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Poco personale e troppe cause civili: i dati della giustizia lumaca in Italia tormentata dalle disuguaglianze

Maurizio De Tilla presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

(...) segue dal numero precedente.
Ma vi è ancora di più riguardo alle disfunzioni accertate a macchia di pelle di leopardo. A Bologna gli uffici per i minori sono più chiusi che aperti. È, per altro, assurdo che le cancellerie degli uffici per i minori rimangano chiuse per mancanza di personale. Se i cancellieri si ammalano il Tribunale per i minorenni si blocca. «Impossibile lavorare: abbiamo la metà dei dipendenti amministrativi previsti dall’organico. La media nazionale è del 20 per cento di personale mancante. Noi siamo al 50 per cento. Il record». Giuseppe Spadaro ha 52 anni, da tre anni ha preso le redini del Tribunale per i minorenni di Bologna. È uno dei presidenti più giovani d’Italia.
A Bologna ci sono sei magistrati minorili (più il presidente) per tutta la Regione. Cioè per quattro milioni e mezzo di abitanti. Ma il punto è il personale amministrativo: «Il numero dei cancellieri è calcolato su quello dei magistrati. Ecco, noi ne abbiamo già pochissimi, ma bisogna aggiungere che la metà dei posti sono scoperti». Risultato: cancellieri e amministrativi si contano sulle dita di due mani. Per seguire centinaia di pratiche e di destini. Fascicoli che riguardano la vita di minori. «Se mancano i cancellieri, centinaia di provvedimenti rischiano di rimanere lettera morta. Parliamo di affidi, di limitazioni della potestà dei genitori. Per non dire del penale: rischiamo che le condanne siano carta straccia», è lo sfogo di Spadaro.
Ma il funzionamento parziale e precario non succede solo a Bologna. A Monza pochi mesi fa si è rischiata la chiusura delle cancellerie. Così anche a Bergamo i tribunali dei minori sono tra quelli che stanno peggio. In Emilia e Veneto c’è un solo Tribunale dei minori. In questo quadro più che drammatico torna l’allarme della «soppressione degli uffici giudiziari». La prospettata riforma della geografia giudiziaria, oltre alla demolizione di Tribunali, prevede inoltre una Corte d’Appello per regione e tagli alle Procure. Il timore è che, a cascata, si preveda un intervento anche sulle sedi giudiziarie minori.
Si dice che il taglio di tribunali sarà effettuato all’insegna dell’efficienza degli uffici, della specializzazione delle funzioni e dei risparmi di spesa. Il che è una clamorosa bugia. Il disegno irragionevole è il seguente: legando la sede di Corte d’appello a un bacino di almeno un milione di abitanti, salterebbero e sarebbero soggette ad aggregazioni con uffici più o meno limitrofi le Corti di Potenza, Campobasso, Perugia, Reggio Calabria, Caltanissetta, Messina, Bolzano, Trieste, Sassari. A rischio anche Lecce e Perugia. Attualmente su 26 Corti d’appello e tre sezioni staccate, solo 6 distretti superano 4 milioni di abitanti (Milano, Roma, Venezia, Napoli, Torino e Bologna).
È un disegno quello della Commissione Ministeriale che l’Anai definisce paradossale e dissolutorio. Siamo convinti che privare il territorio della giustizia ha un assurdo che si finirà per pagare amaramente, con disfunzioni ed inefficienze. Dopo l’errore grave della soppressione dei tribunali dei minori si sta per commettere un errore ancora più accentuato con l’eliminazione delle Corti di appello e di ulteriori Tribunali.
Contro tale improvvido atto si sta rivoltando l’intero Paese. Nello specifico si registrano opposizioni in Sardegna (Sassari, Olbia, Tempio e Nuoro) per l’assorbimento della sezione distaccata della Corte di Appello di Cagliari. Forti contrasti anche a Lecce dove verranno penalizzate città quali la stessa Lecce, Brindisi e Taranto. Anche Salerno, Ascoli Piceno, Fermo, l’Aquila, l’intera Calabria sono messe in pericolo. La situazione è ancor più grave in quanto vengono clamorosamente ignorate le esigenze del territorio.
Il lavoro procede a rilento anche nei Tribunali delle imprese. La riforma del processo civile prevede l’estensione delle competenze dei Tribunali delle imprese. La situazione non sta, per altro, così bene, come si dice. L’aumento delle pendenze e della durata dei procedimenti è tale che potrebbe minare alla radice l’attività dei tribunali delle imprese.
