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RISPARMIO: CHI LO HA, LO GESTISCA (OCULATAMENTE) SENZA PAURA

Gli italiani pensano al risparmio almeno con tre atteggiamenti diversi: poterlo avere; gestirlo; con paura del futuro. Atteggiamenti che non sempre tengono conto se dal risparmio ottengono un guadagno o una perdita.

La ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ha superato, nel 2022, 5.000 miliardi di euro ovvero oltre due volte il PIL e oltre una volta e mezzo il nostro debito pubblico.

Larga parte della ricchezza finanziaria è detenuta sui conti correnti, poco più 1.800 miliardi, anche se la crescita si è fermata ed anche con evidenze di diminuzione pur non elevate.

Gli italiani hanno l’abitudine, da sempre, di mantenere una forte liquidità sui propri conti correnti: non è un bene considerato che la remunerazione è da anni molto bassa, almeno per i depositi a vista e poi devono essere sopportate le spese legate alla tenuta e alla gestione dei depositi stessi.

L’attuale periodo di alta inflazione conferma che tenere i propri risparmi sul conto corrente si può trasformare in un “bagno di sangue”.

Un esempio vale più di mille parole: un saldo di 1.000 euro il 1° gennaio, con un’inflazione al 10% - ed ora è anche più alta -, a fine anno è ancora nominalmente di 1.000, ma avrà un potere di acquisto di meno di 900 euro che diminuisce ancora tenendo conto degli altri oneri (ad esempio il canone mensile).

È pur vero, bisogna tenerne conto, che nessun investimento non ad altissimo rischio attualmente consente di recuperare tutta l’inflazione; di ridurre almeno la perdita però sì.

Inoltre, non viene valutato che mantenere una elevata liquidità oltre ridurre il valore dei nostri risparmi, a causa dell’inflazione, per conseguenze di pandemia e guerra, incide sull’economia nazionale con conseguenze anche sulla vita di tutti i giorni di imprese e cittadini.

Una risposta che viene data per giustificare l’accantonamento di liquidità è, con una forte dose di realtà dopo oltre un decennio di crisi diverse ma continue, il fine precauzionale per far fronte a eventuali difficoltà future. Asserzione difficilmente contestabile per cui non ha bisogno di molte spiegazioni.

Un’affermazione che ne porta, però, un’altra con sé: il risparmiatore italiano accetta passivamente di perdere il potere di acquisto del proprio denaro ma non vuole rischiare di perdere il capitale accantonato.

La scelta di investire nell’economia reale non è, di conseguenza, molto valutata ritenendola, a torto a ragione, troppo rischiosa e non conveniente in base ad alcune valutazioni: le imprese non sempre producono utili, quindi dividendi per gli investitori, non tutte vivono su mercati vivi, non tutte hanno la possibilità di resistere su mercati sempre più aperti alla concorrenza.

Una scelta plausibile ma non sempre esatta, per cui quanto è giudicato rischioso e negativo può essere preso in considerazione positivamente, essendo presenti sul mercato imprese che non hanno le problematiche esposte anzi crescono e prosperano sui mercati.

Si provi ad immaginare che, con le proprie capacità o con l’aiuto di professionisti seri e preparati, si destinasse, anche nel rispetto del principio della diversificazione, una piccola parte, 10-15 per cento, della liquidità depositata nel conto corrente per investimenti nell’economia reale, verso industrie importanti, sane, ben governate, con principi che rispettino la sostenibilità e l’ambiente: sarebbe disponibile l’ammontare di un altro recovery plan da destinare alla crescita del Paese e conseguentemente ai salari, ai servizi sociali e quanto altro immaginabile.

Le affermazioni di principio difficilmente convincono, soprattutto se si è rimasti “bruciati” in passato e il risparmiatore, particolarmente quello piccolo, dall’inizio degli anni 2000 di scottature ne ha avute tante: fallimenti di imprese, derivati, crisi economica, fallimenti bancari per citarne alcuni.

È necessario, per superare la ritrosia all’investimento, rendere consapevoli che non esistono investimenti senza rischio ma che è possibile gestirlo, controllarlo e trovare delle soluzioni di tutela per i risparmiatori migliori di quelle del passato.

Tra le tante possibili, una potrebbe essere quella prevista nel periodo pandemico per operatività diverse (mutui) di garanzia dello Stato a favore dei piccoli investitori, in cui l’impresa, per responsabilità propria, dovesse subire un cosiddetto “fallimento di mercato”. Una seconda potrebbe prevedere strumenti, come già avviene per i Pir (piani individuali di risparmio), condizioni migliorative per chi mantiene per un periodo di tempo predeterminato l’investimento, sapendo secondo la teoria economica che nel tempo si acquisisce valore dall’investimento effettuato. Una terza di prevedere l’ampiamento del periodo in cui è possibile portare le minusvalenze a compensazione di eventuali plusvalenze future. Una quarta, creare, come molti Stati hanno fatto con finalità pur diverse - o in Italia CDP o altri fondi con destinazione specifica - un Fondo Nazionale per lo sviluppo del Paese alimentato dal risparmio privato, tutelando gli investitori nelle modalità citate o con altre specifiche garanzie.

Incentivi più di sistema potrebbero vedere lo Stato incoraggiare la fusione di aziende per ottenere un assetto dimensionale più importante, storico problema nazionale, maggiormente capace di stare sul mercato oppure, come in parte già avviene, destinare fondi o defiscalizzazioni alle imprese nazionali che intendessero crescere nella loro attività rendendo la loro attività più sostenibile o in presenza di una crisi ritenuta “passeggera”.

C’è un ulteriore motivo che dovrebbe spingere investitori e Stato a incentivare l’utilizzo del risparmio privato per rafforzare, forse indirizzare, l’economia reale: non lasciare ai capitali esteri il ruolo di supportare patrimonialmente le imprese nazionali, con il rischio di un depauperamento complessivo maggiore dei vantaggi immediati.

Un ruolo fondamentale per modificare la destinazione del risparmio, infine, è del sistema finanziario.

Gli intermediari e i loro collaboratori devono fornire informazioni in maniera esauriente e comprensibile, per rendere i loro clienti consapevoli delle scelte da effettuare, essere estremamente attenti nel rispettare la profilatura dei singoli clienti, proponendo investimenti in linea con essa, utilizzare i nuovi strumenti tecnologici nel proporre gli investimenti senza dimenticare, però, la “vecchia” consulenza personale.

Non è una frase fatta ma una certezza che il piccolo risparmiatore si informa più di prima, accetta di utilizzare le forme digitali, ma alla fine quello che fa la differenza nelle scelte è il rapporto consolidato e di fiducia con il “proprio” intermediario.

Tags: banca banche Fabio Picciolini CDP Cassa depositi e prestiti - CDP Gennaio 2023

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