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AGRIBUSINESS MADE IN TUSCANY: L'ECCELLENZA TOSCANA CHE IL MONDO CI INVIDIA

Reportage Toscana agribusiness

Si parla tanto di agricoltura, di ritorno alla terra, di vita in campagna. Negli ultimi anni, spinti anche da Expo 2015, i sottotemi legati all’alimentazione e all’ambiente sono sempre più dibattuti, a causa senz’altro anche del periodo storico che accende prepotentemente i riflettori sull’importanza di una sana nutrizione accessibile a tutti, sullo spreco alimentare, sulla sempre meno rinviabile lotta ai cambiamenti climatici, sull’agricoltura come efficace mezzo di sussistenza.

Spostiamoci in Toscana, precisamente ad Alberese in provincia di Grosseto, nel cuore della Maremma. Qui si trova la tenuta di Alberese, una delle aziende agricole biologiche di proprietà della Regione Toscana, tra le maggiori in Europa con un’estensione di 4.200 ettari di pineta, bosco, dune, pascoli naturali, oliveti e altre colture. È sede dell’ente pubblico Terre Regionali Toscane, il cui compito è la valorizzazione del patrimonio agro-forestale, la tutela di razze e varietà locali della Toscana, la gestione forestale sostenibile, lo sviluppo dell’economia verde. Consta al suo interno di diverse strutture: la villa fattoria Granducale, l’abbazia di San Rabano, la torre di Collelungo e il granaio lorenese di Spergolaia.

Ed è in quest’ultimo luogo che Filippo Giabbani, responsabile delle politiche ed iniziative regionali per l’attrazione degli investimenti, direzione voluta dieci anni fa dal presidente Enrico Rossi e nota all’estero come Invest in Tuscany, sottolinea che la Toscana è più che pronta ad accogliere investitori esteri nell’agribusiness, fattore chiave nell’economia italiana del quale vino e olio sono settori strategici per questa area geografica al centro di Italia ed Europa e che tanto contribuisce alla fama del Made in Italy. Con un fatturato di 11.3 miliardi di euro, 28.900 aziende che impiegano 56 mila addetti, oltre 27 mila potenziali fornitori e 5.300 aziende biologiche certificate, l’agribusiness fa guadagnare alla Toscana il primo posto tra le regioni europee per numero di imprese e il secondo per fatturato. 

Gli fa eco il direttore di Terre Regionali Toscane Marco Locatelli che descrive l’attività di Alberese evidenziando come il luogo di grande fascino che ospita la sede amministrativa dell’ente sia esso stesso un modello di innovazione: “I magazzini lorenesi, che in seguito a restauro ospitano ora una sede congressuale, fungevano da granaio. Qui i cereali venivano selezionati e posti nei silos, le cui bocche sono ben visibili sul pavimento che calpestiamo (in foto). Un luogo che fu una grande innovazione ai tempi degli Asburgo-Lorena e a noi che ora lo ammiriamo fa pensare invece alla tradizione, a qualcosa di ormai superato. Allo stesso modo, vogliamo che non si pensi più ad Alberese come a un’azienda agricola bensì a una demofarm sperimentale che si avvale di agricoltura di precisione: vogliamo portare la tecnologia a servizio del territorio”. Una demofarm è infatti un luogo di trasferimento di conoscenza e competenze in agricoltura, e vi si sviluppano soluzioni innovative di high tech farming per migliorare la produttività, il profitto e la sostenibilità. “Questo modello è necessario perché da sempre gli agricoltori sono restii al cambiamento, preferendo le tradizioni; non comprendono l’innovazione e per loro la migliore modalità è l’apprendimento dai vicini; per questo portiamo avanti anche attività dimostrative. Spiegare che ricorrendo a precision farming si può avere tutto sotto controllo e pertanto sviluppare modelli di previsione che aiutano a prendere scelte che consentano di ridurre i tempi di lavoro e il volume di acqua e fitofarmaci necessari, e quindi i costi, sarà più efficace se a suggerirlo è il confinante. L’intento quindi è passare da museo a servizio della conservazione a museo a servizio dell’economia: un centro di competenze sull’agrobiodiversità”. E conclude: “Terre Regionali Toscane agisce a favore dell’agricoltura e della buona gestione della terra, anche affinché il suo operato sia di indirizzo alla politica nazionale che deve compiere scelte pertinenti”.

E TRT lo fa anche mediante strumenti fondamentali quali la banca della terra e la banca del germoplasma vegetale. Cosa sono esattamente? Avviata nel novembre 2013, la Banca della Terra è l’inventario dei terreni e aziende agricole pubblici e privati che possono essere ceduti a terzi mediante bandi per affitto o concessione, inclusi quelli incolti o abbandonati, per un’estensione al momento di 7.860 ettari di terreno inseriti (6.256 gli assegnati); persegue lo scopo di favorire l’imprenditoria giovanile e promuovere il ricambio generazionale, in un momento storico in cui il ritorno alla terra non ha un sapore unicamente nostalgico ma di stringente necessità economica. Chiunque infatti può partecipare ai bandi e agli avvisi, senza alcuna limitazione di età e professionalità; la priorità in caso di più richieste per lo stesso appezzamento verrà data ai giovani che già lavorano a tempo pieno in agricoltura. Dalla sua istituzione, sono stati aggiudicati 85 su 125 fabbricati e 154 lotti, il cui totale di base d’asta raggiunge i 785 mila euro e di importo di aggiudicazione di un milione, con un incremento medio pertanto del 27% del valore dei beni.