Al 30 giugno 2015 le 22 sezioni distribuite a livello regionale avevano accumulato un «arretrato» di 7.598 fascicoli, con un incremento del 45 per cento rispetto alla fine del 2013. Una tendenza, fra l’altro, non giustificata dall’aumento delle iscrizioni, che sono, invece, in lieve calo. Ed anche la durata dei processi ha iniziato a crescere. Per arrivare a una sentenza ci vogliono 836 giorni. Grazie ai percorsi alternativi, nel 2012-2014 l’80 per cento dei procedimenti si è concluso in meno di un anno. Ma la situazione sta peggiorando: nel 2015 questa percentuale è scesa al 70 per cento e la durata dei percorsi «brevi» è sì di 263 giorni, ma nel 2014 era stata di 224 e nel 2013 di 163.
Perno della riforma partita nel 2012 è la specializzazione dei magistrati, che la legge ha inteso conseguire concentrando le controversie in un numero ridotto di tribunali, con l’obiettivo di accorciare i tempi e accrescere qualità e uniformità delle pronunce. L’attuazione della riforma non è stata per altro omogenea e la specializzazione resta un traguardo ancora non completamente centrato. La prima ragione è che in moltissime sedi il volume dei ricorsi non è sufficiente a che i giudici si occupino solo delle materie indicate dal Decreto legge n. 1 del 2012.
Per accelerare i tempi della giustizia è stato presentato un disegno di legge che delega il Governo a riformare il processo civile. Tra i molti punti, ha un rilievo particolare la modifica del rito in Cassazione: sia per la centralità della Corte cui è affidato dall’ordinamento il compito di assicurare l’uniforme applicazione del diritto nazionale, sia per la profondità della riforma che tra l’altro prevede, di fatto, l’abolizione della pubblica udienza.
In realtà, questo esito appariva inevitabile: la discussione pubblica dei ricorsi, a garanzia di trasparenza, era prevista per un tempo in cui davanti al Collegio venivano portati pochi processi: vi era la possibilità per ogni componente di conoscere bene tutte le cause (anche non sue), e vi era spazio per un’approfondita discussione degli avvocati. Per come vanno le cose oggi, nelle udienze pubbliche vengono trattate anche trentacinque o quaranta cause per udienza. Le discussioni sono mera apparenza, il rito diventa un ritualismo e la decisione è pressoché monocratica. Il Parlamento sembra aver preso atto di questa realtà e ha deciso che quasi tutti i processi si svolgano con rito camerale: interventi scritti delle parti, porte chiuse e possibile aumento del numero delle decisioni.
L’innovazione può condividersi per una parte limitatissima dei processi ma non per tutti laddove la discussione davanti al Collegio può chiarire alcuni punti particolarmente oscuri e controversi. Con lo stesso intento si è provveduto a riorganizzare i giudici di pace. La nuova legge ha istituito la figura del giudice onorario di pace (GOP) che unifica il giudice di pace con il giudice onorario di Tribunale (GOT) e la pone sotto il coordinamento del presidente del Tribunale. Inoltre, crea presso ogni Procura un ufficio dei vice procuratori onorari (VPO).
Principali norme del disegno di legge: la laurea in giurisprudenza come titolo sufficiente per l’accesso alla magistratura onoraria; l’incompatibilità per chi è già in pensione, il limite di età di 65 anni e la durata dell’incarico che non può superare gli otto anni. La riforma amplia le competenze: nel civile, al giudice di pace vengono devolute le controversie di volontaria giurisdizione, se «connotate da minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria», soprattutto in materia condominiale e successoria, con estensione di competenza per valore fino a 30 mila euro (oggi 5 mila), per sinistri stradali fino a 50 mila euro (oggi 30 mila), e possibilità di decidere secondo equità per controversie di valore fino a 2.500 euro (oggi il limite è 1.100). In materia penale, il nuovo giudice di pace si occuperà anche dei reati di minaccia e furto perseguibile a querela.
Sotto il profilo critico si fa rilevare che l’enorme mole di lavoro della magistratura onoraria viene irresponsabilmente ad incrementarsi con l’attribuzione delle controversie condominiali e di quelle sui diritti reali. Materie difficili e di necessari forti approfondimenti. Gli uffici dei giudici di pace funzionano già male e saranno in poco tempo sull’orlo del collasso.   

Tags: Novembre 2016 minori Maurizio de Tilla avvocatura amministrazione minorile giustizia

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