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Nuove spinte deflattive che partono dal Governo

LUCIO GHIA

Due iniziative realizzate negli ultimi mesi vanno segnalate perché hanno messo a fuoco quanto, da qualche tempo, e senza grande clamore mediatico, il Governo attraverso il Ministero della Giustizia ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sta mettendo a punto per rendere efficiente il processo civile. Il primo è stato organizzato dall’Osservatorio sulle Adr (Alternative Dispute Solutions) il 15 marzo, nella suggestiva sala del Refettorio di Palazzo San Macuto in Roma. Il secondo, il 5 aprile, nella umbertina Sala Verde nel Palazzo del Ministero della Giustizia, alla presenza del ministro Andrea Orlando.
Com’è noto 4 milioni e 479 mila cause civili attendono di essere definite, ovvero sono «pendenti» innanzi ai nostri Tribunali, alle Corti d’Appello ed in Cassazione. Nelle classifiche internazionali del Doing Business (Banca Mondiale) quanto all’indicatore «enforcing contracts», ovvero relativo ai tempi ed ai costi necessari ad ottenere risposte giudiziarie in caso di inadempimento contrattuale, siamo al 111esimo posto. È da notare che negli ultimi tre anni abbiamo guadagnato, grazie alle riforme attuate, 49 posizioni, nel 2013 eravamo al 160esimo posto, ma è evidente che malgrado i miglioramenti registrati il nostro attuale ranking sia incompatibile con il nostro essere tra le prime 10 economie avanzate nel mondo.
La buona notizia che il ministro Orlando ha dato agli intervenuti alla presentazione del 5 aprile scorso, sullo stato delle nuove riforme contenute nel decreto legge n. 132 del 2014, nel decreto legge n. 83 del 2015 e nelle norme all’esame del Parlamento (Atti Camera 3671) è relativa alla progressiva riduzione dell’arretrato nel settore civile. Infatti i procedimenti civili pendenti sono diminuiti dal 2009 del 15 per cento, pari a circa 800 mila procedimenti, da quasi 6 milioni di fine 2009 siamo passati a 4,5 milioni del dicembre 2015.
Il tasso di riduzione più marcato riguarda il contenzioso pendente innanzi ai Tribunali che dai 2 milioni e 596 mila procedimenti del 2009 è stato ridotto ai 2 milioni e 6 mila attuali. Certo il dato di ben 4 milioni e mezzo delle cause tutt’ora pendenti, malgrado le riforme effettuate, è allarmante. Tanto più che i costi di questo disservizio sono notevoli per la collettività; il capitolo di bilancio 1400 evidenzia una spesa di oltre 4 miliardi di euro all’anno. Ci siamo già intrattenuti su queste colonne sulle varie cause del cosiddetto «debito giudiziario» italiano, quindi non mi ripeterò.
In questo incontro, il ministro, con molta precisione e personale coinvolgimento, ha altresì illustrato ai colleghi avvocati invitati - i quali, come chi scrive, frequentando quotidianamente i luoghi della Giustizia, sono diretti misuratori delle inefficienze giudiziarie - i risultati attesi dall’approvazione del disegno di legge delega presentato a firma dei ministri Orlando e Padoan l’11 marzo 2015 ora all’esame (con il numero 2953 alla Camera dei Deputati, da questa approvato in prima lettura il 10 marzo 2016, e trasmesso l’11 marzo 2016 all’esame del Senato con il numero 2284).
Le proposte innovative ivi contenute, tese a risolvere molti ed antichi mali della giustizia, traggono origine dallo studio effettuato dalla Commissione Berruti, dal nome del magistrato Giuseppe Maria Berruti, presidente di Sezione della Corte di Cassazione, che con la sua esperienza ha disegnato percorsi diversi per il nostro processo civile, definendo approdi più specialistici per le varie cause nelle diverse Sezioni dei Tribunali. In particolare le materie assegnate al Tribunale delle imprese vengono decisamente ampliate. Sono infatti devolute alla competenza delle Sezioni specializzate in materia d’impresa le controversie in tema di marchi, brevetti, concorrenza sleale, diritto d’autore (opere cinematografiche, teatrali, letterarie, musicali, fotografiche), ed anche in materia di violazioni della concorrenza, di contratti di appalto, di forniture di beni e servizi di rilevante valore economico etc. Tale attribuzione di competenze riguarda non solo le «cause», ma anche i «procedimenti» di volontaria giurisdizione e di carattere cautelare relativi alla materia societaria, con alcune limitazioni per le società di persone.
