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IL VOLONTARIO COME STRUMENTO D’IMPIEGO DAL RISORGIMENTO AI GIORNI NOSTRI

In collaborazione con lo Stato Maggiore della Difesa

del S.Ten. Elena Bigongiari, Commissione Italiana di Storia Militare

Il Risorgimento italiano, così come molti dei moti libertari d’Europa e del mondo del diciannovesimo secolo, è caratterizzato dal fenomeno spontaneo delle formazioni armate di volontari. In realtà, forti motivazioni politiche e di amor patrio diedero vita alla formazione di gruppi armati, avviando il cammino verso l’indipendenza nazionale, suggerito e perseguito da uomini come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e Silvio Pellico, ma suscitando anche una vocazione internazionale nel richiamare giovani ovunque si potesse combattere per un ideale di libertà.
Il volontario nella realtà preunitaria italiana è il protagonista principale e il testimone più significativo del processo di divulgazione dell’idea di libertà e di autodeterminazione di un popolo. Se nei moti degli anni Venti e Trenta dell’Ottocento fu una élite ancora lontana dalle masse ad avere coscienza del tempo e delle spinte indipendentiste; la stessa consapevolezza riuscì a pervadere i ceti più popolari che diedero tutto alla causa, sino al sacrificio estremo. La motivazione di tali intenti e obiettivi fu sempre più forte e condivisa dal popolo, fornendo a uomini e donne una capacità combattiva che superò la grave carenza di armi e di mezzi nonché l’impreparazione al combattimento.
La storia, quale giudice inesorabile, richiede, comunque, lo scotto di una tale impreparazione. Così fu con l’eccidio di Sapri, che ascrive, tuttavia, nel bilancio del Risorgimento, il significato dell’impegno e del riscatto sul campo. Negli anni Quaranta e Cinquanta del diciannovesimo secolo, un movimento di grande spinta propulsiva dal basso aderì al processo nazionale per l’indipendenza, dando vita a vere e proprie strutture militari che si affiancarono all’Esercito piemontese.
Le tre guerre d’indipendenza videro i volontari divenire figure storiche centrali e le formazioni garibaldine ne incarnano l’esempio più alto. L’epopea dei Mille, infatti, si può considerare segno evidente di questo fenomeno spontaneo ad elevata capacità operativa, soprattutto nel momento cruciale della battaglia del Volturno. Nella seconda metà dell’Ottocento, quando gli Stati europei e l’Italia erano ormai avanti nella realizzazione dello Stato, la struttura e gli organici degli Eserciti erano detti, genericamente, di massa. Questa concezione organizzativa delle Forze armate, che di fatto impose la presenza alle armi del popolo, portò all’istituzione della leva obbligatoria. In questo contesto il volontario trova il proprio significato nella formazione di unità militari finalizzate ad attività particolari. Una fra tutte, la formazione degli «Arditi» durante la Grande Guerra.
Gli eserciti di massa si caratterizzavano per la loro varietà e per gli armamenti individuali essenziali: il fucile e la baionetta. La tecnologia del tempo non forniva strumenti di combattimento sofisticati e le dottrine tattiche prevedevano l’impiego di unità a struttura omogenea, non dissimili dalla concezione napoleonica del «battalion carré».
L’introduzione dell’Aeronautica nel combattimento, con la teorizzazione della battaglia aeroterrestre del maggiore Giulio Douhet, poi ripresa dai generali tedeschi negli anni Trenta del ventesimo secolo, impose tecniche e mezzi sempre più sofisticati e costosi. La tecnologia relegava il volontario in un angolo, o così pareva. Questa categoria trovò sempre meno spazio, perché le doti potenziali erano inadeguate rispetto alle nuove realtà. Tuttavia, nel corso della seconda guerra mondiale il volontario si collocò non più nelle Forze Armate regolari, ma nelle formazioni partigiane che si affermarono in tutte le nazioni occupate: unità dotate di strutture e armamenti semplici e leggeri che costituirono un fronte interno fluido e di difficile contrasto.
A distanza di cento anni queste formazioni trovarono motivazione negli stessi valori che avevano mosso i volontari per la ricerca di una libertà e identità nazionale. Il processo evolutivo, in generale, aumentò la capacità di fuoco e la mobilità delle unità militari, assegnando alla Manovra ciò che sino ad allora era considerato essenziale per la vittoria: la disponibilità di una massa ben equipaggiata. Dalla guerra fredda all’impiego nelle aree di crisi e di interesse nazionale oltre i ristretti confini dello Stato, gli elementi essenziali di una Forza armata diventarono, così, la capacità di proiezione e la disponibilità di tecnologie più sofisticate per agire in nuovi e complessi teatri operativi. Il soldato con alta specializzazione divenne di permanenza prolungata, affinché quanto speso per lui avesse un giusto ritorno e l’esperienza sul campo fosse uno degli aspetti su cui fare affidamento.
Sembrerebbe oggi, dunque, superata o anacronistica, la presentazione dei volontari così come si ricordano nell’epopea risorgimentale. Il soldato tecnologico sembra aver definitivamente sostituito il volontario, armato di poco ma mosso da grandi ideali. Oggi come allora, però, il soldato deve essere fortemente motivato nella scelta professionale e, considerati i nuovi fronti e le nuove aree in cui operare, deve essere cosciente dei compiti da affrontare. Seppur con altri mezzi, il volontario odierno è pronto, nello spirito, agli stessi sacrifici, materiali e non, di chi imbracciò il fucile di casa e la bandiera tricolore quasi due secoli fa.
Ora, in un contesto storico ben diverso da quello del Risorgimento, è necessario confidare in un volontariato artefice della sicurezza, frutto di scelte professionali illuminate da valori civici.

Tags: volontari Ministero della Difesa forze armate volontariato Difesa Aeronautica capo di stato maggiore Aprile 2011 SMD - Stato Maggiore della Difesa

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