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OUA, AVVOCATI ITALIANI: A FIANCO DEI CITTADINI E IN DIFESA DELLA SOCIETÀ

Il 6 maggio scorso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto la presidenza e la giunta centrale dell’OUA, Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana che ha voluto sottoporre alla sua autorevole attenzione alcune riflessioni sulla situazione e sulle prospettive del settore.
Il presidente Maurizio de Tilla ha illustrato i problemi sul tappeto confermando l’impegno degli avvocati a difesa dei cittadini e della società. Riportiamo il suo intervento che è stato seguito con grande attenzione e interesse dal Capo dello Stato.

La professione di avvocato è essenziale per l’attuazione di almeno due norme costituzionali: gli articoli 24 e 111. Il primo stabilisce l’inviolabilità del diritto alla difesa e il diritto dei non abbienti ad avere assicurati i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione; il secondo, nel sancire il «giusto processo», prevede che questo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti in condizione di parità e che il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formulazione della prova. Il terzo comma dell’articolo 111 stabilisce, a favore della persona accusata, regole primarie la cui osservanza presuppone l’assistenza di un avvocato.
È inoltre previsto nella Carta Costituzionale che l’iscrizione nell’albo degli avvocati è titolo per ricevere incarichi di particolare rilievo e prestigio: con 15 anni di esercizio professionale l’avvocato può essere eletto componente del Consiglio Superiore della Magistratura e nominato magistrato di Cassazione in presenza di particolari meriti; dopo 20 anni può essere eletto giudice della Corte costituzionale.
Da tale rilevanza costituzionale non può che trarsi la conseguenza che l’Avvocatura, come la Magistratura, è uno dei soggetti della giurisdizione. L’identità dell’Avvocatura trae fondamento da una configurazione storico-giuridica che ne evidenzia i connotati di autonomia e di indipendenza equiparabili alle guarentigie della Magistratura. Abbiamo riformulato la proposta di modifica della Costituzione - a suo tempo prospettata dall’OUA alla Commissione bicamerale presieduta dall’on. Massimo D’Alema - che parte dal cambiamento della rubrica del titolo IV parte seconda della Costituzione con la dicitura «La Giurisdizione».
Tale titolo andrebbe suddiviso in tre sezioni: la prima dedicata ai principi fondamentali della funzione giurisdizionale, la seconda ai principi riguardanti la Magistratura, la terza a quelli relativi all’Avvocatura e alla difesa giudiziaria dei cittadini. Nella sezione I andrebbe sancito il principio dell’essenzialità delle funzioni delle due componenti della giurisdizione, della loro indipendenza nonché della terzietà del giudice e dell’assoluta parità tra le parti nel processo, con l’esplicita garanzia di una ragionevole durata del processo e con l’adeguatezza degli strumenti e dei costi della giustizia. Nella sezione III andrebbe collocata la previsione che «la difesa affidata agli avvocati è funzione essenziale in ogni procedimento giudiziario».
L’indipendenza dell’Avvocatura è un principio inderogabile e tende a garantire la tutela dei diritti, della libertà e della dignità della persona. Per il ruolo che assume nel contesto della Giurisdizione, l’Avvocatura può concorrere all’amministrazione della giustizia nelle diverse articolazioni. La sua costituzionalizzazione comporta altresì che l’ordinamento forense, al pari di quello giudiziario, costituisce un momento essenziale di tale compito. Per la verità, la previsione dell’articolo 24 già oggi impone l’urgenza della riforma dell’ordinamento forense, purtroppo ancorato a una legislazione del 1933 che il Parlamento, quest’anno 2009, è chiamato ad approvare, tenendo possibilmente conto del testo formulato da tutte le componenti dell’Avvocatura.