Viene anche prevista una speciale sezione per i problemi della famiglia.
È previsto il riassetto del settore relativo alle esecuzioni mobiliari che come è noto dopo l’epilogo del giudizio ordinario, ottenuta la sentenza esecutiva, rappresenta per il creditore oggi una vera e propria corsa ad ostacoli purtroppo ancora esistenti nonostante gli interventi legislativi precedentemente effettuati. L’assegnazione delle vendite ai notai o la nomina dei custodi, infatti, non hanno provocato le accelerazioni procedurali auspicate, mentre hanno comportato un aggravio di costi per i creditori.
Tra nuove norme chiamate a regolare il processo esecutivo, va salutata con favore la modifica dei compensi dei consulenti tecnici nominati dal giudice, non più determinati sulla base del valore dei beni da loro stessi individuati e regolarmente smentiti poi dal mercato, soprattutto in un periodo asfittico come l’attuale, con conseguenti perdite di tempo e di costi legati alla necessità di effettuare vari esperimenti d’asta prima che il mercato stabilisca il prezzo di vendita. Ebbene ora la nuova normativa prevede un «anticipo» a carico della procedura e quindi dei creditori, e la definizione del corrispettivo dovuto al consulente tecnico di ufficio basato sull’effettivo prezzo realizzato dalla vendita all’asta.
Un plauso convinto meritano gli interventi a favore dell’avvio e dell’implementazione del processo telematico.
I depositi telematici da parte di avvocati e professionisti ausiliari del giudice di atti giudiziari nel periodo marzo 2015 al febbraio 2016 ammontano a 6 milioni e 796.930, dei quali 427.351 sono stati ricorsi per decreti ingiuntivi; 5 milioni e 474.968 sono stati i provvedimenti e/o gli atti processuali e 894.611 gli atti introduttivi di nuovi giudizi. Anche le notifiche a mezzo pec degli atti giudiziari costituiscono una positiva e preziosa realizzazione in termini di tempi e di costi per gli addetti ai lavori.
Ma la riforma più profonda tra quelle annunciate dal ministro riguarda l’intero processo civile, improntato oggi ad una sostanziale semplificazione. Non più scritti difensivi alluvionali ma regolati dal principio di «sinteticità degli atti»; poche udienze tre/quattro al massimo, con intervalli brevi; fine dei termini dilatori in un quadro di recupero di efficienza della nostra giustizia, che nel suo assetto futuro ne esce rivoluzionata. Anche i gradi di giudizio in Corte d’Appello ed in Corte di Cassazione vengono ridisegnati coerentemente con i principi che dovranno governarli.
Se il futuro della giustizia civile appare più luminoso, il contesto che caratterizza la situazione attuale è soffocato però dai 4 milioni e mezzo dei processi pendenti. Per far decollare il processo che avanza, è necessario separare il «vecchio» dal «nuovo», occupandosi della definizione dell’arretrato con coraggiose ed immediate iniziative per non condannare una buona riforma all’insuccesso determinato dalla coesistenza gestionale di un pesantissimo arretrato.
La gravità del problema mi autorizza a citare Winston Churchill ed il suo aforisma: «Un pessimista vede la difficoltà in ogni opportunità, un ottimista vede l’opportunità in ogni difficoltà». D’altronde in tempi di cambiamenti così profondi è necessario, di fronte ad una crisi della giustizia così grave, operare scelte altrettanto profonde, prendere decisioni che possano rappresentare, coerentemente con il significato del termine greco «krisis», scelte «di rottura» rispetto al passato. Considerando che il «trend salvifico» rappresentato dalle diminuzioni dei nuovi giudizi, continui e consenta di gestire e definire nei prossimi cinque anni non solo i giudizi nuovi, ma un 30 per cento dell’arretrato esistente, a fine lustro avremo pur sempre 3 milioni di processi pendenti.