La Banca Regionale del Germoplasma ha dimensioni ben più piccole ma è assai preziosa: è sufficiente una cella frigorifera per conservare il materiale genetico della specie autoctone vegetali presenti nel repertorio dell’agrobiodiversità della Regione Toscana. Una volta iscritte, non possono essere brevettate ma possono circolare in modiche quantità e a titolo gratuito con la dicitura corretta di nome e zona di produzione, e citando la banca. Siccome poi il legame tra la varietà e il territorio è forte, il produttore che coltivi una determinata varietà di quel territorio può commercializzarla: ad esempio, a Certaldo si ha la cipolla statina (estiva) e vernina (invernale), che i certaldesi possono vendere, chiamandola solo in quel modo, rispettando la zona tipica di produzione, e citando la banca del germoplasma. E anche questa attività fragile ma possente viene gestita da Terre Regionali Toscane che per la Regione promuove e garantisce l’utilizzazione collettiva del patrimonio di razze e varietà locali (800 quelle iscritte al repertorio) e coordina tutti i soggetti della rete di conservazione e sicurezza delle risorse genetiche, tra cui i coltivatori custodi che coltivano le varietà a rischio di estinzione per garantirne l’uso durevole e la generale biodiversità. Esempio ne è la storia del pomodoro fragola della Garfagnana, così chiamato per il colore vermiglio, ancora oggi a rischio di erosione genetica. I semi vennero riportati in Italia alla fine degli anni ‘60 da un abitante di Albiano (Minucciano) di rientro dall’Australia, dove li aveva introdotti nascondendoli nel cappello e facendola in barba alla port security. Se non fosse stato per lui non si sarebbe potuto recuperare questa varietà così particolare, ora coltivata dai custodi. Ecco, è questo il senso della banca del germoplasma (in foto, confezioni di varietà toscane assegnate ai coltivatori custodi).

Nella tenuta di Alberese inoltre si allevano le razze autoctone di bovino e cavallo maremmano. Liberi di scorazzare allo stato brado, i 400 bovini e 40 cavalli attualmente in azienda sono fin dalla nascita curati dai butteri, i pastori a cavallo tipici della Maremma (e fino al mattatoio, essendo un allevamento di animali da reddito). Il responsabile della zootecnia Alessandro Zampieri - o più fascinosamente capo buttero - spiega come l’intero ciclo vitale ad eccezione del momento della morte sia regolato dalla natura: non si può imporre nulla a questi animali che non crescono in stalla come negli allevamenti tradizionali o intensivi. Spiega Zampieri: “Qui la monta è naturale e proprio ora conclude il periodo di maggior calore, perché i vitelli nascano a febbraio quando possono trovare erba: la natura pensa a tutto. È un momento delicato, perché comunque la riproduzione va governata: sono io stesso che in virtù dei 41 anni trascorsi qui conosco e riconosco ogni capo della mandria, e con me i miei 4 butteri. Le vacche vanno divise in piccoli gruppi, ognuno dei quali con un toro, e solo noi che a cavallo trascorriamo la giornata con loro sappiamo dire quale toro e quali vacche, perché è essenziale una suddivisione per linea di sangue affinché si mantenga la purezza di razza e animali imparentati non finiscano insieme. Stesso dicasi per gli stalloni: solo animali approvati dal libro genealogico, per mantenere la razza autoctona maremmana”. Gli animali qui allevati, è innegabile, sono bellissimi. Tra questi ci sono i prossimi riproduttori e le fattrici. Tra quelli che non lo saranno, i vitelloni verranno mandati al macello intorno ai 20 mesi e i cavalli, domati e castrati, si guadagnano la giornata facendosi cavalcare dai visitatori; potrebbero anche essere venduti a chi cerca ottimi esemplari. “Non è affatto un lavoro semplice: molti ne hanno un’immagine bucolica ma non è affatto così. Si esce tutti i giorni con tutte le condizioni atmosferiche; a volte le bestie finiscono nei guai e tu stesso devi rischiare per trarli in salvo; e se ti svegliano di notte, puoi star certo che è un brutto risveglio che non puoi davvero ignorare: in piedi a controllare. È un mestiere gerarchico che seleziona da sé l’apprendista”.

Dopo questa full immersion ad Alberese, dove è stato possibile vedere come un’azienda evolve nei secoli mantenendo tradizione e mestieri antichi ma guardando al futuro e all'innovazione, ci spostiamo a Gavorrano per la seconda tappa di questo viaggio nell’agribusiness toscano: la serra idroponica di Sfera Agricola.

Nell'immagine, butteri di Alberese al lavoro (ph. Francesco Rossi). L'immagine introduttiva è di Alberto Pastorelli.

 

 

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