Agli 8 mila giudici togati si aggiungono più di 10 mila giudici laici o onorari, cui sono affidati un milione 500 mila processi civili e penali; questi aumenteranno sensibilmente dopo l’approvazione della riforma del processo civile che eleva la competenza per valore e per materia del giudice di pace, che è giudice di diritto e marginalmente di equità. L’impegno dei giudici laici non è più un’emergenza o un soluzione temporanea della giurisdizione. Appare, quindi, necessaria una regolamentazione più compiuta e rigorosa dell’assetto di tale magistratura laica. L’OUA ha più volte affrontato l’argomento auspicando nei congressi nuove regole che impongono, anzitutto, la configurazione unitaria della pluralità di giudici laici attualmente esistente nei diversi ambiti della giurisdizione. La magistratura laica dovrebbe essere regolamentata in maniera uniforme, dotata di rigore e selezione nell’accesso, di parità di ruoli, dignità, adeguato trattamento retributivo e previdenziale, incompatibilità assoluta, formazione adeguata, efficienti strutture organizzative e logistiche.
Una modifica, quindi, della legislazione attuale sulla magistratura laica che si ispiri ai seguenti principi: uniformare tutte le attuali figure di magistrati laici esistenti; garantire la pari dignità tra la magistratura togata e quella laica, accentuandone l’indipendenza e l’autonomia; selezionare l’accesso anche con concorsi o corsi abilitanti e affidare ai Consigli giudiziari e dell’Ordine degli avvocati la formazione e l’aggiornamento permanente; prevedere un rigoroso sistema di incompatibilità assoluta; assicurare ai magistrati laici un adeguato trattamento economico e previdenziale; istituire un organismo di controllo etico con articolazioni territoriali composto da rappresentanti degli organismi degli avvocati e della magistratura togata. Insomma un’impostazione di estremo rigore per non affidare a un giudice minore la tutela dei diritti dei cittadini più deboli.
L’attuale riforma del processo civile, proposta dal ministro Angelino Alfano è in gran parte condivisa dall’OUA eccettuato il «filtro in Cassazione» che sembra contrastare con l’articolo111, settimo comma, della Costituzione. Non può dubitarsi che il diritto costituzionale di ricorrere in Cassazione per violazione di legge non può essere obliterato, implicando il diritto del cittadino a una pronuncia della Corte Suprema che dica se vi è stata o meno la violazione di legge denunciata. Stabilire con un filtro di ammissibilità che il ricorso può essere ammesso o meno a discrezione della Corte di Cassazione sembra violare il preciso dettato costituzionale.
L’assurdo sta nel fatto che, per ottenere il riesame della Corte, non sarebbero più sufficienti nuovi e persuasivi argomenti, ma sarebbe necessario che i giudici, cui è rimessa la verifica di ammissibilità, ritengano che la Corte debba pronunciarsi senza che la norma dica nulla sui criteri ai quali essi debbano attenersi. È così apertamente violato l’articolo 111, settimo comma, della Costituzione, che subordina a riserva di legge la disciplina del processo, così che i presupposti processuali e le condizioni dell’azione non possono essere rimessi a valutazioni dei giudici da operarsi caso per caso. Il proposto filtro non ha per oggetto tempi e modi dell’impugnazione per Cassazione, ma valutazioni che involgono il merito della controversia, quindi, il contenuto della tutela richiesta e non le modalità di esercizio.
L’alta sensibilità istituzionale e politica del Capo dello Stato ci fa ben sperare sulla valutazione positiva delle nostre considerazioni su identità e indipendenza della professione di avvocato, sempre più stretta fra il potere del capitale e quello dello Stato. Il sociologo del lavoro, Eliot Freidson sostiene che le istituzioni dei professionisti sono radicate non solo nell’economia ma anche in eventi sociali come apprendimento, progresso e pratica di un sistema di conoscenze e competenze specialistiche. Le istituzioni sono necessarie per lo sviluppo delle professioni in quanto organizzano e promuovono le diverse discipline legali, contabili, tecniche, sanitarie ecc., controllandone formazione, certificazione e pratica e sostenendo e gestendo la creazione e il perfezionamento del relativo sistema conoscitivo. L’obiettivo finale è quello di conservare risultati tali da garantire a utenti e a consumatori che i professionisti abbiano la competenza per svolgere opportunamente, se non addirittura brillantemente, il loro compito.
