta il 1° gennaio 1948, ma già un anno e mezzo prima con la caduta della monarchia (2 giugno 1946) e la proclamazione della Repubblica. Si trattò infatti di separare i beni della corona da quelli privati di casa Savoia; beni della corona costituiti dai mobili e immobili assegnati al re in quanto Capo dello Stato Per l’adempimento delle sue funzioni e che vennero via via assegnati alla presidenza della Repubblica (il Quirinale e le tenute di Castelporziano e San Rossore) e ad altri enti, compresa la Croce Rossa.

Dei beni privati intestati ad Umberto figurava pertanto il 1° gennaio 1948 soltanto il Castello con fabbricati e terreni di Racconigi. Doveva essere confiscato e lo fu, ma in extremis era avvenuto qualcosa di imprevedibile. Approvata il 22 dicembre 1947 dall'Assemblea Costituente, la Costituzione fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 27 successivo per entrare in vigore il 1° gennaio 1948; tre giorni prima Vittorio Emanuele III morì ad Alessandria d’Egitto Per cui sorse una complessa questione giuridica. Apertasi in tal giorno la successione il Castello di Racconigi, in quanto donato ad Umberto in occasione delle sue nozze, doveva rientrare nell’asse ereditario, appartenendo anche alle tre sorelle di Umberto, Jolanda, Giovanna, Maria, e ai figli di Mafalda morta in campo di concentramento in Germania.

Da qui l’interminabile serie di cause condotte dall’avvocato Carlo D’Amelio e conclusesi, sul finire degli anni Sessanta, con la vittoria piena dei Savoia: allo Stato doveva andare un quinto dell’eredità, quindi solo un quinto di Racconigi. La divisione del Castello fu evitata con una transazione. Ma il grosso della proprietà che resta alle principesse Savoia in Italia era ed è costituito da Villa Savoia, a Roma, e dalla tenuta di Capocotta, a ridosso di Castelporziano. Villa Savoia, 119 ettari quasi nel cuore della città, all’inizio della via Salaria, è costituito da un edificio principale affittato all’ambasciata d’Egitto, lo stesso in cui Vittorio Emanuele III fece arrestare Mussolini quando lo andrò a trovare dopo la burrascosa seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943; alcune dependance (in una vive il figlio di Jolanda, Pierfrancesco Calvi di Bergolo, con la moglie Marisa Allasio); la Villa Polissena, in cui vivono invece i suoi cugini Enrico, Maurizio, Oddone ed Elisabetta D’Assia. Sul finire degli anni Sessanta si tentò la vendita di villa Savoia ad un gruppo finanziario dei Caraibi che intendeva costruirvi residenze di lusso, ma l’affare svanì al momento della firma.

Capocotta, 1.200 ettari, 2.500 metri di spiaggia, era invece destinata, nello stesso periodo, a diventare l’Acapulco italiana. Ceduta in gran parte a banche svizzere e lussemburghesi, a società del Liechtenstein, cooperative di altri personaggi politici e finanziari romano-internazionali e singole personalità, apparentemente appartiene per soli 163 ettari alle principesse Savoia e loro eredi; destinata alla edificazione oggi potrebbe valere 500 miliardi, ma la convenzione con il Comune saltò, insorsero i movimenti per la difesa della natura, le cause giudiziarie finora non hanno sbloccato l’impasse.

È appunto dietro banche straniere, e alcune anstalt cioè le società di comodo dei paradisi fiscali, che si sarebbero celate, sussurrano gli intimi di casa Savoia, le proprietà di Umberto avendo i cinque eredi di Vittorio Emanuele III deciso di dividere, dopo la confisca della quota del figlio maschio, la residua proprietà nuovamente in cinque parti uguali; anzi ad Umberto era stata forse assegnata una quota maggiore.

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