Ecco emergere l’opportunità da cogliere. Stanno andando in pensione in questi mesi circa 600 magistrati che fino a ieri hanno fatto il proprio «mestiere» di giudici, definendo giudizi e scrivendo sentenze. Il Paese ha a disposizione un patrimonio di esperienza e conoscenza giuridica e professionale che sembra destinato a disperdersi. Anche in questa occasione lo Stato sembra orientato a non mettere a frutto le possibilità notevoli che l’investimento fatto su questi giudici potrebbe dare. Ritengo che molti di costoro sarebbero lieti di poter continuare a svolgere il lavoro fatto fino a ieri, cioè emettere sentenze, decidere cause. Chiamiamoli pure i «caschi blu dell’arretrato» o come altro volete, certo è che siamo di fronte ad una enorme risorsa per il Paese, in un momento topico per ridare alla giustizia l’efficienza che merita e al cittadino la tutela reale dei propri diritti. Se indiscutibile appare la necessità e l’utilità di realizzare la separazione dell’arretrato dalle nuove cause, va affrontato il «come» farlo. Bisognerà certamente separare i giudizi cognitori, a istruttoria conclusa, da quelli in attesa degli scritti difensionali finali e della decisione ed assegnare solo questi ultimi ai «caschi blu dell’arretrato». Considerando pure che solo i due terzi dei magistrati non pensionati accetteranno un tale mandato e che ognuno di loro possa decidere più o meno, 70 giudizi all’anno, avremo circa 100 mila sentenze in più.
Naturalmente, se una tale ipotesi fosse assecondata e resa possibile legislativamente ai «caschi blu giudiziari», potrebbero facilmente essere aggregati «avvocati» che, raggiunta l’età pensionabile, potrebbero continuare ad occuparsi del loro «mestiere» in condizioni di minor «pressione», minori esborsi economici, propri della gestione dei loro studi professionali senza stress quotidiani e giungere facilmente al raddoppio del numero delle sentenze prodotte. Anche i costi propri della remunerazione di queste attività appaiono compensati dagli introiti per lo Stato, conseguenti alla registrazioni delle nuove sentenze emesse.
Questo apporto potrebbe rivelarsi prezioso tanto più in un periodo nel quale il numero delle nuove cause tende a diminuire. I dati 2012 del Rapporto Cepej dimostrano che in Italia il numero delle cause per ogni 100 mila abitanti è allineato al tasso di litigiosità europeo. La media di 2.600 cause circa per ogni 100 mila abitanti pone l’Italia di poco innanzi alla Francia (con 2.575) ed in posizione assai virtuosa rispetto a Belgio (6.800), Russia (4.500), Spagna (3.800) ed anche Svizzera e Polonia; mentre Germania, Turchia, Austria si distinguono per la più bassa litigiosità, ed infine va rimarcato che il contenzioso è quasi inesistente in Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia.
Nell’analisi delle spinte deflattive del ricorso ai giudizi ordinari va sottolineato l’avvento delle mediazioni, conciliazioni ed arbitrati (Adr, i metodi alternativi di risoluzione delle controversie, dall’acronimo inglese di Alternative Dispute Resolution) introdotte nel nostro ordinamento dal 2010. L’analisi dell’attuale stato dell’arte è stato approfonditamente effettuato nella manifestazione del 15 marzo organizzato, con pieno successo, innanzi una platea di 150 partecipanti tra professionisti ed addetti ai lavori dagli infaticabili motori dell’Osservatorio sulle Adr Francesca Tempesta e Giammario Battaglia. Certamente, alla luce dell’esperienza effettuata nell’ultimo lustro, è necessario innervare la disciplina esistente con interventi normativi che rendano le Adr efficaci strumenti deflattivi rispetto alle nuove cause e quindi all’arretrato civile.
La buona notizia che ci ha fornito l’onorevole Gennaro Migliore, sottosegretario alla Giustizia, intervenuto alla manifestazione del 15 marzo scorso, riguarda le 200 mila mediazioni avviate nel 2015. Cioè dopo un primo periodo di non obbligatorietà delle mediazioni, il loro crescente numero nell’anno in corso dimostra che la cultura del negoziato, della ricerca guidata verso una soluzione improntata al principio americano del «win-win», si sta facendo strada e sta superando le difficoltà della tradizionale impostazione unidirezionale.
L’utente incomincia sempre più a domandarsi perché deve attendere più di un lustro per ricevere da un giudice togato una decisione che scendendo dall’alto, può anche disattendere completamente le sue ragioni, quando, invece, può personalmente contribuire ad una decisione negoziata e quindi individuare una soluzione alla lite che faccia «vincere» tutti: le parti, i loro avvocati, ed il mediatore e che costi molto di meno in tempi e spese di giustizia? Avanti, quindi, nel portare la tutela dei nostri diritti non solo in Tribunale, ma prima innanzi ai conciliatori, mediatori ed arbitri.   

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