È un obiettivo di rilevanza sociale che fa valere la presenza di una terza forza in alternativa a quelle del capitale e dello Stato, per cui è evidente l’interesse primario verso la qualità del lavoro. Preservare e migliorare tale qualità conservando istanze sociali basate sulla formazione rappresenta un impegno a garanzia dell’utenza che va protetto e sviluppato. La professione di avvocato è collegata al rigore di corsi formativi e di accesso curati da soggetti qualificati, con funzioni pubbliche, che devono assumere per legge e per statuto professionale obblighi di promozione e salvaguardia dell’integrità dei settori professionali.
Il lavoro del professionista va istituzionalizzato con la definizione di confini in modo da essere conservato e coltivato come una disciplina coerente e facilmente riconoscibile. Senza un valido percorso di studi, di regole di accesso e di codici di comportamento, le professioni non possono trovare tutela. Né è consentito «inventarsi» un professionalismo occasionale di tempo limitato senza precisi termini di riferimento. Senza confini e senza contorni di competenze specifiche non può esistere una professione di rilevanza pubblica quale quella di avvocato. I confini si sostanziano in vere «esclusive» che creano una protezione sociale di reciproco rafforzamento, mediante la quale può svilupparsi, migliorare e ampliare un patrimonio di conoscenze e competenze. Se le professioni potessero sopravvivere senza protezione verrebbero volgarizzate e perderebbero in parte, se non del tutto, il loro valore costitutivo. Subentrerebbero caos e qualunquismo professionale per dar luogo a una confusione di attività con livellamento verso il basso che qualcuno auspica per stroncarle perché autonome, scomode e poco asservibili a interessi economici o politici.
Nella risoluzione del 5 aprile 2001 il Parlamento europeo ha dichiarato che «le libere professioni rappresentano uno dei pilastri del pluralismo» e che va garantita la loro indipendenza nella società. Le libere professioni sono l’espressione di un ordinamento basato sul diritto. Le regole sono necessarie nel contesto di ciascuna professione per assicurare l’imparzialità, la competenza, l’integrità e la responsabilità dei membri. La promozione della concorrenza va contemperata con norme etiche specifiche per ciascuna professione. La nuova visione mercantile è da respingere perché fonte di emarginazione dei professionisti e della società civile. Nonostante la sua importanza per la vita sociale, la società è stata progressivamente marginalizzata dalle forze del mercato e dagli apparati dello Stato-Nazione. Si è giunti a considerare il mercato l’istituzione primaria nelle relazioni umane.
L’eliminazione delle regole si risolverebbe per gli avvocati in uno scadimento delle qualità e in una minor protezione degli interessi del cliente, altro che tutela del consumatore. L’assurdo è che non si riconosca che, in quasi tutte le professioni e segnatamente nella professione forense, le regole di accesso sono di larga e forse eccessiva liberalizzazione e che occorrerebbero maggiori restrizioni e rigore. Il modello inglese non è compatibile con quello latino diffuso nella maggior parte dei Paesi europei, fondato su presupposti che contrastano con la concezione mercantile della professione forense e l’assimilazione dell’avvocato all’operatore economico. A parte la considerazione che le prestazioni professionali sono normalmente infungibili e personali, esiste una profonda disomogeneità tra esse e l’attività di impresa, sempre seriale e ripetitiva. Il cliente chiede ogni volta all’avvocato una prestazione unica e irripetibile, mai predeterminata. Gli Ordini forensi non devono, poi, limitarsi all’applicazione della deontologia, ma devono anche promuovere l’etica.
Quel che più stride nella comparazione dei due modelli è la partecipazione di capitali di terzi nelle società professionali inglesi. Si corre il pericolo della partecipazione negli studi legali di capitali di multinazionali, banche, assicurazioni, supermercati, anche di provenienza illecita. In Europa si confrontano due concezioni opposte, una anglosassone riguardante una parte minoritaria dell’Europa, e una continentale-latina concernente la parte maggioritaria. Saremo grati al Capo dello Stato per quanto potrà fare per la difesa dell’identità nazionale della professione di avvocato.

Tags: Maurizio de Tilla avvocatura Ministero della Giustizia giustizia magistratura

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