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CORSERA STORY. GIORNALISTI? CHIAMIAMOLI PIUTTOSTO MASOCHISTI.

L’opinione del Corrierista

Nelle passate festività natalizie, in appena 8 giorni dal 25 dicembre al primo gennaio compresi, i quotidiani sono usciti in edicola solo 5 giorni e sono mancati 3 giorni. Per chi ama le statistiche, questo significa che si è stati senza quotidiani per il 37,5 per cento del tempo, corrispondente a una pari rinuncia volontaria ai lettori. Questo mentre la televisione nel complesso quadruplicava l’audience per quattro motivi. Perché in tale periodo è aumentato il tempo trascorso dalle famiglie in casa; perché la tv è stata sempre presente con tutta la sua nutrita batteria di canali; perché ha trasmesso una serie di programmi particolari, adatti alle ricorrenze, ai pubblici, agli orari della massa; e perché per ben tre giorni sono mancati, appunto, i giornali.
La domanda, che interessa il grande, malgrado tutto, numero di lettori dei quotidiani, e che ritengo dovrebbe interessare anche i giornalisti, è questa: perché sono mancati? Quattro le possibili risposte: per volontà degli editori, o degli stessi giornalisti, o degli edicolanti, o di tutte queste categorie insieme. Quale sia la risposta, il risultato è questo: se non saranno la televisione, internet ed altre presenti e future tecnologie, ad ammazzare i giornali ci penseranno, anzi già ci pensano, i più diretti interessati alla loro sopravvivenza, ossia editori, giornalisti, giornalai.
Ricordo che nel 1954, quando cominciarono in Italia le trasmissioni tv, nelle redazioni corse un brivido per il timore che il nuovo mezzo di comunicazione sostituisse i giornali. Timori e profezie infondatissime perché la tv, coinvolgendo nel mondo dell’informazione un numero sempre maggiore di italiani incolti e isolati, ne aumentò gli interessi e, anziché ridurlo, fece aumentare anche il numero dei lettori.
Ma è anche vero che i giornalisti erano sempre presenti a porgere notizie di quanto avveniva nel mondo, a spiegarle e a commentarle. Esistevano i giornali del pomeriggio - tre o quattro in media a Roma, altrettanti a Milano ecc. -, con tre edizioni giornaliere ciascuno, in edicola alle 12, alle 15 e alle 18, e appena stampati immediatamente «strillonati». Ricordo l’uscita dalla tipografia di nugoli di strilloni con pacchi di giornali freschi di inchiostro sottobraccio, nel centro di Roma; le cavalcate frenetiche dei furgoni carichi; l’interesse dei passanti.
I quotidiani del pomeriggio sono scomparsi, non so se per colpa della tv o per mancanza di editori veri e coraggiosi; il successo dei giornali gratuitamente distribuiti nelle stazioni della metropolitana mostra che la gente è disposta tuttora ad afferrare al volo un giornale mentre corre in ufficio o torna a casa. E mi confermo nell’opinione che non è stata la tv, semmai la mancanza di coraggio e di professionalità, la cecità e l’ottusità di pseudo editori ad uccidere gloriosi e diffusi quotidiani del pomeriggio: Corriere d’Informazione, La Notte, Corriere Lombardo a Milano; Stampa Sera a Torino; Momento Sera, Paese Sera, Giornale d’Italia a Roma ecc.
Ma le colpe non sono solo di editori improvvisati, di industriali, banchieri, palazzinari, attentissimi ai propri affari e del tutto insensibili alla cultura. Sono anche dei giornalisti, più precisamente dei giornalisti figli del benessere, attratti verso questa professione dai falsi modelli creati dalla tv. La quale, oltre alla diffusione di un linguaggio monco, borgataio, orecchiato, gonfio di strafalcioni e di difficoltà espressive, ha anche quest’altra colpa. In 36 anni di Corriere della Sera ho lavorato tutte le domeniche e molto anche di notte; ma nei primi 10 anni senza ricevere né il compenso domenicale pari al 380 per cento rispetto al normale, né l’indennità notturna. E a un certo punto l’amministrazione mi avvertì anche che avevo accumulato 665 giorni di ferie non godute.
Ma negli ultimi anni della mia permanenza al Corsera, il segretario di redazione doveva supplicare i giovani giornalisti affinché lavorassero il sabato, nonostante fosse contrattualmente obbligatorio; e il lunedì mattina il Corriere poteva uscire in edicola solo grazie a una piccola pattuglia di volontari domenicali, ovviamente i più anziani. Descrivevamo sui giornali mode e costumi di altri Paesi e di altre categorie sociali, come weekend, settimane corte, settimane bianche, ponti ecc.? I giovani giornalisti esigevano anche di goderne, come meticolosamente fanno anche in tempo di crisi artigiani e operai.
Nei giornali del pomeriggio si lavorava dalla 6,30 alle 20,30-21; quelli del mattino chiudevano l’ultima edizione, quella di città, alle 4 del mattino, e alle 10 si era di nuovo in redazione. Alla mezzanotte della vigilia di Natale il vicedirettore Gaetano Afeltra scendeva sempre nella tipografia del Corriere della Sera, in Via Solferino 28 a Milano, per dividere il panettone con i tipografi; e l’ultimo dell’anno per brindare. Il primo gennaio nei giornali si lavorava, il Corriere d’Informazione usciva in tutte e tre le edizioni per cui, dopo l’insonne e movimentata notte di Capodanno, alle 6,30 del mattino mi recavo direttamente nella redazione romana di Via della Mercede 32 e vi restavo fino alle 17, per comunicare a Milano l’esito dell’estrazione della lotteria di Capodanno che si svolgeva nella sede dell’Intendenza di Finanza in Via della Scrofa, da pubblicare immediatamente nella terza edizione.
C’era ormai da anni la tv, con le sue mirabolanti attrattive: quiz a premi, canzoni, festival, spettacoli circensi, musical ecc. Ma i quotidiani continuavano ad essere sempre presenti in edicola, ricchi non solo di notizie ma anche di spiegazioni, approfondimenti, commenti, grandi firme. Poi sono stati indeboliti sia dal passaggio della loro proprietà in mano di editori improvvisati che se ne servono per fare affari, non certo buon giornalismo; sia dalla stessa tv che ha cominciato ad allettare, corrompere e coinvolgere nei suoi programmi e nei suoi succosi borderò una massa di giornalisti della carta stampata ottenendo su questa sempre più spazio e pubblicità.
Quali sono oggi le prospettive della carta stampata? La rassegnazione, il masochismo, l’attesa della lenta e definitiva scomparsa, la trasformazione e il passaggio ad altri comparti dell’informazione? Deve ritrovare l’orgoglio, la dignità e il coraggio di combattere queste prospettive. Ma per fare tutto questo deve osservare una condizione essenziale: deve essere presente nella società. Ossia nell’edicola.

Victor Ciuffa

Tags: Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista giornalisti editori Gaetano Afeltra

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